Sunday, July 16, 2017

i desgggiaaaavvù, però le camminate verso cignana sono meglio

in effetti sono di nuovo qui. accanto alla luce palla ed una discreta distesa di bottiglie. vuote, nel senso di già bevute. alcune di queste - probabile - le ho bevute pur io. è una sensazione piacevole. anche perché c'è dentro l'eco del sentirsi accolti, ospitati quasi come qualcuno che è di casa. a volte mi chiedo cosa possa aver fatto per meritarmelo. ora provo ad aver imparato a prendermi l'effetto taumaturgico.

questo è un luogo di affetto [al netto delle fette di salumi e formaggi che si è consumato su questo tavolo, donde sto scrivendo]. questo è anche un luogo dove - più che altrove - ho trovato una specie di plaga e di rinfranco dai tanti - troppi - momenti et situzioni che la vicissitudine dell'aziendina hanno saputo regalarmi.

tecnicamente questo è la prosecuzione di un post iniziato ormai quasi due mesi fa. siccome sono sul pezzo e rapido, lo ripiglio solo ora. e nemmeno tutto, suvvia. mi è tornato in mente quel post e un sacco di episodi oggi, mentre camminavo alla volta della diga di cignana. che è un po' lunga da spiegare come e dove per chi non ne sa molto.

sentieri che già ho calcato. sentieri che - in particolar modo tra l'altro - calpestai rabbiosamente tre anni fa. ero solo. in uno dei momenti più intricati e complicati degli ultimi dieci anni. incazzato di una incazzatura più che altro repressa per il volgere che l'aziendina [di cui decennale, il post precedente] aveva ormai preso. c'era stata una sterzata importante, definitiva. il bubbone era saltato. tanto tempo dopo si è capito che quello stapparsi è stato un bene. ma ha spurgato parecchio ed io sentivo dolore. quel pomeriggio ero partito a piedi. nervoso e scalpitante. "vado a far due passi", dissi ai miei ospiti. forse non misi nemmeno le scarpe grosse. senza averlo pianificato troppo salii un bel po'. salivo e masticavo amaro. ragionavo e dialogavo immaginificamente coi i due soci, raccontando loro l'incazzo e la sensazione di torto che percepivo aver subito, chidevo conto a loro e pretendevo mi dessero ragione e mi chiedessero scusa. salii, sudando nervoso. arrivai ad un punto di vederla, la diga. un digradare, in alto, della piccola gola che lasciava libera alla vista una porzione. era là, l'avevo raggiunta: anche solo con lo sguardo. me ne tornai.

ho ripensato a quella salita, oggi pomeriggio, che invece fino alla diga si è arrivati. e con quel ricordo ho ricordato ancora un sacco di altre salite e discese in cui mi pareva di spargere, passo dopo passo, l'ammonticchiare di tossine accumulate per questioni avvenute in quel contesto aziendalinico. escursioni depurative. odisseandare terapeutico.

quella fottuta aziendina ha dieci anni. tutto si è abbastanza consumato e accartocciato nei primi cinque-sei. dopo è soltanto una sorta di abbrivio, come un carrozzone che prosegue a luci spente, e vagola in una direzione, data dagli eventi, senza che ci si prenda più tanto la briga di re-dirigerlo.

in quei cinque-sei anni ci sono stati pochi momenti veramente felici. tanti di un lavorio che sembrava non potesse esserci altro che da far quello. meno [ma emotivamente troppi] di situazioni in cui il trovar risposta alla domanda: che cazzo ci faccio in questa situazione? è sembrato troppo complicato, intorcigliato, incistato: impossibile.

sì. anche momenti felici. tipo l'emozione quando vidi completato il primo lavoro importante commissionato. gratis, ovvio. avremmo avuto la nostra parte nel fatto di far curricolo e nei cd che avrebbero venduto. perché gazzilioni dovevano venderne. quando cominciammo quel progetto non avevo praticamente mai aperto adobe flash. nel giro di cinque mesi arrivai a vedere finito quel lavoro. e mi sentii pure un privilegiato: il primo che lo vedeva completato, non fosse altro per il fatto dovessi gestirne io lo sviluppo e l'integrazione. ero il primo. per qualcosa che pensavamo dovesse essere una killer application in ambito digital-museale. ne ero orgoglioso, anche per la sfida sviluppatoria raccolta e portata a termine. me lo gustai provando l'effetto sul monitor enorme del mac di mio fratello [anche per testarlo su quelle macchine fichette]. scrissi una mail con il cuore in mano alla socia, ringraziandola per l'opportunità mi aveva dato.

coglione.

in realtà fu l'anno dopo che si rivelò essere quello latore di aspetti che poi avrebbero riverberato disastrosamente più avanti. non che comparvero improvvisi. erano in nuce già da tempo. io ero obnubilato e non li colsi, almeno consciamente.

era il 2009. e capii:
  • che dei progetti io era quello che cubava devastantemente più lavoro degli altri. ma questo non significava arrivassi a fatturare più degli altri, anzi. dovevo sviluppare, mettere assieme, cucire tutti i pezzi.e per farlo spesso ero il primo ad arrivare e l'ultimo ad uscire. senza contare i uichend, i festivi. per un progetto praticamente senza capo né coda - lo si capì dopo, ovvio - lavorai praticamente in maniera ininterrotta quasi cinquanta giorni. ricavammo non più di 200 euro. successone;
  • che la socia riteneva di esser una abbastanza irripetibile per la gestione [ed il controllo] di un certo numero di maschi significativi attorno a lei: il compagno attuale, l'ex compagno, il compagno sublimato. io ero quello sublimato, ovvio;
  • che ero minoranza nella maggioranza. quindi va bene il nocciolo con la maggioranza del capitale sociale che decide. però poi, alla bisogna, gli altri due decidevano e stabilivano. poco importa se questo mi lasciava fuori dal consesso per stabilire quel che fare, o situazioni in cui avrei far voluto sentire le mie [sacrosante] ragioni. il cliente ha sempre ragione, taci, il senso.
poi le cose sono rotolate di conseguenza. sino a scoprire a metà dell'anno successivo qual era il paradigma con cui la socia incernierava la nostra amicizia, tra le cose più importanti pensavo stessi vivendo. un'amicizia sostanzialmente ottriata: da lei verso di me. lo capii con una battuta che fece. la sera. si stava festeggiando la chiusura dell'ennesimo progetto prestigioso. i soldi sarebbero arrivati dopo, ovvio. sulla scorta del curricolo con anche quella perla. avevo lavorato come un pazzo fino all'ultimo, ovvio. quella sera - era un lunedì, inizio giugno - la socia butto lì 'sta frase. ed io capii. quell'episodio fu la prima cosa che raccontai ad odg, pedddddddire.

ad usare un eufemismo non la presi benissimo, e non fu una botta di autostima. e tanto per cambiare c'era da pensare al nuovo progetto, che incombeva per la fine dell'estate. appunto. c'era tutta l'estate per completarlo.

in parte venne sviluppato anche qui, da dove sto scrivendo. mi invitarono qualche giorno. "ti porti il computer un po' lavori, un po' ti rilassi". se non sono crollato definitivamente quell'estate è stato anche grazie a quei giorni passati qui. allo scaricare dopaminico nel calpestare con gli scarponi diversi sentieri qui intorno. non so quanto i miei ospiti abbiano capito quanto furono importanti lì [e/o quanto sia riuscito a comunicarglielo fino in fondo].

fu la prima volta. non è stata l'ultima in quel contesto e per far scaricar il malessere di quel contesto.

ora quel contesto è passato [ce n'è un altro, ma il post è già lungo di suo]. rimane ri-edificante ed importante traguardare quei tragitti e quegli itinerari dove, mica robetta, ti vedi sullo sfondo la potenza iconica del cervino. rimane molto intimo e coccoloso scrivere da qui, su questo tavolo. illuminato da questa luce palla. una distesa di bottiglie. piene, nel senso che avrò il piacere di tanti altri brindisi, quelli da scaldare il cuore, anche perché fatti con i miei ospiti. è un po' l'effetto di quando ci si sente voluti bene.

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