Friday, September 30, 2016

il boogie dell'amica liude e dell'amico luca

l'amica liude e l'amico luca [mica tanto] quasiquasi si sposano.
nel senso che convolano ma per sulseriamente.
fa un po' strano, di primo acchito. penso che per certi aspetti faccia lo stesso effetto anche a loro. fa un po' strano perché non si può dire che sia il coronamento di qualcosa che sono quindici anni che [intuisco] costruiscono pezzo a pezzo. quindi, senza rimanere intruppati nell'ordinario, fatico un po' a ragionare in termini di coronamento, quando quello che conta è il passo dopo passo. è un po' tipo la stessa ragione del viaggio, che è viaggiare. mica coronare.

certo. certo. è un passaggio importante. tanto che ce lo vogliamo festeggiare garrulmente per bene. e sono piuttosto convinto che tutti - tutti - saranno lì in maniera poco formale. ma perché all'amica liude e all'amico luca si vuole bene. a cominciare dalla bella sintesi son riusciti a mettere assieme. che fosse solo per il testacoda italico sarebbe quasi banale. ma è per quel loro completarsi a vicenda. quello che sborda da uno è l'altro che lo accoglie. quello che manca ad uno è l'altro che ce lo mette. dovrebbe essere così [intuisco] in un po' tutte le coppie. non sono molto ferrato, dal punto di vista esperito sull'argomento. però per l'amica liude e l'amico luca mi arrogo un po' di certevolità lo sappiano fare decisamente meglio della medievolità di un sacco d'altri.

sanno benissimo e a memoria dove vogliono arrivare. anche perché sanno benissimo da che parte sono partiti. ed io me la sono vista bene quella scena, ex-post, di lui che si fa riconoscere da dentro la sua auto, e pensa ai minuti piuttosto contati, che poi crescerà la coda in autostrada per l'argentario. e che però, per cortese garbatevolezza, non lascia trasparire nulla: dandole la libertà di prendersi il suo tempo. e me la vedo lei con il suo sguardo elegante ed un po' timido che gli dice, chinandosi appena, perché i visi arrivino alla stessa altezza: so che sto facendo una cazzata. perché quando i visi si osservano con la reciprocità di porsi sulla medesima vaibrescion si può andare lontano. ed è un oplà di quindici anni. decidendo di andare al passo del passo dopo passo e vediamo cosa viene. si può andare lontano, e sono andati lontano, in un fottutissimo mondo adulto. si può sbagliare da professionisti. ma poi si sa che dopo un passo se ne farà un altro. e per questo ci vuole una grazia che mica in tanti possono garantirsi.

e noi saremo lì a festeggiarli, l'amica liude e l'amico luca. che nella sostanza non cambierà nulla. il boogie risuonerà sempre lieve, ironico, soave, perché sanno benissimo e a memoria dove vogliono arrivare. che poi sarebbe la storia del non fermarsi.

l'amica liude e l'amico luca si sposano. non si corona niente. è un abbraccio svolazzante che si fanno. è un passo di danza per poi ricominciare con il passo che viene dopo. non servono cose roboanti. a noi non ci impressionano mica più. è il passo che viene dopo è qualcosa che regala una stilla di cose belle a questo fottutissimo ed ingiusto mondo. è una stilla. però c'è. quindi anche questo ha nel suo nocciolo tutto l'amore che può salvare il mondo. ed è la loro.

e pace se questa sensazione strana che avviluppa pure me è un inganno di quella cosa che condividiamo, quella cosa che fa provare i sentimenti. sentimenti che declinano negli svolazzi lievi come fosse un scivolare di passi di boogie. declinano grazie quella cosa che chiamano anima. che bell'inganno sei, anima mia. e che bello il tuo tempo, oggi. e che bella la compagnia, assieme a questa, a costoro. all'amica liude e l'amico luca.

 e quindi che si alzino i calici.




Sunday, September 4, 2016

piccola psicopippa sull'amore/1 [lei ed io? o è solo il mio sistema endocrino?]

se la serenità mi si avvince ogni tanto mi parte qualche psicopippa che supera l'orizzonte del mio ombelico.
tipo una cosa sull'amore. nel senso del sentimento che fa rima con cuore. robetta da nulla, peraltro non particolarmente originale. se ne parla da qualche millennio, in tutti i modi e modalità. ne avran ben tirato fuori una sintesi finale, no? che mi ci metto anch'io? seppure in millimiliardesimi, ovvio.

peraltro psicopippa non del tutto srotolata. intanto comincio a scivere.

il tutto è partito da un fatto potenzialmente esperito, ipotetico, che non è in essere. che forse è solo una specie di reazione anticausale dal punto di vista endocrino: ossitocina, dopamina, serotonina a palla, tutte e tre. cosa [mi] succederebbe se finissi come da accezione anglofona fall in love. che quelli son pragmatici: si casca nelle braccia dell'ammmmmmmmmmore. che dovrebbe essere un po' lasciarsi andare nell'altro. che mi si pittura nella testa l'idea di un lanciarsi più o meno senza rete sotto, però quanto meno dovrebbe esserci l'altro.

già, l'altro.

ho immaginato di come quel cocktail endocrino, con quel mics di neurorecettori, fosse così legato all'altro, specificatamente quell'altro. l'altra persona, quella che rende sensato e senziente quell'irrazionale desiderio di andare ed agire. a me si delinerebbe con una donna, compatibilmente con i miei gusti sessuali. donna, quindi. per quanto potrebbero essere un po', che attivano chissà quali centri della mia testolina. ed io mi sento sciogliere in sollucchero, anche se solo figurato. non so perché solo alcune e non altre. ed in fondo mi interessa capirlo fino ad un certo punto. anzi, chi se ne fotte [non nel senso figurato. anche perché con costoro, con una donna di questa categoria ci farei l'amore. che un fio alla distinzione tra il fottere e il fare l'amore non può non esserci in un post sull'amore, che fa rima con cuore. per quanto cinico e razionalista scettico sia].

insomma, l'altra.

e mi immaginavo di esser lì con costei, così come di entrarci in una sinestesica comunanza di sensazioni, verosimilmente belle, solluccherose, piacevoli. come se, per alcuni momenti, non esistesse null'altro che lei, l'altra. come se quella tensione a lasciarsi andare, il volo senza rete, fall in love, fosse la cosa più inevitabile. [cazzo: guarda che casino combinerebbero quelle tre -ine, sostanze secrete, a trovarsi a pensare all'altra - condizionale, che l'altra non è solo ipotetica]

già. ma poi mi son chiesto, spietatamente: quale altra? o meglio: è l'altra o il riflesso dell'altra, se non addirittura la sua effige, che poi vorrebbe dire la sua mitizzazione?
e quindi ho avuto la strana sensazione - stavo guidando, avevo appena portato in discarica una cucina vecchia - di come si coinvolga o si travolga l'altro in qualcosa che poi è strettamente personale, privato, intimo. come intimo è il mio sistema endocrino, no? quindi ho intravisto uno iato. come se da una parte si pensasse all'altro come causa e fine. e in quel fine metterci una specie di senso, importante. ma soprattutto elemento trainante, generatore. mentre dall'altra, forse in realtà è una specie di elemento passivo, subisce, credo in maniera del tutto involontaria. io - nell'ipotesi - mi sento così coinvolto e con il cuore che accellera quando la penso. mentre in realtà non è che il mio sistema endocrino. penso che causa e fine sia lei. però potrebbe essere anche un'altra lei, in un altro momento, in un altro contesto. e quindi, se tanto mi dà tanto - o per inferenza - non è che quella cosa lì è affare sostanzialmente privato? e l'altro ne è coinvolto, seppure a suo malgrado?

e qui mi fermo. che il ragionamento è contorto. ma prosegue, ovvio...

Thursday, September 1, 2016

altrovismi

e niente.
avrei potuto essere da un'altra parte questa sera.
che poi nella vulgata pragmatica si poteva anche scrivere "avrei dovuto". ma non in quel modo marziale e spigoloso del dovere: inteso come verbo, il contraltare strutturale del sostantivo, che non sempre ha connotazioni del tutto negative. dipende, il dovere, come l'accompagni.
ma basta con questi arzigogolismi, o arzigogolevolezze, o arzigogolevolità.
dicevo.
si sarebbe potuto scrivere "avrei dovuto". che la sfumatura del condizionale [aiò, avevo detto basta agli arzigogolamenti] lo rende più dolce, affettuoso. "avrei dovuto" suona melanconicamente di qualcosa che avrebbe potuto essere. e poi la vita, un po' di vita, va da un'altra parte. senza che questa deviazione non riesca a non un essere po' a sorpresa. senza che la si sia meditata, preparata, studiata, pensata, ragionata, ponderata. deviazione, e così venga.

è servito anche questo, deitticamente, essere qua e non dall'altra parte, a guastarmi l'umore nei bei modi delle crisi isteriche di ragazzina adolescente. roba che svuota di energia all'improvviso. roba che ogni passo per entrare nella fottuta metropolitana, una volta usciti da quel fottuto palazzo, si facesse più pesante e lento. quasi che al binario ci si arrivasse asintoticamente. roba che metti in fila tutte le cosucce cosìcosì che son state inanellate nella giornata. solo che non sono in fila, ma in circolo. e quindi continui a passarle sempre più velocemente, e non finiscono mai. e si alluppano. e si fa sempre più fatica a far il passo dopo per arrivare al binario.
roba che non hai nemmeno la forza di prendere quel fottuto libro e leggere. giusto prendersi la testa tra le mani, con i gomiti appoggiati appena sopra le ginocchia. e mandare silenziosamente affanculo la tempesta ormonale che c'è nel sedile accanto, tra due giovini. che lui risponde a monosillabi timidi, lei lo sconquassa di domande, con la vocina dolce. ma in fondo si percepisce dove vorrebbero essere quei due lì, altro che in metropolitana.

e tutto si è come ripresentato. l'eterno ritorno delle buchette razionali. ci finisco dentro. con l'idea di non essere più in grado di uscirne. e questo giustificasse le mie pavidità, il non buttarmi, il non provarci, lasciar perdere: anche con una ipotetica donna. perché sono qua. e non là. e poiché questo è un dato di fatto potrebbe essere uno stimolo per.

ed invece, con l'eterno ritorno, son qui che me la remeno blogghicamente. ritornarci e scriverci sopra. mai con sintesi e mai senza refusi. come un'adoescente un po' isterizzata qualsiasi. sfogar le mie frustrazioni, piccole, grandi, medie, qui dentro. a tornar all'eterno ritorno, che poi tecnicamente dovrebbe essere pure questa una nevrosi. continuare a tornare per dilatare il momento, che vieppiù rischia di diventare incazzoso.

qui. invece che altrove. che può essere altro che dall'altra parte. dovrei avrei potuto essere. anzi deve ormai essere altro. basta che non sia il qua come ora. altrove. per cominicare ci vuol solo quel pizzico di coraggio. e meno pavidità.
cose così.
intanto vado a dormire. così la chiudiamo qui, tanto ormai qua sono. meglio andare avanti. sinestesicamente.