Saturday, June 25, 2016

post [nel senso di pubblicazione in un blog] settimanale epocale

domenica scorsa, arrivando nella stazioncina delle [ecs] ferrovie norde mi hanno regalato una bottiglietta di te. è la nuova versione, bionaturisticofescion, c'era scritto sul volantino. "bene" mi son detto "la userò nel uichend quando camminerò sulle acque dei floating piers, e farò fotografie bellissime".

martedì o mercoledì - non ricordo esattamente - sulla metro lilla, al mattino, andata, salgo sul vagone assieme ad una donna di giallo vestita, capelli corti, non propriamente bella, ma promanante un qualcosa di fascinoso. ovviamente mi faccio cadere l'occhio sulle mani: verifica anelli. fede all'anulare sinistro, sposata. ci sediamo di fronte io apro il mio libro, lei si china a recuperare lo smartofono. nel chinarsi si acclara il suo decoltè, e il reggiseno - pare - rinforzato. osservo che osserva con uno sguardo un po' magnetico/magenitizzato qualcuno di fronte a lei ed un po' di sguincio alla sua sinistra, quindi alla mia destra. dopo un paio di fermate, quasi d'improvviso, la donna di giallo vestita si alza e lo raggiunge, lo abbraccia, gli schiocchia un bacio che è felicità e desiderio e dolcezza e possesso. tutte queste cose assieme. ha lo sguardo di una donna innamorata, esperienza che non è propriamente nelle corde degli sguardi che ho ricevuto: o di cui ho avuto consapevolezza, almeno. è una situazione strana, con un sottile mood erotico. molto probabilmente sono amanti. desiderio clandestino, ufficialmente. lei appare molto coinvolta e rapita, ed in fondo se ne fotte della gente che riempie il vagone metropolitanolilla. se ne fotte perché in quel momento è li solo con lui, forse un po' più impacciato, o imbarazzato, o semplicemente banale nella sua mascolinità. la osservo, di sguincio, quasi di nascosto, mentre appoggia il viso sulla spalla di lui e immagina chissà quali romanticherie o amorevoli incrociarsi di lombi, oppure nulla di tutto ciò: semplicemente si vive quella parentesi di tenerezza e di esclusività nello stargli accanto, prendendoselo. probabile che per lei, in quel momento, non ci sia la metropolitana e nemmeno lo stimolo visivo la porta via dal viaggio che lì lì se ne sta facendo, forse un po' sognante. e in tutto questo penso quanto è fottuta l'evoluzione, e il trucco che ha inventato che fa uscire, alle componenti sensibili del nostro umore, quello sguardo lì, quel lasciarsi andare ed appoggiare il viso sulle spalle di qualcuno che si è scelti, nel pieno della metropolitanalilla. quel fottuto trucco che dovrebbe portare - secondo i fini [auto]utilitaristici dell'evoluzione medesima - a riprodursi. e che invece spesso non avviene, il riprodursi dico, ma ci si tiene la parte divertente del giocatttolo. anche se poi la fase dopaminica finisce, e si risprofonda nella melma della quotidiana normalità. e gli sfanculamenti in canna. quanto guano di normale quotidianità è necessario cubare per qualche attimo, ora, giorni, settimane di sguardo rapito appoggiando il viso sulle spalle nella metropolitanalilla?

mercoledì comincio a rinunciare all'idea di camminare sulle acque. e pace per il te bionaturisticofescion che mi hanno regalato nella stazioncina. e pace per le bellissime foto che [non] avrei così fatto. troppa gente. troppi colli di bottiglia. troppa fatica. mi era balenata l'idea di far la zingarata di arrivarci di notte, in parte a piedi. ma da solo, nel mezzo del buio ad attendere l'aurora e l'apertura, dopo la stanchezza frustrante della settimana lavorativa, è qualcosa che va oltre le mie forze e il mio umore. non ho più ventanni. o prese di consapevolezza di realtà così.

giovedì mi hanno suggestionato che i sogni un po' dexteriani-pulp forse non mi raccontano il desidero di seppellire [figurativamente, ovvio] persone e situazioni vive. ma forse stia cercando di seppellire o far seppellire [figurativamente, ovvio] mio padre. dopo dieci anni, sarebbe anche il caso. anche perché, probabil, la cosa comincia a ribollire laggiù nell'incoscio. e gli epifenomeni che risalgono - tipo la lava nelle camere magmatiche dei vulcani - non sono particolarmente rasserenanti.

venerdì mi sono svegliato apprendendo la notizia della brexit. la sera prima i sondaggi raccontavano il contrario. e mi è balenato che l'europa poteva andare a finire. mi sono scappati un paio di pensieri: uno molto congiunturale, l'altro un poco meno. il primo è stato che sarebbe stato un fine settimana pessimo. il secondo che uno degli effetti, da qui a qualche lustro, è che potrebbe scoppiare di nuovo una guerra, nel bel mezzo di questo continente. non che questo infici la mia visione teleologica, che l'umanità non può che progredire e che l'intelligenza e coscienza collettiva evolva verso il meglio. dei piccoli passi indietro capitano. cosa sono i riflussi piccolo-epocali di fronte allo spianarsi dei millenni? noi, tutti noi, presi singolarmente siamo flebilissime e rapidissime luci accese, e dopo spente.

il uichend è da daùn. come spesso accade. troppo spesso. lucina ancora più flebile.

Tuesday, June 21, 2016

nozze d'argento [con la compulsione] [e con finale un po' patetico]

venticinque anni fa davo lo scritto di analisiuno.
avrei dato l'orale qualche giorno dopo, indossando calzoncini corti, piuttosto inguardabili. la professoressa vedendomi avvicinare alla cattedra dopo avermi chiamato esclamò: "che bei brrrrragotti!" [la 'rrrrrrr' è perché aveva una erre decisamente arrotata].

comunque.
lo scritto di analisiuno.
quel giorno iniziò la compulsione più importante sia riuscito a vivere - o la più soffocante da cui mi sia fatto inibire [o castrare].

naturalmente il tutto stava montando da tempo. e poi deflagrò da sotto il culo. il giorno dello scritto di analisiuno, appunto. una cosa da [pseudo]innamoramento ossessivo compulsivo. che c'era 'sta regazzetta graziosetta, cui pensavo di suscitare [quantomeno] stima. e che poi si sarebbe innamorata, e quindi ci saremmo sposati e poi la storia dei figli e cose così. naturalmente tutto nella mia testa di fantasioso para-romantico. che ero ancora molto bagatello ed ingenuotto. l'unica cosa che azzeccai era la stima da parte sua. però nel mood della pina di fantozzi, che quando lui le chiede: ma tu mi ami, lei risponde: diciamo che ti stimo. la declinazione che mi capitò fu che, per anni, dopo i suoi duedipicche io mi allontanavo un po'. e poi lei mi rammentava la sua stima. ed io ci ricascavo. convinto che lei avesse finalmente cambiato idea. e che si fosse innamorata [possibilmente di me]. era insomma arrivata la volta buona. e invece arrivava puntuale il duedipicche successivo.

e via, compulsivossessivamente, di questo passo per anni. troppi. roba che mi si sono rinsecchiti i maròni, ad aspettare una cosa che non sarebbe mai arrivata. nemmeno [o soprattutto] durante versione cinica-edonistica-lattttrinesca del: ti prendo senza sentimento, nel mentre ti strizzo le tette e poi ti abbandono con te che ti rendi conto - ormai in ritardo - di tutto quello che hai lasciato andare in questi anni. era un modo per evitare di raccontarsi lo pseudoinnamoramento che era tornato ancora, per quella che sarebbe stata l'ultima volta. e invece era l'ultima manifestazione - mascherata da cinismo - di quella cosa che pensavo fosse sentimento, invece era un altro epifenomeno delle mie nevrosi. in quel periodo, le solite malelingue, raccontavano si fosse trasformata in una spregiudicata del sesso. acchiappo discotecaro, e quel che viene viene. malelingue sicuramente. o forse una compulsione anche la sua. ovviamente io sarei stato l'ultima persona con cui acclararla.

cercavo di costituire, irrobustire il mio sé erotico. ed invece incappavo in coazioni a ripetere da timido impacciato. con tutti i riverberi che poi questo avrebbe continuato a produrre. una mezza sega, insomma.

finì, specificatamente con lei, un giorno di tardo-inverno/inizio-primavera/quasi-estate. ho rimosso la data. la stavo chiamando con il telefono del collega che poteva contattare anche i cellulari. a metà del numero posai, illuminato, il ricevitore. basta! - mi dissi. senza preavviso: un momento sei lì a recitare la personale parte di servo della gleba, e un attimo dopo sei libero da quella specie di giogo che ti sei messo financo da solo.

negli anni a venire son tornato meno spesso su quel tipo di compulsione. e per fortuna. l'impaccio e la sensazione di non essere all'altezza mi fanno - tutto sommato - ancora piuttosto compagnia. anche se le cose col tempo sono sensibilmente migliorate.

peccato per il tempo impiegato, buttato. ce ne ho messo tanto, troppo. perso un sacco di altre occasioni: che probabilmente mi avrebbero portato a storie che lancinatamente sarebbero finite. oppure freddamente si sarebbero cristallizzate, ingabbiate nella noia del quotidiano. come peraltro accade al 95% delle storie. l'inesorabile pancia della gaussiana della vita di coppia.

ma oramai un po' tutto è andato. e il pensare son già passati venticinque anni dà una specie di brivido. una vertigine. di come siano, da un certo punto di vista, volati. e dall'altro di come si siano consumati, come una sigaretta accesa - lasciata lì, dimenticata - che piano piano brucia il tabacco, che diventa cenere. fumati, appunto. [img. l'ultima sigaretta del condannato].

Sunday, June 12, 2016

l'orchestra verdi, le increspature e gli arrangiamenti sulle sinfonie solo nella mia testa [speculativa]

l'orchestra verdi è una realtà interessante di questa cittameneghina. suonano - toh - al teatro verdi, che però sta in largo mahler. el bepìn ci sarebbe rimasto peggio se il teatro verdi, con l'orchestra verdi che ci suona dentro, l'avesso fatto in piazza wagner. ma in piazza wagner, forse per complicità campanalistica ad uno degli aedi del risorgimento, ci han messo un mercato comunale e non un teatro. la zona è piuttosto fighetta, quindi è un mercato comunale non propriamente con i prezzi popolari. altresì la casa di riposo dei musicisti giuseppe verdi, fondata e voluta dall'autore de "Nabucco", "La Traviata", "Il Trovatore", "Rigoletto" e molti altri, è proprio ad un tiro di fionda. da piazza wagner dico, non da largo mahler, dove suona la verdi nel teatro verdi. [anzi. sembra proprio che el bepìn decise di costruirla lì, perché quivi i terreni costavano poco, essendo allora zona periferica, mica quella fighetta di adesso - dove, invero, si sta però proprio bene].

ma meglio non divagare.

dicevo. l'orchestra verdi. è un'orchestra sinfonica, in gran parte di futuri talenti. è verosimile che qualcuno debba affinare un po' le abilità per divenirlo del tutto, talento dico. cioè. intendiamoci. per suonare bene, suonano molto bene. solo che le [piccolissime] increspature che ogni tanto ci infilano dentro, complessivamente, mi riverberano piuttosto chiare, e mi suonano acclarate. d'altro canto sono quasi da sempre stato un emerito rompicoglioni, cosa di cui non vado molto fiero. epppppperò mi son anche reso conto di aver sviluppato una capacità di raffinazione uditiva, di cui potrei andare - questa sì - tutto sommato fiero. forse anche per compensare l'anosmia. il mio amico luca sarebbe, pure lui, fiero. lui che del coacervo bouquetico degli odori sa farne narrazione. poi, verosimilmente, l'amica liude è financo più capace di distinguere i dettagli. ma son dettagli, appunto.

ecco. una cosa del genere invece io ce l'ho con l'udito. udito che è pretenziosamente in ascolto nel fruir musica, meglio se dal vivo. intoniamoci: non ho l'orecchio assoluto che - tanto per cambiare - mi piacerebbe avere. d'altro canto risuono con molte note nella mediocrità della ggggggente normale. quando accetterò finalmente il fatto come una vittoria [semicit.] avrò neutralizzato il cinquantapercento - almeno - delle mie nevrosi. niente assoluto, quindi. ma una più che dignitosamente interessante capacità di discernimento.

forse fa pure un po' il paio con quelle consapevolezze che via via son venute fuori negli ultimi anni. mi accorgo delle increspature. so che ci sono orchestre migliori. così come mooooolto peggiori. e forse è per questo che quando alla fine di novembre la tappa obbligatoria, nella mia hometown, è quella di ascoltare il concerto di santa cecilia della banda dell'hometown: ci si trova per una festa, bel posto neh? ma sono sempre sensazioni stridentemente soffocanti, quindi non propriamente piacevoli. per la festa e per la banda. dall'accordatura degli strumenti, che ognuno va un po' dove gli pare. le dinamiche che mancano: niente forti e piano, solo un quasi forte persistente. l'inesistente personalità nella direzione che appiattisce l'esecuzione: una noia monotona [una sola parola: da leggere sia nella la versione sdrucciola che in quella piana della parola: monòtona monotòna]. come d'altronde è lo zeitgeist che percepisco della hometown, bel posto neh?

ma non solo. mi accorgo sì delle increspature. ma mi accorgo anche di trovarmi intento ad inventarmi incipit di variazioni sulle sinfonie. roba che potrebbe sembrare arrogantella, mi rendo conto. se non fossero solo timide vocine, melodiette, dentro, che non si pongono in modo tronfio. anche perché, naturalmente, non sono in grado di ricordarmele né tanto meno di metterle per iscritto. d'altra parte improvviso con molte variazioni nella mediocrità della ggggggente normale. quando accetterò finalmente il fatto come una vittoria [semicit.] avrò neutralizzato il cinquantapercento - almeno - delle mie nevrosi.

forse fa pure il paio con quelle intuizioni di come potrei andare oltre, con variazioni dalla contingenza lavorativo-esistenziale. magari mettendo decisamente più in uso quel milieu incasinato che ho dentro, ma che trovo più interessante, e più vicino a quel che mi sento essere. ecco. anche in questo caso sono, vocine, melodiette, incipit di possibilità di arrangiamenti. come se intuissi come potermi muovere, come fraseggiare secondo schemi armonici anche piuttosto diversi fra loro. cosa arrivar a poter fare per provarci.

ma dura un attimo. come pensare alle variazioni che prendono un po' di corpo sonoro nella loro evanescenza, ma solo quando a darle vita, nella mia testa bacata, c'è la sostanza della musica che suona vera e reale. musica che non morirà mai, fintanto che ci sarà qualcuno a suonarla.

io posso solo ascoltare e fruire. pace, se non riesco a trovar da che alzare lo sguardo dalla leggera frustrazione che ne segue. quando accetterò finalmente il fatto come una sconfitta avrò neutralizzato il centopercento delle mie nevrosi. nel senso che avranno vinto loro.