Sunday, March 26, 2017

attorno ai sessant'anni dei trattati di roma e quisquilie sull'intelligenza collettiva ed altre amenità psicopipponiche

m'è venuta un'altra piccola psicopippa. peraltro con valore pragmatico praticamente nullo [cfr. dopo]. è in qualche modo omologo et legato al post precedente. quanto meno sulla psicopipponicità di fondo. m'è venuta mentre seguivo distrattatamente la cerimonia per il 60° anniversario dei trattati di roma. che, con molta enfasi, ci hanno ricordato essere i trattati che hanno fatto nascere l'europa unita. e giù con la pomposità del mainstream più o meno governativo. e quindi sullo stato di salute di quel consesso. sugli effetti positivi e sulle speranze disattese. sulle istanze che sono in potenza e sui paradigmi di fondo da ripensare. e quindi, giù in milionesimi, come la vorrei io, in estrema sintesi: meno culo spianato e prono a questo neo-liberismo ed un approccio più umano - e coraggioso - come la sua storia dovrebbe suggerire con i migranti [visto che, tra l'altro, è un fenomeno epocale. roba di cui parleremo per i prossimi decenni].

insomma.

ascoltavo distrattamente mentre pulivo casa, e quasi con ovvietà si è sentito l'insieme del coro del quarto movimento della Sinfonia n. 9 in re minore per soli, coro e orchestra Op. 125, nota anche solo come Nona sinfonia o Sinfonia corale. insomma, l'inno alla gioia.

e mi è sovvenuto di aver letto, da qualche parte, che ludovico van [cit] dovette usare la versione dei versi di schiller e del suo ode alla gioia:


Alle Menschen werden Brüder, [tutti gli uomini si affratellano]


invece altri che tradotti dicevano - vado a memoria - "tutti gli uomini sono uguali e fratelli".

versi che vennero censurati perché considerati sovversivi.

ecco, è roba di due secoli fa, nemmeno. e sessant'anni fa si misero i presupposti per istanziare un qualcosa che a quei versi facevano comunque riferimento, e quindici anni dopo quell'inno e quella musica diventò l'inno dell'europa unita. certo, certo. fu una reazione - construens - al più grande abominio mai pensato e perpetrato dall'uomo. dopo i drammi di due guerre mondiali e tutto quello che significò.

ed un po' sardonicamente, ludvig e friedirich, ci fosse un paradiso chissà quante volte hanno abbozzato per 'sta cosa. roba da: facciamo sommessamente notare che ve l'avevamo detto!

però, manco ce ne fosse bisogno, è altro esempio di come le intuizioni - visionarie - di alcuni, diventano esperienza condivisa dopo un po': tanto, poco, chissà a che prezzo. baluginii iniziali grazie a geni - nel senso più ampio del termine - che arriveranno ad illuminare la strada che si sta percorrendo, come gran bel pezzo di umanità. e roba che serve a buttar sempre più indietro l'istinto bestiale che ci portiamo tutti dentro.

e tutto queste cose qui è il bagaglio di intelligenza collettiva, che è a disposizione di ogni fottutissima creatura che viene al mondo, in potenza.

sarà. ma a me 'ste due cose continuano a lasciar a bocca aperta. come anche se questo fosse una stilla di senso a starci su questo fottutissimo mondo. comprenderla al meglio 'st'intelligenza condivisa. e far qualcosa, qualunque cosa, per onorarla e, se capita, mettercici un respiro in più. ed il mio modo di essere un ottimista, per quanto disperato.

già, disperato.
perché è ovvio che tutto questo ha un senso pragmaticamente nullo. non credo possa essermi utile per alleviare la malinconia da domenica sera. ed il pensiero che domani tornerò in quel posto che a suo modo contribuisce a frustrarmi di senso, oltre che rimpiunguare il conto corrente.
o mitigare la considerazione di grande incompletezza, senza sapere bene da che parte cominciare a provar a completarami.
di più.
il fatto di pensare ai millenni da qui in avanti e all'umanità, che sarà migliore di oggi, è un modo per sganciarsi dall'oggi e dal me - ombelichismi a parte. e l'immarcescibile senso di realtà. anche se è un essere immarcescibile che marcisce e si rigenera in ogni momento. e perdere di vista il senso di realtà è una delle nevrosi da qui devo guardarmi con più solerzia. non foss'altro per il fatto piuttosto probabile, che tra qualche millennio, non ci sarò più, mentre l'oggi e la realtà è quello che dovrei vivere. magari, toh, per cercare di capire da che parte cominciare a completarmi. anche per evitare di dire domani: ieri potevo far altro, e meglio.

quindi, 'sta cosa dell'intelligenza collettiva che ci farà diventare meglio, occhei.
oltre al post, anche domani, vediamo di attaccarci lì un soffio in più. che magari mi percepisco un soffio meglio. e capire anche che potrebbe essere un soffio di completamento.
[poi, come si soffia, nel respiro, si ispira ed espira. ciclici. tipo il mio umore].

Wednesday, March 22, 2017

semo tutti westminster

che poi a me, quando succedono le cose come quelle di londra tipo oggi, mi viene di esser coinvolto in un mood molto teleologico. specie se non sono impegnato a contemplarmi l'ombelico. che già è una buona notizia - personalissima - che si affonda nella cogenza importanza dell'altra di notizia.

tralasciando alcune considerazioni del second'ordine [per dirla alla sviluppo di funzione mediante serie di taylor] è come se mi sembrasse ancora più inevitabile l'evoluzione dell'intelligenza sociale dell'umanità.

per il semplice fatto che gli elementi che - nella complessità del sistema sempre più interconnesso - sono negativi, si contrappone la risposta, orgogliosa, convinta, ineluttabile di una totalità importante.

ed è innegabile che l'elemento negativo sia fottutamente più efficiente nella resa: un singolo terrorista può impattare, rinculare, propagare il suo agire con un effetto deflagrante importantissimo. ne basta uno, basta un singolo evento ed un pezzo importante di coscienza condivisa mondiale è coinvolta a vari livelli.
e si contrappone, ad un'azione molto pragmatica e destruens, prese di posizioni di principio, di proud, e di reazione morale condivisa per certi aspetti eterea, non necessariamente fattiva.

è l'iperbole elevata ad una certa poteza del: fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce.

il fatto cruciale è, appunto, l'inevitabilità. e la numerosità degli alberi. perché - nel caso puntuale di oggi - se ad esempio ascoltando il sindaco di londra uno si sente appartenere al noi e al non ci arrenderemo mai è perché è dentro nel bailammè [silenzioso e inesorabile] della foresta che cresce. e non importa se io a breve potrò tornare nella mia buchetta, altri perderanno le speranze, altri se ne andranno: come tutti, del resto. io son solo un neuroncino dell'intelligenza collettiva. e - se perché sarò nella buchetta o perché non ci sarò più - mi sostiutuiranno due neuroncini magari molto più in gamba di me, nonché più giovani. che daranno il loro contributo a crescere la foresta dell'intelligenza collettiva.

e c'è un'enorme freccia del tempo, che va in un'unica direzione, lo fa da svariati secoli, continuerà a farlo. noi siamo solo di passaggio. l'intelligenza collettiva è a disposizione di ciascuna creatura, e ha davanti una buona approssimazione di quella che potremmo definire eternità [si sa che non è esattamente così, ma è una buona descrizione, suvvia]. per questo figurarsi se può preoccuparsi di un singolo, efficientissimo, terrorista. ed il discorso vale anche con altre quantità idi eventuali terroristi, non è questo il punto. quindi si va avanti, si prosegue. inevitabile, teleologico. [forse sono un po' insoddisfatto della contingenza. e mi butto un po' avanti]. singolarmente siamo poco efficienti. ma siamo in tanti. e l'effetto complessivo dei neuroncini ha davvero un sacco di tempo. ma proprio tanto.

ovvio che vinciamo noi.


Sunday, March 12, 2017

adddddà passsssà a

declinazione di oggi: non ha neppure più tutto 'sto senso provarci.
dev'esser la prima volta che la sfiducia ammanta fino a queste istanze.

Wednesday, March 8, 2017

il banchetto delle mimose, mezzanino della metropolitana

volevo discettare [criticandolo] di renzi. però poi ho pensato che ci sarebbe pure qualcosa di più bello. e anche per delicatezza nei confronti del mio amico itsoh: un po' mi disturbava farlo proprio dopo il piccolo post [suo] genetliaco.

uscendo dai tornelli della metropolitana ho visto i banchetti di mimose. sono sul pezzo i dispacciatori, cominciano prima. non so quanto sia tatticamente ineccepibile la scelta di tempo. però se lo fanno è perché conviene loro farlo: io mi frustro in un lavoro d'ufficio piuttosto tedioso, non vendo gli oggetti alla bisogna del momento nei mezzanini delle metropolitane. che vorrò mai saperne.

di primo acchito mi ha fatto un po' di leggera tristezza. vedere  quei rametti di mimosa pronti all'uso, veloce, rapido, all'occorrenza. domattina i prezzi saranno piuttosto elevati. ora di sera le mimose rimaste si venderanno a prezzo di saldo. lì, così già disposte, sembravano avessero un sapore di consuetudine. che forse non ha spessore. un po' come il post che pensavo avrei scritto.

cioè. non è che sapessi cosa sarei andato a scrivere. così come non l'ho ancora mica in mente del tutto in questo momento in cui scrivo "in questo momento". intuivo però rischiasse di essere poco pregno, abulico, scontato, financo banale. ovviamente c'è di mezzo lo zeitgeist personalissimo di queste settimane. ed è piuttosto patetico debba infilare le mie contumelie anche qui, in un post sulla festa della donna. perché una cosa del genere o che le si approssima, se non lo si era ancora capito, vorrebbe essere questo post qui. [e comunque avevo la sensazione ci avrei infilato la contumelia dello zeitgeist, anche molto prima di scrivere "in questo momento"].

ed in ogni caso intuivo il piccolo scoramento nel ragionare di come, in questo personalissimo zeitgeist, sarebbe stato oltremodo difficile sintetizzare qualcosa di veramente originale e veramente nuovo: ansia da prestazione ex-ante. poi sì, ovvio, c'è un po' il percepito generale che - di nuovo - in questo periodo non corra il rischio di sopravvalutare nulla nel campo del positivo. giusto per usare un eufemismo.

e non solo. non tenderei ad escludere che questa personalissima e circostanziata buchetta, per quanto persistente e noiosetta [altro eufemismo], si sia generata anche per responsabilità delle donne. anzi no: del mio non riuscire a concretizzarci nulla, nonostante un desiderio che ha ricominciato a respirare quasi a pieni polmoni. quindi non è colpa di nessuno, se non della mia timida incertezza e del [fottuto] contesto.

però ho già scritto troppo della buchetta. dovrei tornar su e cancellare almeno trequarti di quello che ho già buttato giù, e buttarlo via. ovviamente non lo farò.

quindi c'è un po' di questo anelito di irraggiungibilità: quasi pratica, fattiva. nel senso che io non riesco a raggiungerne quasi niuna. e che si unisce a tutto quel complesso di cose che le rende uniche. tecnicamente meno banali degli uomini. dev'esser per questo che mi incazzo ancora di più quando ho a che fare con un'idiota, e questa è donna. perché ovvio esistono le campane della gaussiane anche per loro. però c'è un lato irrazionale, o inevitabilmente innamorevole di me, che si dimentica di questo. una specie di minusolo rapimento emotivo in cui si incunea lo stupore agghiacciato: tu sei donna, non puoi esser stupida, lasciala a noi uomini 'sta cosa.
ed in questa inspiegata perplessità credo ci finisca un po' di tutto. anche se non so quanto del tema portante di "ciao maschio", visionario e spietato film di ferreri che ci vedeva lungo sulla decadenza del maschio. quanto dello zeitgeist di cui  [troppo] sopra. quanto di qualcosa totalmente non gestibile e che le rende intimamente inafferrabili, per noi uomini, persino quelli con componente femminile elevata.

e a voler anche buttarci dentro una delle cose più brutte, la violenza di genere - in tutte le sue forme e gradazioni - credo ci sia un po' di questo. il non riuscire ad arrendersi a questa intima inafferrabilità, per quanto percepita forse al di sotto del conscio. talmente spiazzante che di controbalzo fa fare il fallo di reazione. anche se è, né più né meno, una reazione da bestia ferita.

a lasciarle andare, invece, in quella loro intima inafferrabilità si può solo sperare di intuirle: osservandole da un'altra parte rispetto a dove se ne stanno loro. anche quelle nella parte bassa della campana, savàsadannnidddiiir.

e provar a raccontarselo, farsi [ri]attraversare da quello stupore mi fa trasfigurare il ricordo delle mimose sul banchetto, nel mezzanino della metropolitana. che il valore non sta in dove si prendono per regalarle. ma nel fatto che quella mimosa la si dona per celebrare anche [o soprattutto?] quell'inafferabilità. che noi uomini avremo comunque sempre qualcosa da imparare da loro.

quand'anche, e soprattutto, dovessi mai incrociarne una in particolare.

e a culo pure lo zeitgeist.

Friday, March 3, 2017

piccolo-post-genetliaco-itsohico

ci sto pensando da un po'. al post genetliaco per l'amico itsoh.
solo che l'amico itsoh ed io ci siamo scissi.
no. ovvio che stia usando un trucchetto retorico addentellante la più o meno cogente attualità politica. [che però è talmente svilente che io mi sento un leone ruggente la propria autostima].
l'amico itsoh ed io siamo scissi perché spesso mi sento veripraud delle cose è riuscito a combinare, fare, ri-cominciare. e non dire di molte considerazioni, analisi, recensioni, riletture che propone. roba che spesso mi dico: cazzo, vorrei averla avuta io 'st'intuizione.
anzi.
ormai non lo dico quasi nemmeno più. troppo più avanti. e non si tratta di poche incollature.
no, no. proprio distanti.
scissi, appunto.

gli faccio gli auguri uguale. che poi conta poco se siamo scissi. l'abbraccio comunque. anche se forse meritava un post genetliaco un po' migliore e meno affranto di questo.

vabbhè. magari passa.

intanto auguri amico itsoh [scisso].