Sunday, October 25, 2015

ri-comparsimentismi [che uno a volte si auto-sorprende]

ovviamente, alla fine, non son mica sparito. come già l'ultima riga del post di prima acclarava, nel non verificarsi. e poi a volte il blogggghe è un'iperbole, un'esagerazione terapeutica. o forse anche semplicemente in de-sincrono.

perché non solo non sono sparito. ma è venuto fuori un uichend che non mi aspettavo. seppur da solitario - e verosimilmente, in questo periodo, sono una delle persone meno indicate con cui passare il we [cit].

avrei dovuto lavorare intensamente. per chiuderne uno e poter dire: sono [quasi] libero.

però poi sono andato a bookcitymilano2015. sapevo ci fosse, me l'avevano suggestionato per via di certi autori russi. mi ero ripromesso di andarci, sapendo che probabilmente non l'avrei fatto. così come maratown. o il photoshow. tutto in un uichend. in cui avrei dovuto lavorare intensamente. iniziato con le tossine appppalllllla. con tutte le premesse perché ne avessi di pure peggio.

poi però ho sentito per radio di un incontro per presentare un libro. sono uscito all'improvviso. mi son goduto l'incontro, pur snobbando il libro. ho preso il programma. ed ho cominciato la fase bulimica.

ed è stata una piccola epifania, con cui mi sono [auto]spiazzato, e meravigliato - positivamente - di me medesimo.

perché son riuscito ad incastrarlo nel lavoro che comunque ho fatto. che non ho finito. ma se l'avessi finita - inutilmente il 25 di ottobre - avrei perso bookcitymilano2015.

perché mi son trovato in mezzo alla gente. ed ho ascoltato suggestioni molto interessanti.

perché ho intravisto un abbozzo di embrione di progetto per uscir da quella fottuttissssima banca. per quanto generosamente latrice di fatturazioni mensili. ed uscir da quella fottttutissima idea di quel tipo di lavoro.

embrione, vagolisssssimo, di progetto. non tanto per il libro che verosimilmente non scriverò mai, e lo scrivo sul bloggggggghe.

ma per il fatto che qualcosa si può inventarsi. ci si può proporre. ci si può immaginare. per il solo fatto della densità che questa città propone. per quanto ci siano un sacco di laureati a piedi. ed io che della mia laurea vorrei fare - figurativamente - carta straccia [posto che adesso son solo una sottospecie di "informatico", quando noi gli dagli informatici si andava a recuperar esami facili per chiudere il piano di studi].

è un'intuizione evanescente, al momento. però c'è densità. ed è ora di cominciar a conoscere qualcuno, là fuori. adesso che avrò più tempo - una volta finito i progetti extra. e la consapevolezza che si passa per di là.

deszzzzoootttt.

Saturday, October 24, 2015

sparizionismi, di venerdì sera [e che acclara la sua iperbolica illogicità l'ultima riga]

la premessa è che sono molto stanco. mi sono addormentato sul divano alle 20.00. per svegliami 50 minuti dopo, sul rincoglionito, e lo stomaco un po' [ancora] sottosopra.

l'altra premessa è che è un post giaculatorio, quindi noioso. serve a me per sputar fuori la mia frustrazione. e metter l'ennesima bandierina nel fil rouge delle giornate la cui serata dovrebbe esser liquidata, senza remore, con il divano letto aperto prima del tempo.

un'ulteriore premessa è che non ho distaccato il segnale neuronale nemmeno un po' con nessuna sostanza, e/o assunzione di alcunché. solitamente è birra. sempre più raramente il vino: sarà che il vino bevuto da solo, in assenza di interazione sociale, è meno consumevole.

l'ultima premessa è che fisicamente sono in salute, ed ora continuo a fatturare: non è una questione di venalità, visto che non lo sono mai stato. è che se una delle poche cose positive del periodo è quella di fatturare, significa che c'è poco da rallegrarsi. per quanto ci possono essere periodi omologhi, dove però non si fattura nemmeno.

in fondo il momento più sereno della settimana dovrebbe esser questo. il venerdì sera. che si hanno davanti ben due - dico due - giornate dove [apparentemente] il tempo lo si gestisce in autonomia. sono i due giorni che servono per decontaminarsi. per quanto il venerdì sera si è maggiormente carichi di tossine. da cui decontaminarsi, appunto. forse è per questo che si rischia di essere così incazzati.

e quindi i pensieri vagolano, a volte, in maniera stridente. dove stridente è l'aggettivo, onomatopeicamente, cercato ed utilizzato apposta. stridore di metallo, ad essere più precisi.

tipo, quella suggestione immaginifica del: se sparissi, e mi portassi dietro la memoria di quel che sono stato, interazioni relazionali comprese. via, szoottt, scomparso: per sempre. ma come se proprio non ci fossi mai stato. giusto per non dar il peso agli interrelazionati di prendersi il disturbo e/o il peso di provar una qualsiasi forma di sentimento negativo, o mancanza. non merito nemmeno quello. come affannarsi per uno che non c'è mai stato e che non è più. levo il disturbo. e mi porto dietro il ricordo. nessuna traccia nelle reti neuroni-assoni di chicchessia.

me ne vado via. quel frammento d'attimo prima di violare un qualche vincolo logico del tipo: come fa ad andarsene uno che non è mai stato? perché non c'è nessuno che rechi il ricordo di nessun tipo di passaggio.

come non meritarsi nemmeno di lasciar in ogni dove nessun tipo di traccia. per manifesta inutilità: quanto meno percepita, e poco importa se si è affogati nella consapevolezza ci si stia azzuffando, fendendo cazzottinissimi, con la propria autostima. nonché qualche addentellato con la cultura calvinista, con gocce di nichilismo.

tecnicamente dovrebbe scomparire anche questo blogghe - con peraltro tutti i refusi. a partire da questo post.

zoooot.

Sunday, October 4, 2015

il libro dalla copertina furba, i lucciconi, la premessa non-depressiva

la premessa è che verosimilmente ha ragione odg, sulla storia di un mio [eventuale] inizio di depressione. cosa che peraltro le ho chiesto l'ultima volta. in quella seduta tutto sommato mutuamente rivelatrice: io le ho detto che nel mio idioletto lei è odg, lei mi ha fatto sapere di aver un figlio in età universitaria, e verosimilmente futuro ingegnere.

lei sostiene io non sia depresso. non che desideri esserlo, ovvio. mi era sovvenuto il dubbio fossi in procinto di svoltar per.

poi stamani ho ragionato sul fatto che mi bastano poche ore di [relativa e temporanea] serenità e sento smuoversi echi di voglia di fare - lontani, vabbhè, ma non perduti. o baluginii di tentativi ri-progettare. financo di scrivere post. e di scriverli per provare a piazzar in righe logorroiche e piene di refusi quel che si è. porsi. e farlo con la consapevolezza di esser molto meglio dei refusi e più coinciso della logorrea.

scriverli quivi, peraltro. senza la grancassa polpettonevole del feisbuch. perché in fondo mica voglio scriverlo per [relativamente] tutti. ma farlo nell'intimo di questa specie di spazio uterino virtual-semisegreto.

comunque.

ho letto un libro. a dire il vero ne ho letti molti in questi ultimi anni. bulimicamente. nella mia tassonomica archiviazione, l'anobii intimo, questo resterà tra i più toccanti di questo faticoso ma fatturevole 2015.

mi è stato regalato dalla fanciulla per cui si scatenò compiutamente un innamoramento nevrotico. roba di parecchi, parecchi, parecchi anni fa. ora abitiamo a 300 metri di distanza. ma ci sono differenze ben più marcate ed insormontabili. la sogno, ogni tanto. e sogno mi si vuol concedere in qualche maniera. raramente mi si scatena l'entusiasmo onirico. verosimilmente la sogno non perché la desideri. ma perché probabilmente rappresenta il mio archetipo di bellezza di donna. non quella che cambia la chimica. bensì quella che si sceglie come madre dei propri figli.

comunque.

mi ha regalato questo libro. ne parlavamo qualche settimana fa. lo si vide in libreria. mi disse che era curiosa di leggerlo, dopo che le dissero fosse un bel libro. discutemmo sull'immagine di copertina. provocante e artisticamente oscena, secondo lei, da cui proteggere le sue bimbe se l'avesse preso. interessante da par mio. che pur mi sentivo con un velo di maschera atarassico-distaccata, per evitar il rischio di apparirle un po' troppo sui generis. o forse per evitar di dover giustificar questo.

e invece me l'ha regalato. assieme a quello dedicato al suo pro-zio prete, morto giovanissimo ed in odor di pre-santità. se n'era discusso un paio di ore prima di quell'altro. quello con la copertina scandalosa ma interessante. sacro e profano, mi ha scritto nell'sms che mi diceva mi aspettavano due libri per me. per me nel senso che non dovevo restituirglieli.

son partito dal profano. titolo e - appunto - copertina furbi. solo apparentemente così scandalosi. l'immagine è citata nella storia. durante la visita al MoMa del protagonista. poco prima di uno dei punti nodali del romanzo. la "holy cross" che campeggia nella sua bianchitudine, con quel gorgo irsuto nero che prorompe come il desiderio dell'origine del mondo, è azzeccata.
alla sesta riga si legge
- e i pompini
lo dice il papà del protagonista, dodicenne, che narrerà in prima persona. è lui la vista dello svolgersi di tutto il divenire.

poi succede che il romanzo diventa un po' tutt'altro. uno di quelli che leggi centellinando i paragrafetti. ma che è uno di quelli che levi con piacere dallo zaino per aprirlo e continuare a leggerlo.

per quanto in alcuni passaggi mi pareva di essere un po' turlupinano dalle scelte stilistiche. e forse un po' irritato dal narcisismo della cifra narrativa.

anche per questo, appunto, un romanzo furbo.

eppure mi son trovato spesso con i lucciconi agli occhi. perché, come dire, Libero - il protagonista - avrei voluto esser io. per quanto un poco artefatto. sia per la commovevolezza del padre. che per le possibilità di inebriarsi di lettura a di cinema fin da piccolo.

e poi il ragazzo scopa in maniera sublime. spesso selvaggiamente sublime.

non tanto nell'atto, che viene solo fatto intuire a piccolissimi tratti. ma come sublima l'atavica sensualità del farlo.

forse vorrei esser Libero, anche per immaginare di poter sovvertire quel passato quel poco represso. lui si masturba due volte al giorno - nei periodi con cui si accompagna e non - per assecondare il suo effluvio di non continenza rivendicata. io quando lo confessavo al prete/[ex]amico dovevo sempre solo farlo intuire, ché la vergogna mi assaliva. cose così. vorrei esser [stato] lui anche per tutte le possibilià di adoperarmi e migliorarmi nell'ars amatoria. o qualcosa che le si approssima. foss'anco solo per poter stringere e baciar coppe, da cui sono strutturalmente più attratto rispetto al sedere.

sono stato Libero quando da quindicenne mi sembrava di esser invisibile alle coetanee. e mi facevo forza dicendomi che avevo altre qualità, nascoste all'occhio frivolo. nel romanzo glielo dice la sua amica più anziana, con il seno maestoso, ma che è molto di più dell'eros che scatena negli uomini e quindi si arrenderà con eleganza ad una singletudine forzata.

vorrei esser Libero, per tutte le tacche che il suo amico-datore di lavoro in osteria inciderà sul bancone. ma ormai non ho più l'età di Libero. e credo di non esser nemmeno bravo come lui a letto.

vorrei esser Libero, perché il finale si sublima [romanticamente? semplicemente? banalmente? inevitabilmente?] nell'incontro con la donna che ne stravolgerà la percezione dell'esistere. e che lo libererà. la donna che sovverte la chimica perché si va via di testa per lei. di quelle che ne esistono poche per ciascuno. ancor di meno per un cagacazzo pretenzioso come me. quella donna che per esigenze di plot - oltre che il romanziere può far fare quello che vuole nei suoi romanzi - Libero trova, sposa e che lo renderà padre poco prima muoia anche la madre, nelle ultime pagine della storia [romanzo furbo, dicevo, no?].

eppure, appunto, mi son trovato spesso coi lucciconi. per i momenti in cui si canta dell'amicizia sincera. di quando si è strutti per la nostalgia di quelli che se ne vanno [anche quando seppelliscono in parco sempione il cane Palmiro Togliatti]. o quando si è nel maroso dell'inebriata e cervellotica eccitazione, per la licenziosa leggerezza con cui si intuiscono alcuni amplessi.

non c'è nulla di osceno. forse perché vorrei essere quel Libero. forse perché ho fatto pace con quel che vorrei fare. per quanto dicotomico, e molto anisotropico [e quindi con scarsi risultati pratici: ci si disperde quando non si concentrano le energie, peraltro già molto impegnate, in questo anno faticoso]. perché ogni tanto avrei questa gran voglia di non contenermi. ed esplorare la diversità dell'intimità, per carpirla, di quante più donne: insomma di scopare gioiosamente, e tanto. mentre ogni tanto avrei la stessa voglia di potermi perdere nel rapimento intellettuale e quindi [anche] erotico di colei - tra le pochissime che esisteranno da qualche parte nel mondo - adatta e che forse tipo storto come me. roba da farci l'amore, ed ogni volta sempre meglio. quell'incontro di cinestesie per cui smetter di avere paura, sacrificar questa solitudine orsica. che un po' mi protegge. un po' mi soffoca. [e che lascia pure il tempo per certi post logorroici. quando si sente un po' più lontana l'idea di essere pre-depressi].