Sunday, March 22, 2015

gli elii e tutto il sincretismo musicale genialmente leggero antisolipsistico

ne sentii parlar dal teo. roba di quasi trent'anni fa. il fatto che il teo è sempre stato decisamente avanti. solo che lo era in un modo tutto suo, e con poco addentellato al conformismo di quella masnada di oratoriani che si era. genialmente cazzaro, e con ironia troppo sottile per coglierla noi tanto illuminati dalla verità rivelata, che non potevano non essere che i troppo migliori.

quindi figurarsi quando portò 'sta cassetta dove si parlava del cassonetto differenziato per il frutto del peccato. il prete disse che quelle oscenità, nel suo oratorio, proprio non dovevano nemmeno entrare: figurarsi essere fruite lì dentro. il teo abbozzò. continuò a venir in oratorio piuttosto ignifugato da quella reprimenda, quella cassetta oscena non si sentì mai più.

così che io - coll'assertività che andava e veniva - mi persi un po' di anni di elii.

poi alla lunga li ritrovai. e non poteva che essere così. all'inizio sempre con quell'eco della reprimenda di qualche anno prima. non avevo ancora capito che stava cominciando la [mia] muta. o forse semplicemente stava venendo fuori la parte più strutturata. roba tipo la storia dei denti da adulto, che spuntano fuori dopo quelli di latte. quindi li ascoltavo [uolllano, uolllano. vi saluto con l'altra mano] ma c'era ancora qualcosa che non tornava del tutto. e la storia che "per i neonati non c'è, dov'è, perché?" continuava a rimanere un elemento in sospeso.

poi li ascoltaii dal vero. erano gli ultimi giorni di riviera, al termine del servizio civile. naturalmente stavo di nuovo mettendo in scena la parte migliore di quegli anni, l'innamorato nevrotico che è lìlì per tagliarsi le vene, perché la donna della sua vita non lo caca, e si sente rejetto. mi ci portò un'altra fanciulla di cui - guarda com'è strana la vita - mi ero perdutamente innamorato solo tre mesi prima. così tanto perdutamente che un mese dopo mi ero innamorato di un'altra, colei per cui stavo inscenando la tragedia compulsiva. ci andai con costei, quella dei tremesi prima, che ormai ovviamente mi lasciava indifferente coi suoi occhioni verdi. ricordo un parcheggio complicato con la panda di lei. finimmo in piazza a pietra ligure, relativamente piena. era gratisssssse. i liguri sono sensibili a quelle cose. iniziarono con - lo scoprii dopo - "la vendetta del fantasma formaggino". tecnicamente la canzone con dentro almeno una dozzina di temi musicali diversi [giammai, giammai, non lo spalmerai], dura un sacco, è moderatamente nonsense, e finisce con delle pernacchie. nemmeno il tempo [lungo] di finire il primo pezzo e la piazza si era svuotata per metà,  in fondo era gratisssssse. alcuni se ne andavano  perplessi e poco convinti, con facce eloquentemente sovrasegmentate del tipo "checazzzzodimusicafannoquesti".

io ebbi la rivelazione fossero dei geni.

al ditemi perché se la mucca fa muuu, la pecora non fa peee il merlo non fa meeeee, la fanciulla mi cantò nell'orecchio il ritornello, felicemente e con trasporto. ed io pensai - oltre a non rimaner insensibile all'occhione verde - che ero troppo triste e troppo innamorato di quell'altra acciocché potessi condividere con lei quella sua garrulità musicale.

così, poco tempo dopo, comprai il primo cofanetto di cidddì. che ai tempi era pure una discreta spesa. ed ovviamente cominciai ad ascoltarle quasi ermeneuticamente. tornai ai loro concerti con più cognizione di causa e cantandoci assieme un gran numero di canzoni. provando financo un brivido, quando quella volta a milano, capii che quel tappeto armonico ipnotico si stava risolvendo nell'introduzione del canto di quella donna che, ostentando sicumera, nocchiera si proiettata verso il mare del duemila gridando [*]...

e poi, suvvia, ero o non ero l'eponimo del servo della gleba? era o non era la canzone scritta apposta per me. soprattutto l'introduzione. che c'era sul libretto. ma non si trovava nelle tracce del cidddì? e che poi quando ho capii come trovarla nelle tracce del cidddì mi si spalancò l'epfinania che quell'introduzione ero io? ma riuscivo - finalmente - ad intuire potessi prendermi per il culo, ironizzarmici, riderci. e per questo non sentirmi così fallito et rejetto.

ecco. appunto. anche perché poi alla fine la storia della muta, ha mutato le cose. o quanto meno ha cominciato.

perché ero serioso. troppo serioso. financo un po' tragico e melassosamente lirico. e la cifra stilistica conseguente era che, appunto, c'era spazio fino ad un certo punto per una risata. soprattutto verso di me e tra me e me. mi prendevo troppo sul serio, perché pensavo quello fosse il modo più autorevole per strutturarsi e porsi nel contesto. magari anche per marcare una distanza verso il blob mediocre che vedevo andar per la sua strada, che non si accorgeva di tutto quello avrei potuto offrire io. donne comprese. la seriosità è un modo per autoaffermarsi, specie quando probabilmente non si ha tutta questa gran stima di me medesimi.

ecco. ovviamente non sono mica stati [solo] gli elii. e ci mancherebbe. anche perché toglierei un sacco di meriti ad alcuni compagni di viaggio incrociati nel frattempo. anche perché prenderei gli elii troppo sul serio, e quindi magnificherei il fatto non ci abbia capito granché. però una qualche gradevole sincronia su quello che ho via via intuito, e via via ho ascoltato da loro sì. perché prima addensavo, ammonticchiavo, caricavo. dopo ho cominciato a far il contrario, quanto meno provandoci, da allora come ora. alleggerire, ironizzare, seppellerire la zavorrità con una risata, possibilmente intelligente e non banale. e magari anche punzecchiare le storture, che sono pesanti per natura.

che poi è quello che in fondo loro fanno musicalmente. è che sono talmente genii che ho le praterie per divertire le mie compulsioni perfezionistiche, o la ricerca ossessiva del percentile più interessante della codina della gaussiana. potrei ascoltarli ad libitum, ma qualche chicca un po' tassonomica, un po' nerd, un po' da ingengeria musicale, un po' da risvolto dissonantemente perfetto, lo troverei sempre.

poi è vero. gli elii non [mi] emozionano. non c'è un verso di una loro canzone, che tocca le corde più profonde. ma non è questo il punto e non mi serve. amo migLioni di altre canzoni di altri cantautori. ho già materiale psicopipponico a sufficienza per affondare - se volessi - nel melodramma più serioso e zavorrante. perché sono fatto anche di quello. dipende da che parte lo si vuol prendere: se usarlo a combinar qualcosa di buono, o farmicivisi seppellire.

ma se voglio combinar qualcosa di buono, è necessario fargli prendere aria. leggerezza, [auto]ironia, levità. e se me ne ausilio con qualcosa che in musica è chiccosamente geniale allora che si può pretendere di più?

per questo sono un po' una colonna sonora importante, anche se importante suona già troppo carico. una armonioso cazzaramento, autoironico, geniale, che rimane lì in sottofondo piuttosto continuo. anche solo per prendere a prestito qualche verso qua e là. e financo un po' riconoscersi.

non prendersi troppo sul serio è condizione necessaria per poter volare. e con l'elio, gas raro - come le codine delle gaussiane - volano anche le cose dense e pregne: che se sorridono lo appaiono financo meno.

ps
che non saranno emozionanti. però, a proposito di pregnanza lieve, s'ha da ascoltare "parco sempione". non c'è nulla di più interessante e sintetico che racconti lo scempio immobiliare-affaristico di pochi anni fa, nella milano ciellino-morattizzata. [...questi grandissimi figli di troia]





[*][cazzoooo, suuu-bi-toooo! - e c'è di mezzo un salto di ottava tra 'bi' e 'tooooo']

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