Saturday, February 18, 2017

buon compleanno, stocazzo

e pensare che il uichend scorso mi son pure detto: a 'sto giro è di sabato, quasi quasi organizzo una specie di festa o sublimati, giusto per condividere la giornata genetliaca.
è finita che ho tenuto il telefono spento - come lo è ora - per tutto il giorno.

tanto per cambiare non ci è voluto moltissimo a farmi passare da un umore all'altro. solo che quando passo a quello pesto mi sto scoprendo abile a esplorare nuovi anfratti disperanti. nel dettaglio un venerdì dicisassette [quattrocentodiciassette anni dal rogo di giordano bruno] iniziato male e stanco. tre [piccoli] rimbalzi scorrelati ed involontari, ed un quarto che si è palesato quasi beffardo, da altrettante donne. un kebab ed una birra che hanno prodotto un fastidioso pungolo allo stomaco per gran parte di un concerto piuttosto poco empatico, per me almeno. gli auguri di matreme e delle bestiole di casa giunti poco dopo la mezzanotte, quindi accolti quelli di chi ne ha l'ovvia primigeneità. mi son detto: spengo il telefono, e divento irreperibile. come se non mi sentissi pronto ad accogliere il piccolo giubilo perché mal riposto.

così è stato un brutto compleanno. verosimilmente il più brutto mi sia mai capitato di vivere. con l'angosciosa sensazione sarà il primo di una lunga serie se non mi darò una mossa. che poi è il nocciolo della questione. darsi una mossa, agire, fare, sintetizzare una qualcosa forma di reazione e di porsi costruttivamente per andare oltre. esattamente quello che non riesco a fare. da qui l'insoddisfazione - a 'sto punto - verso di me piuttosto che verso il contesto. se non si rischiasse di fraintenderlo, o se non fosse così forte mi verrebbe in mente un altro sostantivo da rivolgermi: disprezzo. che ormai l'ho scritto, e non so quanto valga la parte iniziale del periodo per sminuirne l'effetto, o il senso.

per questo non mi sentivo degno di ricevere auguri, più o meno sentiti. per quanto degno sembra così intriso di retorica, che pesca a man bassa dalle categorie morali. ma il disagio è quello, di quel parentado di manifestazioni in cui l'autostima sembra di nuovo evaporata, con una tale facilità che al ghiaccio secco fa una pippa. incapace di godermi l'affetto altrui, più o meno sentito, perché sono il primo a non volerlo a me stesso. e quindi con una certa protervia lascio fuori dalla porta quello degli altri. forse perché è una specie di richiesta d'aiuto che però so già faticherò ad accettare.

sono i paradossi o le circonvolute logicità delle mie ossessioni nevrotiche. nonché, diciamolo, delle pipponissime estravaganze di uno che non ha grossi cazzi a cui pensare, niente di veramente preoccupante o serio. almeno in questo momento. e quindi vagola a ricercare con una certa soddisfazione qualcosa che lo possa rendere infelice, o disperante, o scoraggiato, o asociale. che poi è anche questo un punto cogente. l'ossessiva ricerca da speculazione [pre]intellettiva, con cui mi difendo dal fare, agire, prendere contatto con la fisicità delle cose. come se quel meccanismo di difesa che ho usato da subito per affrontare la complessità del divenire, che ho colto a grandi linee  prestissimo da piccolo, si stesse rivelano qualcosa di ipertrofico. ed impazzito mi blocca. una specie di malattia autoimmune. e mi fa vivere così, che uno spegne il telefono, per lasciare tutto il resto fuori.

solitamente, negli ultimi anni, tenevo questa parte di giornata genetliaca per rispondere a ciascuno. oppure per scrivere il post tardo genetliaco da convidere - uno ad uno - con coloro che si erano ricordati. solitamente provavo una specie di piccola nostalgia per il fatto la giornata genetliaca volgesse al termine, nonostante le apprensioni che l'anticipavano.
questo [brutto] compleanno lo faccio a mo' di contrappasso. rimanendo nell'alveo ossessivo della speculazione abbastanza fine a se medesima, con cui mi difendo. a 'sto giro declina nello scrivere.
un po' perché rimanga traccia nelle contumelie blogghiche. un po' per chiedere scusa a chi, eventualmente, leggerà qui. perché in fondo voglio poco bene a me medesimo. e rendo difficile che gli altri me ne vogliano. è una doppia mancanza. oltre che il viatico acciocché qualcuno possa - giustamente - dire che può bastare anche così. e così in teoria darmi l'occasione futura per continuare a lamentarmi.

ovvio che diventa oltremodo complicato continuare così. e soprattutto stancante. troppo stancante.

è probabile che domani appizzi il telefono. ed arriverà tutto insieme quello che ho, surrettiziamente, tenuto fuori oggi. perché nei comportamenti ossessivi, quand'anche per difendersi da sé medesimi, c'è dentro sempre un qualcosa di irrazionale, e soprattutto che non è efficace. quindi arriveranno tutti assieme.

chissà se troverò quello dell'amica paola. o se potrò prenderla per il culo per un altro anno, ricordandole e ricordando ai suoi amici che si è dimenticata anche di questo genetliaco mio. perché d'altro canto lei ci rimane male quando gli altri si dimenticano del genetliaco suo. per quanto è meno irrazionale il suo comportamento rispetto al mio.

tanti auguri a me, stocazzo. e chiedo scusa se qualcuno che passa di qui ha trovato il telefono spento o similari. posto questo post, spengo il piccccccì, vado a dormire e la chiudiamo qui. prima addirittura che finisca la giornata delle ventiquattrore: davvero pessime. [ma in fondo ho fatto tutto io].

Wednesday, February 15, 2017

piccolo memento, quanto penso che bisognerebbe smontare un po' i piedistalli alle persone

la prima ragazza cui mi sono dichiarato di chiamava nicoletta.
cioè, intendiamoci, non è stata una dichiarazione nel senso stretto del termine. diciamo che glielo feci sapere. latore del mio messaggio da innamorato fu orazio, un mio compagno di classe. me l'avevano messo vicino di banco perché ritenevano potesse essergli utile. situazione scolastica complicata. era simpaticamente un rompicoglioni ueueeueesco, orazio. devo averglielo confessato - per la prossemica obbligata - che mi piaceva nicoletta. e organizzammo acciocché fosse lui a farglielo sapere.

io non avevo naturalmente il coraggio.
dopo che orazio glielo fece sapere lei tergiversò, doveva pensarci, riferì. quindi ci avrebbe detto lei: non so se ad orazio o direttamente a me. io mi sentii però da subito libero da un peso. e soprattutto  autorizzato ad osservarla con gli occhi a forma di cuore. rincoglionito ed inebetito, verosimilmente. lei mi sgamò un paio di volte. la prima forse provò financo piacere. la seconda percepii distinto di aver pisciato fuori dalla tazza del vaso. si indispettì, intimidita probabile, dal mio sguardo da pesce lesso innamorato. da lì a pochi minuti disse ad orazio che non se ne faceva nulla. il primo due di picche per interposto compagno di classe simpaticamente rompicoglioni e ueueueuesco. naturalmente piansi lagrime amare, da lì a poco, a casa: tutto smetteva di avere senso, e non avrei più amato nessuno come lei.

la dichiarazione vestigiale per vergognante timidezza.
caricare di ossessione la potenziale storia.
il due di picche [con annessa fine della mia esistenza da innamorato].
tripletta.
roba che era già in voga allora. come se me le portassi geneticamente dentro. e di rimbalzo in rimbalzo - non nel senso specifico del due di picche - fino a tutte le difficoltà, le nevrosi, le complicazioni che sconto ancora oggi. invero anche se negli ultimi tempi un po' di tutto ciò è stato smontato. d'altro canto coi soldi che già dato ad odg. il fatto è che da smontare c'è tanta di quella roba che levete.

vabbhè.

mi è sovvenuta nicoletta sotto la doccia. e non per quello che onanisticamente si potrebbe pensare. mi è sovvenuta nicoletta perché allora lei era innamorata, mi dissero poco dopo, di un suo compagno di classe. invero con la faccia un po' da pirla, pensavo. però nicoletta era persa dietro costui. in realtà poi c'era una sorta di classifica delle persone che le piacevano, come per molte sue compagne del resto. ed era un ranking dinamico, nel senso che uno saliva o scendeva a seconda dell'evoluzione del ciclo degli zuccheri ed ormoni che già regolava la ciclotimia di quelle femmine, anche a quell'età. alla cima di quel ranking c'era pur sempre quello con la faccia da pirla. e, udite udite, in quel ranking c'ero pure io. a dirla tutta ero messo piuttosto male dopo il due di picche, però mi capitò di risalirci. ricordo che una volta a diretta domanda
- ma a nicoletta piace di più questo tizio o io me medesimo?
- no, mi ha detto che adesso tu le piaci più di costui.
- allora guadagno posizioni.
- sì, anche se ce ne sono ancora un bel po' davanti.
poi qualche giorno dopo.
- comunque mi ha detto nicoletta che adesso le piaci più anche di quest'altro.
- accidenti, le piaccio sempre di più, allora.
- certo, e se arrivi a piacerle più di [biiiippp], allora significa che il suo cuore sarà tuo [il [biiiip] è per censurare il nome di faccia-da-pirla, e dubito che ci si riferisse in maniera corretta al pronome femminile in -le, piuttosto sbagliavamo usando il -gli]

sotto la doccia mi è sovvenuto questo ricordo del ranking. perché in fondo lo sto usando al contrario. o quanto meno in maniera instrinsecamente denstruens. perché mi sta capitando di riconsiderare la considerazione verso talune persone, tipicamente abbattendole un po' dal piedistallo in cui le avevo piazzate. e poiché piazzare persone sul piedistallo è una nevrosi in cui mi sono esercitato con vigore e convinzione, almeno fino a un po' di tempo fa, in fondo la maniera instrinsecamente destruens è qualcosa che diventa ontologicamente construens. quanto meno per me. forse meno per l'ego delle persone de-piedistallizzate. anche se è probabile non verranno mai a saperlo.

ecco. sto considerando il ridimensionamento del piedistallo di uno che stava abbastanza piedistallizzato, per una serie di coincidenze e di fraintendimenti. ora sono un po' più assertivo, se non anche a tratti meta-incazzato, sicuramente più critico. poi il resto vien un po' da sé. considerando che la stima che prima sembrava esser nata come incondizionata si può anche ri-pensare, pur rimanendo magari alta. senza strepitii. ma pensando che qualche cazzata più del previsto passa in quella testolina. e che forse il modo di raffrontarsi non è sempre e necessariamente encomiabile.

forse è la frequentazione più assidua.
forse è che sono più sul pezzo io.
forse i piedistalli non hanno proprio ragione di esistere. quindi neanche il suo. poi vabbhé, quando si cade dal piedistallo, il rumore può esser robodante. ma poi passa, intanto si è mosso il ranking dei piedistalli. chi lo sa a chi tocca un livello sopra?