Sunday, April 24, 2016

leggere o lo zelig della lettura

non amo gli aforismi. cioè. non è che non gli ami tuuucccuur. però non amo l'uso facilone che ne si fa. quasi una specie di nozionismo à la carte. con poco sforzo, e tanta apparenza.

però c'è uno, di umberto eco, che mi piace. e che sento intensamente nella carne emozionale.

"Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito... perché la lettura è un’immortalità all’indietro."

perché ogni volta è immergersi nella vita che l'autore inventa per chi lo legge. con il tempo, lo spazio, la matericità, la pienezza che contraddistingue la vita messa lì a disposizione per [ri]viverla. certo, lo faccio in maniera compulsiva, con poco filtro: di conseguenza mi immergo in un po' di tutto. spesso cose mediocri. raramente in situazioni che era meglio lasciar perdere [per quanto, quando si inizia un libro, è quasi un obbligo verso di lui arrivare in fondo]. capita anche di trovarsi in un qualcosa di sublime. ed è come vivere una stilla di paradiso laico, anche se si è immersi nei patemi più urticanti*.

certo. ho cominciato a farlo, anche perché c'è stato un periodo in cui pensavo avrei potuto scriverle anch'io, vite in cui far immergere gli altri. e dai libri scritti male si impara financo quasi di più: anche solo per non cadere in quegli errori.

certo. ho rinunciato un po' alla lettura saggistica. che non bastano mille vite per intravvedere lo scibile. però è ugualmente affascinante intuire una scintilla nuova. e tutte le psicopippe che possono conseguire.

sicuramente mi sento spesso zelig. [mi] entrano talmente tanto alcune di quelle vite, che è come se avessi l'impressione di viverla con la stessa cifra stilistica. o magari viro leggermente la mia, di cifra. sintonizzandomi con quella dell'autore. solo che lui costruisce vite, io al limite scrivo mail o post psicopipponici.

in tutto questo però ora mi chiedo - perché una certa goduria nella psicopippa destruens mi è rimasta - se questa duttilità nell'appropriarmi in posizione laterale delle vite, che l'autore costruisce, non celi qualcos'altro. cioè, l'ho sempre vissuta con curiosa capacità di immedesimarmi, quasi a entrare nell'ordito: per prendermi il meglio. il dubbio che sia uno strascico di fuga dalla realtà, per compensare il narrato [mio] del presente vivo e vegeto. che a volte mi risulta esser spesso così insoddisfacente. o se non sia - al netto del sessismo dell'iperbole - una manifestazione di non aver abbastanza i coglioni: per tener solo io la barra sul cassero, senza sublimazioni o prese in prestito. tipo i libri della biblioteca, che prendo e riporto come il piccolo rito laico, personale, rassicurante: dalla chiacchiera con il bibliotecario biblio-pusher, ad una pretesa di allargarmi oltre i confini del paesello, che è sempre un bel posto, ma io vorrei altre vite, altra gente. foss'anche solo dentro la piccola pila di libri con cui me ne vado ogni volta.

certo. certo. ho passato situazioni ben più tese [la salute, comunque bene, grazie]. e questa, al limite, è una psicopippa da effetto di bordo.

tanto la risposta non ce l'ho. e posto che non ne esiste una sola. potrei cercarla dentro di me. ma verosimilmente è sbagliata. rinuncio ancora a guardarmi qualche filme. e mi riprendo un libro, da qui ad un po'.




*le correzioni, espiazione, tutto potrebbe andare molto peggio, follia, il ciclope, storia di irene, le opinioni di un clown, cecità... e qualcun altro ancora.

Tuesday, April 19, 2016

ciaone un paio di palle [e stocazzo]

lo ammetto. il fatto che domenica scorsa non si sia raggiunto il quorum mi è spiaciuto. soprattutto e prevalentemente per l'argomento in sé [mi ero informato, ho votato consapevolmente, valutando anche l'aspetto simbolico che dalla specificità del quesito promanava], in parte perché avrebbe potuto sconfessare e portare a più miti consigli il nostro imperatore del consiglio.

sì. uso il sarcasmo.

perché ho tutto il diritto di ammantare il mio voto anche di un significato [anti]plebiscitario. il presidente del consiglio ha il dovere di non fare ironia pelosa sul fatto sia andato a votare [anche io]. ed ho anche il diritto di sentirmi un po' incazzato per la demagogia usata per stigmatizzare la pretesa inutilità di un voto. si poteva unire referendum ad amministrative, risparmiando un bel po' di soldi. ovviamente però così il quorum si sarebbe raggiunto.

detto questo.

ho letto una suggestione che l'amico itsoh ha condiviso sul feisbuch. verosimilmente a 'sto giro abbiamo votato allo stesso modo. per come si sta configurando il divenire degli eventi credo che non sarà così per un po' di prossime volte. questo non toglie che [ovviamente] continui a volergli bene, oltre che continuare a considerarlo tra le persone più intelligenti [nel senso più ampissimo del termine] conosca.

insomma. la suggestione è questa. subito ho commentato sulla pagina del feisbuch dell'amico itsoh. sottolineando che avrei votato no. ex-post mi viene da pensare sia stata una specie di commento un po' "avventato". non tanto perché non ne condivida il senso, ovvio.

ma perché, semplicemente, mi sento tautologicamente costitito [a fatica] così. non c'è mica bisogno di sottoscriverlo. quasi come se si dovesse dichiarare l'ovvio: per quanto un ovvio cui sono arrivato [o ci sto tendendo a meno di un o piccolo, molto piccolo [questa la capisce che ha fatto quel minimo di analisi matematica]] con discreta fatica. ma di cui vado moderatamente fiero.

certo. io non sono un militante politico. anzi. non sono un militante partitico. perché di politica, nel senso più ampio e nobile o dis-nobile del termine, cerco di curarmi da tempo, molto tempo. fatico ad intrupparmi, e preferisco sentirmi libero di ragionare [appunto] ogni volta, senza dover sottostare a nessuna "disciplina" di nessun partito. forse è per questo che fatico, sempre di più, a riconoscermi in uno di quelli messi a disposizione - movimenti inclusi, ovvio. e nel contempo non riesco a reprimere una forma di idiosincrasia crescente verso l'imperatore del consiglio, agganciando il mio bias a situazioni che sono in partenza personali [sue] e che poi diventano meta-politiche. perché con gli egotici vado in quasi totale anti-empatia, è un limite mio, ovvio. se altresì l'egotismo diventa cifra stilistica per governare e di modificare modificare pezzi di Costituzione, e farlo in quel modo mediamente irricevibile, il problema s'ingrossa. sempre dal mio punto di vista, ovvio.

putroppo non si possono espuntare i pezzi peggiori. o si piglia così, o nulla. bene, allora nulla. i mantra dell'articolo di cui sopra, lodevolissimi ma per target altri rispetto a me, non sono in discussione, figurarsi.

e non mi curo troppo che da questa parte si stia formando un'accozzaglia di gente: a molti dei quali non darei nemmeno le chiavi del lucchetto della bici con un pedale ciancolante. sono loro - a 'sto giro - che si sono avvicinati: meglio ribadirlo da subito [anche perché so che pure questo diventerà uno dei trend più toooopic nella retorica da #ciaone di chi gestirà la campagna per il sì.].

solo i cretini non cambiano mai idea. io spero addiritura di aumentarla, l'idea dico.

Wednesday, April 13, 2016

proprio nel giorno del genetliaco dell'amica liude

oggi è stata una giornata moderatamente di merda.
capita.
a dire il vero negli ultimi tempi capita sempre di meno. resta il fatto che almeno una volta al mese mi capita di metter assieme un po' di eventi, tecnicamente fastidiosi. solo che poi si mescolano con altre coincidenze qua e là. ed io quindi sbrocco.

mi è sembrato di tornare al patimento dei bei[?] tempi. quelli simil bohemien, o quella cosa lì.
quando vagolavo senza particolare meta e senza apparente soldo in giro per milano. a ridermi amaramente un po' addosso, che poi è il modo in cui uno dissimula il proprio compatirsi. compatirsi, ecco una cosa che non augurerei a nessuno. però ogni tanto capita, ed una volta, troppo spesso, mi capitava.

ho camminato. un po' per secernere quel minimo di endorfine. un po' per godermi i raggi di sguincio del sole al tramonto. che bucavano l'aria tersa e pulita. sono i regali che lo scroscio improvviso sa regalare. scroscio che non mi ha colto, perché ero semplicemente in metropolitana. ho camminato pensando che questi giorni così speciali - aprile, che cazzo di gran bel mese è - quest'anno provo a afferrarli un pochetto. senza provare quella sensazione che stordisce di vederli correr via, e tu sei impegnato a raccapezzarti in altro. tipo lo scorso anno. sono migliorato, è vero. sempre troppo lentamente, però.

mi prendo il bicchiere mezzo vuoto della lentezza o quello mezzo pieno del fatto stia facendo meglio?

ho camminato. all'ultimo momento ho deviato, allontanandomi da casa. dentro quel tramonto con la temperatura fresca ma gentile. immagino che l'odore fosse di qualcosa di frizzante, arioso, terso. un'arietta che punge delicata, solletica la pelle, invita a non ritirarsi.

ho deciso di andarmene nel centro e poi ancora di più. una serie di installazioni del fuori salone. dove si percepisce netto che il mondo è qualcosa di ampio e variegato. perché incroci visi e sguardi che sanno di umanità di altre terre, altre lingue, altri pensieri: lontani e prossimi. ampio e variegato perché quell'umanità così diversa ma che senti così vicina è pur sempre un'umanità della parte fortunata del mondo. come quella dove sto, nonostante la mia giornata di merda. anzi, proprio in virtù del fatto possa lamentarmi sia stata una giornata di merda. perché ho abbastanza il culo al caldo per poter distinguere, distintamente, il fatto sia stata una giornata di merda. peraltro per motivi tutto sommato futili. e questo, in un ipotetico processo, farebbe da aggravante se mi dovesse giudicare sul mio giaculare.

per quanto sia un giaculare per il fatto [anche] perché mi par di lasciar fuggir via l'esistenza, come le volubili e veloci giornate di aprile [che continua ad essere un gran bel mese].

mi sono infilato in un altro evento. ci son passato per caso. ho visto un sacco di gente cianciante con il calice in mano. "mica vorranno negarmene uno a me, no?". e quindi mi son fatto largo in mezzo a queste sovrastrutture piuttosto pregne del loro ruolo in quel mommento. ho agguantato un calice. me lo son fatto riempire. rimanveva giusto il fondo della bottiglia. "aspetta" - mi ha detto il barman, che versava senza soluzione di continuità - "prendine un altro po'" mentre apriva un'altra bottiglia. vino forse un filo freddo e troppo mosso. tanto ne capisco poco, a partire dal bouquet che promanava, che naturalmente non ho colto.

ho finto di guardarmi intorno, falsamente interessato ai prodotti eposti: erano sedie? divanetti? sedute variegate? ho consapevolmente recitato la parte di quello si mostra riconoscente verso colui che ti sta offrendo da bere e, cosa vedevo salir dalle scale, verosimilmente pure da mangiare. ero in scena, anche con una certa dose di studiata ipocrisia. tanto non gliene fotteva nulla a nessuno e nessuno mi avrebbe chiesto nulla.

ho disceso le scale. due camerieri tagliavano senza soluzione di continuità chi dei salami, nerboruti e stagionati, chi delle forme di pane nerborute ed ammansite dalle presenze invitanti di grassi vegetali: strutto, olio, burro?

ho arraffato, fermandomi un attimo prima dell'arcaica [e scomposta] voracità, e un po' dopo un finto e sovrastrutturato ritegno. bevevo, mangchiucchiavo e osservavo. solo, ovviamente, non credo fossero in molti nelle mi stesse condizioni. tutti, più o meno, erano con qualcun altro. non so quanti avessero avuto una giornata di merda e fossero lì più o meno per stordirsi con un vino così così.

me ne sono andato non appena ho percepito il venir da lontano di un fastidio allo stomaco: quando si sta mangiando troppo e non troppo bene. o meglio: sono uscito da quel locale un po' showroom. altri se ne stavano entrando, i camerieri mescevano vino senza soluzione di continuità, quasi a voler far intendere non ci dovesse essere un limite a quelle bollicine. il continuum che possa dar [ingannar] l'idea dell'abbondanza da accaparrarsi senza limiti, facendo perdere di vista il concetto banale dell'esaurirsi delle cose. me ne sono uscito, solo come ci ero entrato. mi son messo al bordo dell'incrocio delle due vie. la torre velasca contornata di rosso alla destra. la percezione di vivere al margine certe situazioni, quasi come destino, come se ne fossi rimbalzato come il raggio di luce all'interno del salto dielettrico della fibra ottica.

lo stomaco lamentava l'ingurtare veloce, e piuttosto pasticciato.
milano è come se mi offrisse, ed io timidamente esitassi, per veder [piccolo] deflagrare una specie di rifiuto, per cui ci si sente fuori luogo per quanto con una certa familiarità ai luoghi. tipo l'olio sull'acqua.


oggi peraltro compie gli anni l'amica liude. avrei voluto chiamarla. ma non sarei stato particolarmente garrulo. sarebbero venuti auguri un po' pezzottati. sono le coincidenze. sono una persona contestualmente fortunata. anche se la tentazione - ombelicale - di ostentare un inquieto: che vita demmmmerda, mi titilla.

chiudo il post, senza rileggerlo, e vado a dormire. incerdibilmente presto rispetto ai bei[?] tempi bohemien. così la chiudiamo qui. domani, verosimilmente, andrà meglio.

ed io potrò far gli auguri che si merita l'amica liude.

ps.
aggià. mi son fottuto il bicchiere. come segno un po' para-ribelle ed anche stupido della stupidità in cui mi sentivo avvolgere. o forse come banale trofeo e memento di un incrocio di situazioni un po' così [e per non dimenticarmi di quanto, in fondo, sia fortunato]

Thursday, April 7, 2016

cercare di provarci il positivo anche in questa cosa qui

non sapevo se scrivere di questo atarassico e sereno desiderio di zompare. un mics strano. che suggerisce la psicopippa più che la pippa.

no. invece mi è sovvenuta un'idea moderatamente ffffinkpositiv. pensando all'intervista dell'untuoso vespa al figlio di un mafiosodimmmerda: che sarà pure suo padre, ma montagnadimerda come la mafia rimane.

a dirla tutta: non l'ho vista ieri sera: ero fuori casa e quand'anche fossi in casa guardo pochissima tivvvù e quand'anche guardassi la tivvvvvù non guardo portaAporta: credo sia anche questa una sorta di educazione civica. non ho guardato i vari video. perché ci sono delle situazioni a video che mi danno semplicemente un fastidio itterico, un'intolleranza emotiva, un rigetto umorale.

ho ascoltato un po' di commenti alla rassegna stampa. ho letto qualche post variegatamente indignato. insomma, roba piuttosto contigua a quello che sento, vivo, credo.

ribadisco: non ho visto. ma non per questo mi pongo il problema di voler concludere si sia trattato di qualcosa offensivo, per quel che riguarda il senso civico collettivo. ed anche doloroso.

forse però non è stato inutile. e paradossalmente, anzi, che può produrre un qualche effetto positivo [positivffffinking, appunto].

perché proviamo a dividerla tranchant.
tra gli spettatori ci saranno un bel po' di persone che, tutto sommato, la mafia non la considerano 'sto gran problema. mica per un qualche conflitto di interessi interiore, neh? un affiliato o associato esternamente o qualcuno che ci trusa ovvio che la pensi così. no. intendo il perfetto uomo medio, che vive nella sua bambagia indifferente e conformistica. quello su cui magari fa un po' di grip il sillogismo: beh, se da quel che ne vien fuori da vespa è tutto sommato "accettabile", allora significa che con 'sta mafia hanno scassato la minchia, e che va bene così com'è ora. e non rompano oltremodo le palle. proprio perché lo dice vespa. ma questi sono conniventi in pectore del paradigma culturale mafioso. non è che la mafia [che continua a rimanere una montagna di merda] abbia guadagnato accoliti. non è che grazie a vespa diventi più trend. no. connivente culturalmente era e rimani, o uomo nella tua bambagia conformistica.

però.però.
mettiamo che solo ad uno della maggioranza che sta, gli sia partito il trip speculativo di intuire il messaggio perverso di fondo. che abbia percepito una distonia nella paccottiglia che gli stavano laidamente servendo. che gli sia materializzato, partendo da lontano ed un po' infingardo il dubbio - il salutare seme del - che fosse, in quel momento, spettatore di qualcosa che non tornava. uno che abbia più o meno sintetizzato la domanda: ma vero è? perché provo la sensazion di sentirmi inspiegabilmente preso per il culo? proprio perché lo dice [così] vespa.

ecco. né basterebbe solo uno che portiamo di qui.
ne basterebbe un solo.

e la cosa untuosa si ritorcerebbe contro il suo untuoso interprete: non ancora connivente, ben lontano decidere di stare ben al di qua della montagna di merda.

ed allora, per quanto offensiva acquisterebbe un'inevitabile utilitià collettiva.
vieni, fratello: la mafia è una montagna di merda.