Monday, March 28, 2016

sulle cose tipo madeleine [pure in un bagno, dalla pianta para-ovoidale]

non so se e quando potrò riconfigurare l'esistenza per poter lavorare a quest'ora della notte, prendendomela comodo la mattina dopo.

rettifico.

lavorare a quest'ora della notte con una soddisfacente capacità di fatturazione, nonché pagamento conseguente [è sempre opportuno specificarlo, la cosa non è scontata. ché in questo paese pezzottato all'evento economico della fattura mica è detto che segua necessariamente, ed in maniera lineare, l'evento finanziario del bonifico sul conto corrente].

dubito ci riuscirò, considerato il contesto, le possibilità che possono venire, la necessità di non perdere di vista la linea tracciata dal senso di realtà. che poi si può anche deviare e prendere percorsi collaterali. ma passando pur sempre per la linea che il senso di realtà traguarda. andare da tutt'altra parte potrebbe essere quel filo rischioso. o magari non propriamente rischioso. però poi, se ti trovi col culo per terra, non meravigliarti troppo.

in ogni caso, se ci riuscirò, vorrei farlo ogni tanto da qui. da questo tavolo. su questo sgabello, con questa palla ad illuminare un omaggio alla memoria di bottiglie cadute, con onore, su questo desco. dove mi son sempre sentito molto accolto. al limite ero io che mi rodevo, ed ero io che non accoglievo nei migliori nei modi.

già, perché qui è stato il posto dove mi son trovato a lasciar decantare momenti complicati e tesi degli ultimi anni. non che venissi qui per questo, ovvio. qui mi hanno accolto. e qui ho finalmente e fugacemente goduto di quello iato, così ampio, tra la serenità, circostanziata, fugace, estemporanea e tutto quello che mi percuoteva l'animo e mi sfarinava davanti. quasi fin dentro la struttura.

e tutto questo ammasso di ricordi, sensazioni, respirocheentraecheesce, mi si è palesato di fronte osservando la curva che digrada dalla pianta quasi ovoidale di quel bagnetto. locale dalla luce cangiante. con lo smalto che colora il cartongesso. non è il posto che, verosimilmente, i miei ospiti immaginerebbero come il posto per dar lusto al tutto. ma questa sera, dentro quel locale fatto con una pianta un po' così, ho rivissuto nell'inspirazione di un respiro i tanti, molti, [troppi] giorni che ho apprezzato la finezza di quello smalto, con ben altri pensieri. e per non dire delle para-preoccupazioni. e nell'espirazione di quello stesso respiro il fatto fossi lì quest'oggi, sulla pianta di quel locale para-ovoidale, con ben altre sensazioni e convinzioni e financo - guarda un po' te - sicurezze. roba del tipo: sono stati momenti complicati e per certi aspetti circolarmente inconcludenti. ora vivo altro.

lo smalto a colorar il cartongesso sempre lo stesso. eppure io così con così altro respiro. nemmeno l'esigenza di tornar a valle e promettermi di far chissà che per raddrizzare un po' le storture, come capitava una volta. no! continuar a far quello che mi sta venendo. al limite a migliorarlo un po'. roba che mi tornerà in mente osservando lo smalto. come quando, chi lo sa, libero potrò tornar a lavorar di notte a quest'ora. tanto poi la mattina dopo si può dormire quanto serve.

 [img. dal luogo, notturno, donde scrivo]

Friday, March 25, 2016

piccolo psicopost pasqualifero [o nei giorni clùùù della]

attraversando il lago scrivevo all'amica vibù di quanto, tutto sommato, tutta l'ansia pasqualifera mi stia scivolando un po' addosso.

evidentemente il fremito dello scorso anno era fortemente dovuto al contesto. o alla struttura che si stava un po' adattando.

forse, a 'sto giro, la congiuntura si è un po' rasserenata, e la struttura va un po' di conseguenza.

in ogni caso qui, intanto, le campane tacciono. vedremo quando si scioglieranno a distesa.

in realtà la psiccola psicopippa mi è sovvenuta per un'altra coincidenza. che poi sarebbe quella dell'oggi che è venerdì santo, e quello si prende le prime pagine della celebrazione del mito cattolico. in realtà sarebbe pure il 25 di marzo. e a far due conti venticinque di marzo si mette nove mesi ad arrivare al venticinque di dicembre. quindi vuoi che non sia "perfetta" quella gestazione così unica? [oddio, unica... io ho studiato altro, ma da quelle quattro cose che ho sentucchiato qua e là, nella storia dei miti umani situazioni di vergini gravide, incarnazioni di dii, fino alle resurrezioni ce ne sono un discreto numero. vuoi vedere che l'apostasia possa spiegartela [anche] l'antropologia?]. quindi la tradizione, peraltro un po' evanescentemente ricorrenziale, celebra, appunto, l'annunciazione. le sottigliezze del fatto non siano propriamente nove mesi, ma quaranta settimane, o che il venticinque dicembre fosse la festa del sole invictus da ri-adattare [trombavano troppo in quei giorni per esorcizzare l'inizio dell'inverno], e che verosimilmente cristo sia nato più o meno all'inizio di aprile: insomma, tutti dettagli. che forse conoscevano fino ad un certo punto, quando venne "calendarizzata".

insomma, se non si era capito, un certo "fastidio" ad una "perfezione" un po' sull'artefatto. o quella cosa lì.

poi però ho pensato che, a dirla tutta, quell'episodio così fondante del mito, embeh, è un episodio che ha suggestionato e che ha riempito tutta la storia dell'arte. forse, di nuovo, per il valore antropologico che vi è ritratto e/o ricordato. forse è talmente un elmento archetipo che segna l'essenza. quindi pure di chi l'arte riusciva a crearla. per finalità di marketing di posizionamento e consolidamento della cattolica chiesa, nei secoli passati.

resta il fatto che di annunciazioni ce ne sono di bellissime. talmente belle che non serve nemmeno crederci. è l'emozione della nostra essenza [antropologica, ovvio].

Thursday, March 17, 2016

gli sposalizi

sono stato, nuovamente, alla pinacoteca di brera. anzi, come direbbero in milanese imbruttito: sono stato in brera.

era gratis. eppure ogni volta mi stupisco del fatto che ci sono una trentina di sale da visitare, il tutto per eurI sei, diconsi sei. che è meno di un aperitivo, ma verosimilmente riempie l'anima, o quello che le si approssima meglio, in maniera molto più incantevole.

era gratis, anzi aggggratissse, poiché oggi inauguravano il confronto tra gli sposalizi. due "sposalizio della vergine", uno accanto all'altro: il maestro e l'allievo. segnatamente perugino e raffaello. stesso soggetto, quasi stessa ambientazione, [nel perugino la vergine è a destra, e poggia la mano sul ventre con quella delicata potenza di vita che solo le donne in cinta sanno fare. in raffaello la vergine è a destra]. l'idea è semplice: stessa stanza su pareti ortogonali, basta spostarsi un poco, o poco spostare lo sguardo per cogliere le differenze. maestro e allievo, stesso soggetto.

ed è come notare la differenza tra le figure piane e quelle tridimensionali. roba che dire "l'allievo ha superato il maestro" suona financo banale, nell'acclarare il devastante il salto in avanti. d'altro canto il maestro è un grande artista pre-raffaellita del quindicesimo secolo. l'allievo uno che fa da pietra miliare nella storia dell'arte. di quelli che c'è un prima e c'è un dopo di lui.

stesso soggetto, quasi stessa ambientazione. ma è bastato allargare lo sguardo, rendere più profonda la scena, alzare un poco il punto di ripresa. ed è come se al quadro dell'allievo mancasse giusto l'afflato del respirar dei personaggi rappresentati. è quasi imbarazzante osservare come evolva il concetto di rappresentazione pittorica da una pittore all'altro, un a bottega dall'altro. una cosa che dici "uau!". un po' per l'idea, semplice, di metterli a confronto, uno a fianco all'altro, che basta spostar di poco lo sguardo. e mi sono pure provato ad immaginare cosa deve esser stato allora. se oggi, di corsa dopo il lavoro, tre sale di fila [interessante, a proposito, la mora, capelli lunghi e lisci che se ne stava sola in coda pure lei, con la sua sciantosità da donna raffinata]. oggi che abbiamo depositate sulla retina cinque secoli di arte figurativa in più e tutte le evoluzioni e meta esplosioni nel rappresentare la realtà o quello che intuiamo sia. e dici uau, oggi. cosa deve essere stato allora, ad avere il privilegio di vedere quanto era stato gettato in avanti il concetto di stato dell'arte. osservare raffaello che, bam, realizza quella cosa lì, e prima una cosa così non c'era stata. che viene da chiedersi come mai i personaggi non respirino. la vertigine che deve essersi provata, allora, che si era al limite più avanzato del modo di dipingere e di rappresentare le realtà immaginifica di una scena. o se e come hanno avuto la percezione di veder fondato un novo modo di dipingere.

tutte queste cose qui.

sarebbe bello smettere di andarci da solo, in brera. o andar oltre la [piacevole] compagnia di colleghi o ecs colleghi. gente che apprezza, neh? quindi con una certa affinità al mio disio di inalarmi questo, oltre che il solo aperitivo.
bello, certo.
ecco.
però.
come dire.
andar un po' oltre questo.

tutto qui.

Tuesday, March 8, 2016

ottodimarzo, solo questo.

quest'anno facciamo così.
niente psicopost sulle donne, e tutta la fascinazione che mi suggestionano, e tutta la compartecipazione alla festa che hanno - sacrosantamente - loro dedicato.
per evitare i distinguo di alcune di loro - per quanto sacrosanto, ovvio. più o meno a defilarsi per ragioni che poi sarebbero financo sotto gli occhi di tutti, a voler ben guardare. o anche perché, semplicemente, qualcuna decide di non festeggiarla. c'è spazio per tutti, figurarsi se non per tutte [basta che non sia per istanze che sanno di violenza, ignoranza, razzismi e fascimi: ma anche in questo - mediamente - le donne son molto meno stronze degli uomini].
quindi.
qui c'è la mia simbolica mimosa: --*******
chi la sente sua come io sento di porla, se la prenda. con tutta la fascinazione che mi suggestiona, e la compartecipazione alla festa dedicata, e che tutti dobbiamo a tutte loro.
semplice.
essenziale.
punto.

Sunday, March 6, 2016

piccola psicopippa del sabato sera [solitario, ovvio]

a mezzodì, o giù da quelle parti, mi è sovvenuto che il sabato mattina era passato senza mi calasse addosso il velo nero dell'orizzonte fosco e senza speranze del nostro domani odierno.

sono piccole conquiste, quando non addirittura soddisfazioni.

poi ho consumato nella vacatio il pomeriggio e tutte le gocce di pioggia che son venute giù copiose. senza troppo affannarmi del fatto mi stessi inborzolando in una solitudine fatta di ore volate. senza che ne pigliassi una per le corna, a decidermi di far qualcosa.

poi, mentre mi recavo a far la spesuccia, mi è di nuovo sovvenuto il senso del: ma che cazzo sto combinando della mia esistenza? ora son lì, in quel posto mezzo venefico, ma è come se mi fossi abituato. che poi potrebbe voler dire pure mitridatizzato a mia insaputa.

e quindi non capivo se, tutto sommato, non sia un bene riesca a sintonizzarmi - finalmente - così con il senso di realtà. oppure se, dal senso di realtà, non sia stato catturato, intruppato e normalizzato: roba che non scalcio più, quindi ovvio che ora tutto pare così serenamente conforme. non servon mica più i veli neri sull'orizzonte del nostro domani odierno.

[eppur, qualcosa non mi convince. oltre che a sentirmi strutturalmente non arrivato da nessuna parte. che ora non mi venga neppur più di andare?]

[che poi uno pensa, riflessivamente di sé medesimo: ma se sei così messo il sabato sera, non è un bene per l'evoluzione della razza mana che non ti sia riprodotto?]

Thursday, March 3, 2016

il regalo dell'amico Itsoh. che peraltro era il suo di compleanno.

l'amico itsoh si è fatto un regalo. giusto qualche manciata prima di minuti prima del suo genetliaco si è messo alla sua bella tastiera di piccì, ed ha pubblicato questo.

che poi è il senso dell'esserci, che siamo per un buffo del destino, ci si arrovella per [a volte] nonnulla, e poi le tragedie scorrono accanto ai nostri apericena. accanto nel senso dello stesso attimo. immanentemente nel nostro presente di questa cosa che è il tredimarzoduemilasedici. [auguri itsoh]. anche se possiamo tenerlo talmente lontano dalla nostra testa e dal nostro psicopipponeggiare che, appunto, non esistano.

mi è tornato in mente stamani il post dell'amico itsoh. mentre leggevo il reportage sullo iato della vita a damasco e la sua prima periferia. un paese che ha diecimilioni [diconsidiecimilioni] di profughi. un esodo altro che biblico. lo leggevo e nel contenpo ripensavo al post mentre l'openspeis si riempiva di nerdosissimi tecnici popolandosi del ciarlare della partita di ieri sera. tutte nerdosissime esistenze di tecnici ingrifati di cose che mi lasciano indifferente, buffi del destino pure loro. banali, se messi a confronto di quello che succede per quelle altre persone. come peraltro banale pure la mia, per quanto non mi venisse di ciarlare della partita di ieri sera e leggessi quel reportage. buffetto del destino, al limite un po' più psicopippinoco, ma nemmeno troppo diversa da quello dei nerdosissimi. che magari pure qualcuno tra questi, stamani, avessero letto il post di itsoh, un qualche pensiero un po' immanente l'avrebbero buttato al buffo del destino che ci ha fatto nascere qui, qualche tempo fa. senza scomodare la trascendenza o cose simili. no. tutto molto più semplice. a partire dal fatto siamo tutta umanità. e che salvare l'umanità non dovrebbe aver prezzo. figurarsi quei miseri 700milioni di eurI con cui si finanzia l'emergenza e quel che viene dopo. fanno nemmeno due eurI a testa tutto il continente.

peraltro possiamo aggiungere poco. anche in termini, fattivi, di cos'altro possiamo fare?

pensarci. tenerlo nel nostro immanente. è per un buffetto del destino se siamo nati qui, e non là, dove la terra dove sei nato fa come se fosse anti-radice, e ti obbliga ad andartene. dove la casa è qualcosa che non è più, senza essere necessariamente una questione di muri crollati o bombardati. fugge e per certi versi è lontanissima dalla concezione delle nostre esistenze financo un po' banali, ed in fondo la meriterebbe tutta, un'esistenza un po' banale. quindi ben venga  il pungolo. tipo il regalo dell'amico itsoh. ci si abitua a pensare come essere umani, buffetti del destino, certo, ma tutti molto humankind.