Wednesday, November 30, 2016

post politico, anche se il referendum c'entra fino ad un certo punto /1

non mi sento un trascinatore di chicchessia. però ogni tanto qualche psicopippa politica mi viene pure di farla. nonostante il periodo. nonostante tutto.
con qualche premessa, però.
  • matteo renzi non mi è mai piaciuto. ho un fortissimo bias verso tutti gli egotici. forse obnubila un pochetto la capacità di giudizio. forse mi tiene sul chi va là. il bias, dico [tipo il negativity bias funzionale alla sopravvivenza];
  • non sono strutturalmente un elettore del piddddddì. tanto meno un suo militante. quindi posso esalare le mie contumelie incistose senza remore di violare una qualche disciplina di partito. rispondo solo alla mia onestà intellettuale. non è poco. uno è molto più libero di;
  • questo post mi gira in testa da parecchie settimane. poiché sono sul pezzo lo scrivo a ridosso del referendum armaggheddon de noartri. ma col referendum armagggggheddon de noartri c'entra poco;
  • c'entra poco ma con perfetta scelta di tempo esalerò le mie contumelie incistose in aperto contrasto con chi - credo proprio - andrà a vincerlo. sono i sincronismi strategici di uno che pragmaticamente non sempre le azzecca. anzi, quasi mai. non che dovesse venirne fuori chissà che, in caso contrario. è che proprio ho quesa innata capacità ad andare in controfase.

matteo renzi non mi è mai piaciuto. credo di aver sviluppato il mio personalissimo bias pochi minuti dopo averlo ascoltato per la primissima volta. lui non ricordo neppure se era già stato eletto sindaco. fu a "l'infedele" - ricordi apppppalla di quella trasmissione psicopipponica e coltissima. il lunedì. capitò qualche volta che la vicina precedente soverchiasse le arzigogolazioni di lerner con gemiti inequivocabili. dovevo alzare il volume.
dicevo.

lo ascoltavo, lui seduto e a suo agio sulla poltrona principale. si mise a discutere con un vecchio militante di una qualche circolo del pidddddì di firenze. odddddio, discutere. si capiva che tra i due non scorreva tutta questa gran simpatia. dettagliarono su una qualche istanza veramento molto locale loro. roba da sindaco di un paesino ed un astante incrociato per strada. però ricordo il mood, al limite della irriverente tracotanza, che usò con uno che aveva decisamente di più del doppio dei suoi anni. non è che le persone anziane non dicano delle cazzate, neh? ma l'approccio era quello di uno che non ammette contraddizione del proprio punto di vista. mascherato da un tono finto amicale-confidenziale. un tono che faceva risaltare il brio vigoroso del giovane. giovane che in fondo mette a suo posto l'anziano, in nome di un giovanilismo sempre meno idelogico, de-ideologizzato. e che la parte stantia era la parte non de-ideologizzata. rimasi piuttosto disturbato dall'effetto complessivo che ne uscì. anche se, allora, non riuscii a capire cosa mi aveva dato quella strana sensazione. intuii però che quel baldo giovanotto, con l'aria così giovialmente risoluta, non mi piaceva.


poi, parecchio tempo dopo, vinse le primarie. me lo ricordo bene quel giorno. chiesi all'amico itsoh se era lecito che anch'io votassi per un consesso che non sentivo organicamente mio. però volevo appoggiare civati. mi piace parteggiare per quelli più perdenti. andai a votare con la mia socia. forse l'ultima cosa significativa che feci con lei al di fuori del contesto lavorativo. [rientrati dal seggio mi chiese 'ma perché, visto come siamo messi, tu non te ne torni sul lago?'. la domanda mi spiazzò. ma come? stavo resistendo pervicacemente in quella situazione. non volevo esser io quello che mollava. e costei mi invitava a farlo, dando per scontato che ormai significasse poco tener così duro? il fatto è che la cosa mi sembrò più chiara, qualche mese dopo. e comunque non c'entra con renzi. anche se in un episodio le faccende si incrociano].
il giorno dopo 'gazebo' mandò in onda un servizio. la prima giornata da segretario di matteo. con la loro cifra stilistica i gazebiani commentarono: matteo renzi è segretario del pd da nove ore, ed enrico letta è ancora presidente del consiglio. il vincitore delle primarie non mi era mai piaciuto, però mi parve di un'irriverenza poco centrata. tipo una specie di piccola pisciata fuori dal vaso. mi tornò in mente solo qualche settimana dopo.
poi venne il nazzareno, nel senso di quello con i capelli di kevlar che entra nella sede del pidddddddì. un po' rabbrividii. però "se le riforme bisogna farle, non si può farle che con loro". il nuovo segretario del pd non mi era mai piaciuto, però pensai che forse ne avrebbe avuto la meglio. che riuscisse ad avere sorte migliore del suo precedessore con i baffetti [che non mi è mai piaciuto, ma giusto una fettina di meno del sindaco di firenze. nel senso che quello coi baffetti mi dispiaceva di meno. ma giusto una fettina]. riuscire domare quello con i capelli di kevlar. il più grande affabulatore e raccontatore di realtà pro domo sua alla bisogna, nonché incidentalmente una iattura di questo paese. [peraltro che trio di egotici: quello con i capelli di kevlar, l'ex presidente della provincia di firenze, il baffetto]. insomma: magari l'ex rottamatore avrebbe avviluppato e reso inoffensivo quell'altro. non foss'altro per la naturale consunzione di quest'ultimo.
poi venne l'hastag #enricostaisereno. in tivvvvù, con quel piglio un po' da teenager un po' boyscout, rassicurante. il nuovo che avanza, che pure dà del tu ai giornalisti chiamandoli per nome come vecchi amici, non mi era mai piaciuto. però non vedevo ragioni per non credergli. occhei. occhei. aveva giusto dimesso fassina con un "fassina chi?". a proposito del rispetto degli avversari politici. però non vorrà mica prendere il posto di letta. no? specie dopo quella dichiarazione in tivvvvù. cioè, faccia il segretario, vediamo come rialza le sorti del suo partito e intanto quell'altro fa il presidente del consiglio.
e difatti il segretario matteo, ogni sera, pigliava il treno con graziano del rio e se ne tornava a firenze. studiavano sui tavolini del frecciarossa. lui e il sottosegretario in pectore alla presidenza del consiglio. il confidente fidato, l'uomo con cui definire alcune strategie per quando non sarebbe più stato il presidente del consiglio in pectore. del rio omologo di gianni letta per quello con i capelli di kevlar. un altro letta, sì, quell'altro: lo zio del presidente del consiglio non in pectore. quello che nove ore dopo l'elezione di renzi a segretario del pd era ancora primo ministro. cosa poteva aspettarsi dieci settimane dopo?

il mio amico itsoh si chiedeva un paio di giorni di prima, se alla fin fine non sarebbe finita a tarallucci e vino. e nulla sarebbe cambiato. forse se lo chiedeva per scaramanzia. gli risposi che ormai sembrava chiaro anche a me: con il suo nuovo presidente del consiglio se ne sarebbero viste delle belle.

enrico poteva starsene serenamente fuori da palazzo chigi. anzi, da chigi, come lo chiama il nuovo inquilino quando lo nomina su tuitter. forse palazzo porta via caratteri per i tuit. forse è per giovanilizzare il rapporto con i luoghi del potere.
durante il rito dell'avvicendamento ci fu il più sincero scambio della campanella della storia repubblicana, almeno a giudicare dal paraverbale dei visi. nessuno sforzo di mascherare lo stato d'animo da parte di nessuno dei due. il nuovo presidente del consiglio non mi era mai piaciuto. ora sapevo che era anche uno di cui bisogna fidarsi molto, molto, molto poco. [e non avrebbe più preso il treno, peraltro, da quel momento in poi]



[però, non è mica finito. mi sa che continuo]

Sunday, November 27, 2016

il culo oltre l'ostacolo

finirà anche questo lunedì.
passerà anche questa settimana.

non sono linee programmatiche particolarmente sostenibili, mi rendo conto.
confido solo sia qualcosa confinato nella congiuntura e che non debordi nella struttura.

diciamo che è resilienza.
finché resisto.
se resisto.

Sunday, November 20, 2016

post lamentoso. già visti altri, peraltro

volevo scrivere un post in cui mi lamentavo. giusto per sfogar la mia frustrazione. a 'sto giro avrei tirato fuori la declinazione nuova, non ancora esplorata. la chiave di lettura con quel principar di originalità.

però, a questa veneranda e frustrata età, sono ancora vivo. quindi non lo scrivo.

al limite ce ne sono millemila lamentosi con millemila gradazioni di lamentatia indietro di qui. a voler vere pure negli altri blogghe. mi ripeto con una certa noiosa costanza.

se qualcuno vuol avventurarsi peschi a caso. facciamo come se l'avessi scritto 'stasera. [in cui continuo ad esser vivo].

cose così.

Sunday, November 13, 2016

sandddeibblluuus end supersaiszmuuun

il feisbuch mi ha ricordato che ci sta la supersized mood. era dal - boh - 1940eunpezzo che non era così vicina. per altre decadi non accadrà più.
chissà dove sarò, per quelle decadi a venire.
non mi stupirei se anche per allora non incrociassi delle belle infilate di giornate in cui tutto sembra non infilarsi.
tipo questa.
con questa domanda di questa nuova, per quanto già esperita sensazione.
roba che non è nemmeno sunday blues, ma qualcosa d'oltre. un sottile senso di nausea pre-ansiogena. il ticchettare dei minuti che mi separano dal lunedì mattina, e da quando uscirò da quella fottutissima fermata della metro lillà. e terrò lo sguardo basso, giusto per non vedermi inghiottire da quel palazzo acciaio-vetro-cartongesso.
il ticchettiio che riverbera attorno ai seni così doloranti ormai da giorni, senza troppa soluzione di continuità. e quel mal di testa sottilmente assillante. sul bordo di sentirlo non appena ci si distae. le giunture delle scapole [al netto dell'imprecisione del termine] scriocchiolanti. le fasce muscolari del petto indolenzite.
è domenica sera.
ho consumato i miei riti per esorcizzare l'ineluttabilità della sveglia del lunedì mattina. per mesi et mesi li ho eseguiti. con la consapevolezza non dovessero più esorcizzare poi 'sto granché. ma questo novembre, questo periodo, questi giorni sembrano altresì battersene di quei riti. [che poi sarebbero pizza fatta da me, birra, ed una puntata di una qualche serie da guardare sul monitor grande dell'altro piccccì. i primissimi bocconi, quando è calda e croccante sono lo stimolo al gusto di quella che chiamavo - impropriamente - sinestesia. fatto sta che è buonissima].
ma i riti, in fondo, bloccano e portano alle coazioni a ripetere. [d'altro canto, sono nevrotico].
è il caso cominci a pensare di andare un po' oltre. anche se forse non sarà così immediata l'azione [d'altro canto, sono nevrotico].

ora pubblico, senza rileggere. così vado a dormire il prima possibile. e almeno non ci penso più. magari un po' di sonno in più lenirà il dolore sottile alla testa.
e a quel punto non resta che aspettare la telefonata dell'amico luca. quella dela svangatia del lunedì.

Monday, November 7, 2016

enzo - hombre vertical - biagi. ed i ricordi conseguenti

quando se ne andò ero sul lago. ferie forzate. un pezzo di culo [la parte alta] mezzo sbragato che doveva richiudersi da sé. seguii tutti gli approfondimenti che seguirono, anche se qualcuno un po' ipocrita. tanti i tributi, meritati. qualcuno masticò amaro. la grandezza di quell'ometto che si stagliava sulla nanosità di piccoli uomini: alcuni coi capelli in kevlar, peraltro.

me lo ricordo quel giorno. fu un'emozione intensa. perché sentivo di voler bene a quell'ometto. una specie di riconoscenza [maieutica?] per come si era posto e si poneva nella realtà delle cose. sensazioni che s'impastavano con quelle di istanze in altri ambiti, piuttosto diversi. era il mood che tinteggiava quel periodo. dovevo starmene con il culo prevalentemente all'insù. però traboccavo di fiducia molto speranzosa. ero lì, un po' immobilizzato, e trepidavo di tornarmene perché qualcosa stava cominciando. e mi sentivo pieno di voglia di parteciparvi e indirizzare le cose. contribuire con un bel pezzo di entusiasmo. 'ché sarebbe venuta quella specie di soddisfazione professionale. non poteva che andare così. ci credevo ed ero pronto. prontissimo.

invece non è andata esattamente così. anzi: quasi per una minchiaz così.

sono passati nove anni. ed è la solita sensazione dicotomica. anzi no: tricotomica. da una parte sembra poco più che ieri. dall'altra il mondo si è capovolto per un bel pezzo ed è successo di tutto. dall'altra ancora sembra però che sia cambiato poco nulla. e quello che è rimasto non mi piace. no, proprio non mi piace.

l'entusiasmo è evaporato, da un bel pezzo. la fiducia se l'è portata da qualche parte l'incedere delle cose. che succedono, neh?, eccome se succedono. però a me sembra di rimanere impanato più o meno dalle stesse parti. dove ci provo anche a dare delle spallate per muovere il culo. e invece sono poco più che bottarelle, piccoli piriti quasi-comici. che per i più grossi cambiamenti son dovuti scoppiare i bubboni. sennò, magari, sarei ancora più ingolfato e fermo al palo. bubboni che mica ho fatto esplodere io, nemmeno a quello son stato bbbbbuono. purulentano, i bubboni. e poi ovvio che si disfano e scaraventano fuori lo stantio delle cose insonstenibili. [occhei, occhei, forse è un po' forte. però il patetico pulp ogni tanto mi piace]. in miliardersimi mi ricorda un po' la prof di letteratura, a proposito di bubboni. quando commentava, un po' amaramente, che per manzoni sì: bella cosa la divina provvidenza. però per far sì le cose si sblocchino, nel plot del suo discreto romanzetto, deve venire la peste. sennò corcazzo che renzo portava all'altare lucia [la prof, ovviamente, non usava queste espressione idiomatiche poco graziose].
ecco. è questo il fatto. vorrei evitar come la peste una cosa simile alla peste o i bubboni. però intanto il culo non riesco a muoverlo. nonostante tutti i miei abbozzi di sipotrebbeanchefare. è quel fottuto modo condizionale. ragiono, penso, vaglio, considero, scrivoinbrutta, ipotizzo, pondero, immagino. poi rimango avviluppato nella gommosità di quel fottuto condizionale. condizionato a quel che pare essere la mia poca capacità di muovere il culo.

nove anni. sentivo di voler bene a quell'ometto. non mi meravigliò quando scoprii che, partigiano, lo era stato nelle brigate di giustizia e libertà. devo avere una qualche forma di archetipizzazione politica nel partito d'azione. mi prende una specie di emozione dentro, che neanch'io so come. aveva la fottutissima capacità di immergersi nella complesssità delle cose. con la schiena diritta: hombre vertical. nell'affrontare e di spacchettare la complessità per capirla, e farla capire. come una specie di dovere morale.
chissà cosa avrebbe detto dei politicanti da urlo di oggi, appena nove anni dopo se n'è andato avanti. chissà cosa avrebbe pensato del tentativo di ridurre, ostentamente, la complessità in un sacco di slogan. lo facevano già quando c'era lui, figurarsi. anche questo sembra che no, non sia proprio cambiato.
proprio in quei giorni, nove anni fa, feci un sogno che mi toccò. di quelli di cui sarebbe garrulo l'amico luca. sognai di essere sull'appennino. ci ero andato con l'alfagittttivù con cui allora scorrazzavo. ero finito in un paesino, quello dov'era sepolto. volevo andare a visitarne la tomba: tutto molto foscoliano. l'aria era calda. il sole stava tramontando.  la luce rossastra e radente. una sensazione struggente. qualcosa di bellissimo. trabocco di emozioni che nemmeno si sa come raccontare. di quei sogni che quando ti svegli dici: cazzo, è già finito.
forse un tutt'uno con il mood di quei giorni.

provo a non guardarmi troppo indietro. però un po', quella cosa lì, mi manca. minchiaz se mi manca. ma nel senso che manca oggi, qui ed ora. non per la nostalgia per quella che ci fu, allora. ingarbugliato, ma guardo più avanti che indietro. cose così.





[comunque sì, dai, diciamolo. sono stato un pochino melodrammatico. è la congiuntura di questi giorni, suvvia. non è vero che proprio nulla sia cambiato. pochi anni fa, e pochi anni dopo quel mood mi sentivo talmente immobilizzato che un giorno, osservando un'autoclave di "milano spurghi", mi divertii a pensare fosse quasi meglio andare a far quel lavoro, piuttosto che rimanere nella sensazione di quella situazione. anche in virtu del mio essere anosmico. oggi non mi sento così impantanato. vorrei cambiare, certochesì. ma ogni tanto mi diverto a pensare possa accadere per cose decisamente più deliziose. molto più deliziose].

Thursday, November 3, 2016

piccola psicopippa sullammmmmore [intermezzo] troppo veloce anche per i filme

A. mi chiama al telefono. sto guardando la terza puntata di "the young pope".
siamo qui, dietro casa tua, raggiungici. sono con i miei due amici. hanno ribadito tu sia molto simpatico. P. ha detto di muovere il culo che ti offre una birra.
muovo il culo. li raggiungo. interessanti vaibrescion: ho fatto bene a schiodarmi da casa.
noi si gioca ad ordinare birre, bottiglie da una pinta, in quattro. per provarne ogni volta un assaggio. vellicando il palato. cheers, come dicono lassù. P. lavora lì, è in italia poco. cura i bambini, figli della perfida albione.
noi si gioca a dibattere sul referendum. tre a uno per il no, in quella tavola. mi chiedono i motivi della mia scelta. mi tolgo il maglione, arrotolo appena le maniche della camicia. mi sento lieve, anche se un po' contratto - dentro. comincio a raccontare il perché. rintuzzo le obiezioni, argomentando un po' come viene. non sono preparato, retoricamente, come vorrei. ma non sono nemmeno troppo sprovveduto. un altro giro di birra. cheers.
tutto molto amichevole. mi sciolgo un poco. domani tornerò in quel posto a provare a giustificare la prossima fattura. la numero 24.
A. gioca a stuzzicarmi, titillarmi. sono le nostre dinamiche. scherzandoci esorciziamo il desiderio di sano sesso taumaturgico: sst. lei cerca di sedurmi. io ribadisco davanti a suoi amici che potremmo fare la doccia assieme, senza che io ne rimanga turbato. intendo che chi mi ascolta intenda cosa intendo per turbamento. è come una sorella - dico. mi fanno notare che solitamente non si fa la doccia assieme alla sorella.
continuiamo ad argomentare. un altra bottiglia di birra. cheers. P. ricorda di come sua cugina [sua cugggggina, sua cugggggina - semi-cit.] sia rimasta colpita da alcune considerazioni che mi erano scivolate fuori alla sua festa dei compleanno. che poi era la seconda volta che vedevo P. la cugina pensava fossi laureato in filosofia. ho studiato altro. e quella sera non ricordo di aver raccontato nulla di particolarmente pregno di preparazione. è che mi faccio molte psicopippe. qualcosa di macinato pronto all'uso è pur sempre disponibile. ricordo che la cugina indossava una gonna corta oltre che avesse avuto in dono tette decisamente grosse. e per un attimo - le sedute basse - mi era pure parso non portasse biancheria intima. ma potrei sbagliarmi, ovvio.
P. mi dice, per celia, che era convinta mi fossi portato almeno a casa il numero di quella cugina.
no. nessun numero. e comunque, le dico, ricordavo anche di un'invitata molto timida. graziosa. provai a scambiarci qualche parola. ma non sono abile come l'amica A. che conosce gente con irritante facilità e con altrettanta naturalezza fa sentire l'altro come ci si conoscesse da sempre. un po' l'invidio l'amica A. per quanto ogni tanto si becchi delle sonore trombate relazionali. P. mi chiede chi potesse essere quell'altra invitata. e poi in un attimo le sovviene. ed ancora più velocemente le parte un filme. ecco - mi dice - avresti potuto recuperare il suo di numero. è una ragazza speciale. intelligente. molto colta. ed ha delle tette piuttosto grosse anche lei. cazzo. sì. vi ci vedrei bene assieme.
io rimango in sospeso sul ricordo di come mi pare di aver percepito un timido disagio, quella sera, da parte di costei.
P. mi smentisce in parte. strano - ribatte - non è certo il tipo che rimane a disagio facilmente. è molto gioviale. forse quella sera non conosceva proprio nessuno ed è rimasta un po' troppo in disparte.
sì. sì. sì. dobbiamo trovare il modo di farvi re-incontrare. bisogna capire come e dove.
e mi sovviene una situazione strana. quasi dicotomica. perché, da un lato, mi convincono poco queste situazioni da agenzia matrimoniale. dall'altro mi accorgo che è sgombra da qualsiasi perplessità, paura, titubanza, quella specie di visione che mi suggerisce l'idea che sì: perché no?
come guardare d'infilata una serie di cornici. ed osservare oltre, per osservarsi accanto ad una donna. come una specie di ovvia, serena, placida normalità. ed in un momento così rapido - e fugace - dirsi: non avrei poi tutta questa paura.
a prescindere da costei, ovvio. che magari non vedrò nemmeno mai più. ma è come se mi trovassi d'improvviso a tu per tu con questa cosa qua. guardandola in faccia e chiedendole del perché mi sembrasse così estranea.
costei non è neppure un filme, perché ho fatto il salto lunghissimo in avanti. dimenticandomi, appunto, di costei. ma percependo l'essenza di quel miscuglio di cose che dovrebbe essere avere una relazione.
forse è il caso smetta di raccontarmela che non mi interessa.
forse è il caso di prender atto che la cosa mi spaventa sempre meno.
cheers.