Sunday, May 28, 2017

Pioveva, cazzo se pioveva il ventottomaggioduemilasette



Fosse stato un matrimonio si sarebbe detto: sposa bagnata sposa fortunata. Senza il benché minimo appiglio ad una qualche logica stringente. Ma tant’è. Non era un matrimonio, bensì un consesso aziendale, ed in fondo si stava stipulando un contratto tra persone atte ad adoperarsi per un fine comune: oltre a quello ultimo di far profitto, creare impresa, azienda. E quel giorno di dieci anni fa esatti cazzo se pioveva. Io lo presi come un segno di presagio: sarebbe stato cazzo dura, ma alla fine non può piovere per sempre, e ne saremmo usciti. D’altro canto, non c’erano spose bagnate, perché non era un matrimonio, anche se di una [doppia] fascinazione dopaminica era il frutto. Quell’azienda l’avevano decisa in due. Si erano messi assieme pochi mesi prima. Due percezioni di sé articolate ed un po’ distorte. Erano in fase dopaminica: è il periodo in cui la maggior parte delle coppie si sente pronta ad affrontare la sfida di una maternità, è funzionale alla prosecuzione della specie. Loro decisero di fondare un’azienda.
Lei mi propose di farne parte. Un po’ per l’amicizia, un po’ perché avevano bisogno di una figura come la mia. Quando me lo chiese ebbi la percezione di toccare il cielo con un dito. Mi sentii un privilegiato: poter finalmente lavorare con lei. Oggi rimango perplesso riguardo al me di quegli anni, e di quanto fosse distorta la mia percezione di lei, e dell’abbaglio totalmente spiazzante di cui rimasi abbacinato. Al netto della mia poca autostima, ovvio. Non ero una persona del tutto sprovveduta, ero già la fottuta testa di cazzo che sono – anzi, forse di più - soprattutto in termini di selezione – stringentissima- per le persone per cui provare stima. Volevo il meglio. Lei era tra quelle, pensavo.
Accettai. Senza riserve e senza pormi troppi dubbi. Se me lo chiedeva lei non poteva che essere una cosa che mi avrebbe dato un sacco di soddisfazioni. Giusto quei sottilissimi dubbi, istintivi, verso un paio di personaggi della compagine: ma in fondo chi ero io se non il più giovane ed inesperto? Dovevo mettere a disposizione la mia tecno creatività, le mie risorse, la mia capacità di imparare cose nuove “tecniche”. E dovevo confermare quello che lei disse agli altri: è un ingegnere, ma vi stupirà per la sua vena e la sua sensibilità artistica. Garantiva per me, non potevo certo deluderla.
Accettai. Pensai che la mia vita professionale stava per imboccare la svolta definitiva. Per non dire sarei stato finalmente addentro ad un certo tipo di relazioni “milanesi”. E non potevamo che andare verso magnifiche sorti e progressive. Grandi soddisfazioni ci aspettavano. Con il corrispettivo ritorno economico. Quante volte, da lì a pochissimi anni dicevo cose del tipo: quando l’azienda ingranerà definitivamente farò questo e potrò permettermi quest’altro.
Accettai. Quel giorno cazzo se pioveva. Alla fine quel giorno venne fuori un po’ all’improvviso: la combinazioni di eventi, persone in visita, notai a disposizione per firmare l’atto costitutivo. E firmammo, in un palazzo del complesso delle costruzioni svizzere. Tra i giardini di porta Venezia e corso Manzoni. Firmammo dopo un’estenuante spiegazione punto punto al notaio della ragione sociale e l’ambito di attività. Preciso, il notaio, come uno svizzero: voglio esser certo di aver capito bene, volete fare cose troppo nuove per quello che posso intendere - diceva. Mentre fuori pioveva, cazzo se pioveva. Il presagio sarebbe stata dura. Ma alla fine ce l’avremmo fatta.
Alla fine non ce l’abbiamo fatta per un cazzo. E non perché quel giorno pioveva, ovvio. E non solo e non soprattutto, perché di lì a poco – poco dopo quel ventotto maggioduemilasette - avrebbe deflagrato la più grande crisi economica dalla fine della seconda guerra mondiale. Ce lo raccontavamo e lo raccontavamo i primi tempi. Quasi a giustificarci. Non ce l’abbiamo fatta. Nonostante la fatica, la difficoltà, le rinunce, i soldi investiti e soprattutto quelli non guadagnati in quegli anni. Non so come ci si senta quando finisce un matrimonio, o una storia importante. Ho ragione di intuire in maniera non troppo diversa.
Poi si riparte, ovvio. Anche con il lavoro di togliersi di dosso il senso di fallimento. Forse un bel passo avanti sarà quando lo decreteremo – tecnicamente - il fallimento.

[continua]

Saturday, May 20, 2017

20 maggio senza muri, oggi

a parte che il ventimaggio è una data che mi è sempre piaciuta. per quanto gli effetti positivi legati a quel giorno che non hanno avuto effetti così duraturi. però ci furono.
comunque.
ed oggi sarò in manifestazione. che mi sembrava così connaturale fosse organizzata proprio oggi. esattamente come il venticinqueaprile, che è così naturale sia in mezzo alla primavera ormai acclarata. come se qualcosa avesse scelto proprio quella data di quel periodo per far finire una cosa così orribile.
comunque.
oggi sarò in manifestazione un po' come quando vado a quella del venticinqueaprile. in termini di compartecipazione emotiva e di ideali che la animano. [poi, verosimilmente, ci andrò solitario in mezzo ad una fottia di gente. che non so quanto riuscirò a non sentire un po' estranea. ma questo è un altro discorso].
comunque.
andrò in manifestazione con una intuizione che non so quanto renderò mai pratica [forse mai], alcune idee molto chiare e nette, ed anche con una piccola dose di potenziale ipocrisia.
provo a dettagliarle, dettagliandole all'incontrario, cercando di ammonticchiare una specie di climax ascendente.
la piccola dose di potenziale ipocrisia è che non so quanto mi sentirei così coinvolto in altre situazioni. sono una persona fortunata, nonostante i miei blocchi, le mie buchette, le mie imprecisioni e cose che mi stanno zavorrando. ma vivo - ad esempio - in una bella zona, che mi piace, borghese, posso continuare a farlo e voglio continuare a farlo. sono una persona agiata, al netto del fatto che tante altre persone sono più agiate di me. non vivo problemi seri e gravi. non mi manca nulla che mi permetta di vivere dignitosamente per quello che reputo sia il vivere dignitoso. posso permettermi di fare il solidale, quello che ha abbastanza energie positive da rivolgere alle istanze che trovo inclusive, che fanno crescere l'intelligenza collettiva, che guardano oltre al benessere di quante più persone possibili, magari a partire da quelle più "bisognose" [con tutte le virgolette del caso]. però mi sono sinceramente chiesto come sarebbe e come mi comporterei, se fossi costretto in altre situazioni: logistiche, abitative, contestuali, esistenziali che in fondo non mi sarei scelto e che subirei. e so che in questa situazione ce ne sono tanti, proprio tanti, magari pure migliori e meritevoli di me. e tra i tanti che dicono "non sono razzista però" ci sarà pure qualcuno che inizia con quella frase cripto-razzista soprattutto perché la complicazione dell'esistenza li porta, più o meno inevitabilmente, a guardarsi solo il proprio ombelico, o soprattutto quello.
l'idea netta è semplice nella sua complessità epocale. la migrazione di popoli è qualcosa di connaturato al fatto di essere umanità. e in questo periodo, come in altri periodi della storia dell'umanità, è qualcosa - appunto - di epocale. non è un'emergenza [e in questo la classe dirigente politica mostra - non tutti ovvio - dalla misera mediocrità ad una merdosissima faccia]. e le cause sono talmente complicate da risolvere che è inutile, oggi, pensare di rimuoverle o mitigarle. sarà uno sforzo epocale anche quello. punto. è un po' - in miliardesimi e in logica negativa - come la vocazione maggioritaria del pidddddddì: oggi in italia non si può, punto. occorre adoperarsi per cogliere le opportunità di questo fenomeno. a partire dall'idea che l'integrazione e l'accoglienza sono inevitabili quanto necessarie. per quanto complessa è la sfida che questo sottende, chiaro. un po' per il contesto un po' per il fatto si debba crescere in intelligenza collettiva, come popolo. gli olandesi capirono, secoli fa, che non si può combattere col mare, specie se sei una depresssione: alleati e sfruttalo a tuo vantaggio. non è stato semplice, suppongo, e come probabilmente potrebbero confermare gli olandesi. ecco: io oggi voglio essere parte di quell'idea semplice nella sua complessità epocale. perché è qualcosa - di nuovo - che farà crescere l'intelligenza collettiva e sociale. perché posso permettermelo, e poiché posso permettermelo voglio farlo. perché tutta la fatica che ho fatto per divenire quell'abbozzo di caso e di coacervie disperatamente ottimistiche che sono, mi porta a fare questo. punto.

nel mio paese nessuno è straniero.

[aggggià, ci sarebbe l'intuizione che non so quanto renderò mai pratica [forse mai]. ma d'altro canto lasciar i post aperti è financo divertente...]

Saturday, May 13, 2017

a climax discendenti

mi è venuta questa associazione. impropria, decisamente. però mi è venuta.
lessi in un libercolo di storia contemporanea - ce lo fecero acquistare in seconda superiore come libro di testo, non ci studiai sopra granché. però lo ripresi in mano qualche anno dopo. scoprendo cose interessanti. tipo che il fascismo prese il potere a tempo ormai quasi scaduto, nel tempo che lo aveva fatto nascere ed iniziare a crescere.
cioè.
il primo immediato primo dopo guerra scombussolò un'intiera [giovane] nazione. forti tensioni sociali, instabilità politica, grande incertezza per l'avvenire.
nazione che aveva pagato un tributo altissimo di vite [nonché l'aviaria che impazzò subito dopo fece più vittime del conflitto], i costi importanti della guerra anche per i vincitori, svalutazione della lira. va bene gli entusiasmi immediati della vittoria, va bene il proclama di diaz e la storia della risalita in disordine su per valli di quel che rimaneva di uno degli eserciti più forti del mondo, valli che avevano sceso con tanta sicurezza e arroganza tre anni prima. va bene trento e trieste che si muore per. però il paese era in ginocchio, il futuro incerto, la classe politica mica tanto capace di cogliere il rebound epocale, i socialisti che vedevano lì lì il sol dell'avvenire della rivoluzione e la dittatura del proletariato.
insomma. un troiaio.
uno degli effetti di quelle incertezze su il nascere delle squadracce fasciste. e la menata della vittoria mutilata, e l'esigenza dell'uomo forte che rimettesse tutto a posto. la prima azione violenta fu nel '19. reduci di guerra, studenti del politecnico, assaltarono la sede dell'avanti. mica cotiche, gli studenti irredenti futuri ingegneri.
certo erano un po' maneschi questi in camicia nera, però erano per l'ordine e la sicurezza. davano garanzie. un argine per i rossi. insomma. un certo potere costituito, la reazione che non muore mai, li scambiò per utili idioti per tener sul chi va là i facinorosi. tanto quei neri li avrebbero gestiti, riassorbiti, ammansiti, al limite introdotti pure nella gattopardesca melassa parlamentare. dove chi tirava le fila era più o meno sempre lo stesso.
ed il climax stava effettivamente scemando nel '22. quindi i fascisti servivano meno. alcune istanze stavano tornando negli alvei, o comunque sembrava si potessero gestire. i socialisti massimalisti si erano scissi. era nato il partito comunista d'italia. in due facevano meno paura. anche perché cominciarono da subito a scannarsi fra di loro. e la rivoluzione ormai non sembrava riuscire ad uscire dai confini russo-sovietici. insomma: le cose andavano a riprendere il loro normale corso. tutto sotto controllo.
ma come? proprio ora che non erano più necessari questi decidevano di marciare su roma? non era un po' pericoloso? qualcuno abbozzò, che venissero. tanto li avrebbero facilmente assorbiti. qualcuno pensò che forse era il caso di mostrare i muscoli. c'erano i cavalli di frisia già pronti per sbarrar loro il cammino. magari in maniera un po' cruenta ma alla bisogna si sarebbero potuti fermare. il crapone, che a roma ci arrivò in treno, comodamente, poteva anche evitare il disturbo di partire. oppure sarebbe l'avrebbero fatto tornare indietro.
invece il re nano, pusillanime, non diede l'ordine. un'onta che - giustamente - non gli si sarebbe mai levata di dosso. sarebbe bastato un poco di risolutezza. e probabilmente ci si sarebbe risparmiati il ventennio, la dittatura, l'abominio delle leggi razziali, forse anche la guerra per come è stata la seconda guerra mondiale. re nano vigliacco.

la storia, ovvio, non si fa con i se. però ho pensato a questo.
perché ho accompagnato questo parallelo alle mie buchette. un rapporto di parecchie centinaia di milioni (la storia, tragica) a uno (me medesimo). forse un parallelo da grandissima cacata fuori dalla tazza.
però ho pensato che ultimamente

sono titillato in una sorta di autonarrazione di nevrosi, di ossessioni, di inadeguatezze. di cose che una si direbbe anche: ma che cazzo, questo è da soccorrere, mica da accoppiare. e ci sono momenti in cui mi chiedo se riuscirò, veramente, a mettermele un po' alle spalle. perché alcuni atteggiamenti sono così da mo. però ho la netta sensazione che fino a non molto tempo fa la pregnanza esistenziale era ben altra. poi sì, piccolo dettaglio, il conto era incapiente. ero tornato a farmi mantenere da matreme. però, cristosanto, io mi sentivo meno appannato. veramente un'altra persona.
però vivo però questa specie di ambivalenza.
che alcuni di questi blocchi. di nuovo, queste nevrosi, queste ossessioni queste istanze da caso umano, in realtà ora me li sto molto racconanto, perché sono [mi] molto chiari, individuati, accerchiati. [io] me ne rendo conto [di loro]. sono lì. ed è come se quella facile evidenza mi aiutasse all'idea che sbrammm, li si può domare. poi, cazzo, è vero. ne ho talmente contezza che li metto come costituivi portanti del mio essere. poi altro che fare sogni da gluuuump [saliva inghiottita con tensione] da parte di odg.
è come se da una parte mi sentissi quasi oltre il climax. anzi, forse intravvedo il climax discendente. ma dall'altra parte vivo anche la paura di non riuscire più ad uscirne. e che le cose non torneranno a risplendere [almeno] un poco di più. tipo prima. ma con un conto corrente capiente. qualche consapevolezza lavorativa in più [là dentro sono - anche - stimato, forse anche un filo di più di quello di cui mi renda effettivamente conto. e so che la stima non dipende quasi per nulla dalle mie abilità tecniche. che da una parte non è che siano così necessarie, in proporzione a quello che potrei fare, né quanto mi fotta, effettivamente, di usarle]. un po' dispero, sul ritorno di un qualcosa di shining [nel senso di brillante e luccicante]. mi ci aggrappo razionalmente. so che le cose potrebbero cambiare. ma lo so in maniera, appunto, razionale. non lo sento come qualcosa che mi strizza le vestigia emozionali. lo sento di testa. non lo percepisco di cuore o di pancia. tipo quella volta, una volta, ma sono davvero molti anni fa, che provai a pensarmi innamorato di una fanciulla in questo modo. avevo anche scelto la canzone colonna sonora. "baci da pompei" [che passi il segno della piena, su questo cuore su questa schiena, che si addormentino gli amanti all'ombra del vulcano [in effetti il principe ha scritto di meglio]]. tutta roba di testa, niente di pancia [o pisello] a proposito di nevrosi da uno che non era del tutto sul pezzo. che si è [auto]sminchiato un bel tocco di esistenza in taluni ambiti. però ora è come se fossero decisamente un po' altro.
insomma.
forse è climax discendente.
però un po' la paura di finire in una specie di pozzo. che magari non è nemmeno così alto. però l'idea di non riuscire ad uscirne.
forse invece manca tanto così. un po' di risolutezza. ed i cavalli di frisia per alcuni pensieri [quelli che si fanno convnzioni. e le cose diventano complicate e pesanti. ma tutto è solo un pensiero].
fermarli.
e a culo tutto il resto.
niente paura.