Thursday, December 31, 2015

che si chiuda un po' fuori dal setting, questo 2015 (3/3)

è stato un anno faticoso. molto faticoso. e se [mi] ripenso a dodici mesi fa mi sembra ci sia stata in mezzo tanta, tanta roba.
e soprattutto [mi] sembra lontano il modo in cui osservavo e interpretavo quello che stava accadendo. o almeno è la percezione netta che ho in questo momento.
come interagivo con il contesto, io con la mia struttura, sempre molto incuriosita.
e a proposito di struttura credo cominci ad appiccicarsi addosso l'idea, molto semplice, lineare, forse banale: che un sacchissimo di cose accadono a prescindere da noi. si tratta di interloquirvi nel modo migliore possibile. e che spesso sono molto più semplici e lineari di quel che può apparire a volerci metter di mezzo una struttura molto incuriosita, titubante e pretenziosa [di primo acchito blogghico mi sarebbe venuto da scrivere rompicoglioni, per questo post un po' mi trattengo].

e che io sono io, con tutte le mie piccole e grandi incertezze, le mie paure, i miei limiti, ciò di cui non è il caso di andar fieri, ma senza che diventi uno stigma autoflagellante il fatto non ne vada fiero [di primo acchito blogghico mi sarebbe venuto da scrivere nevrosi, oppure ossessioni e compulsioni, ma forse spesso li uso un po' a sproposito].
e che sto dando del mio meglio e riesco in quel che riesco, anche a cominciare dalla necessità di non pretendere che tutto sia ideale o perfetto: in me e - probabilmente - negli altri o nelle situazioni.

forse se fosse perfetto sarebbe financo un po' noioso. ed anche prevedibile. come questo preciso momento, mentre scrivo con scott joplin che esce dall'impianto stereo e che sovrasta il giusto lo sciabordio del mare, qualche piano sotto le finestre. solo, in una situazione non del tutto ideale, a cominciare dal fatto abbia lo stomaco un po' sottosopra e probabilmente arrendendosi all'idea che con un'altra compagnia sarebbe decisamente meglio.

sono consapevolezze, rasserenate, che mi sono conquistato un pezzo per volta. anche e per merito del divenire di questo anno faticoso, molto faticoso.

ho appena finito di leggere un libro. parlava di psicologia dell'età evolutiva. roba divulgativa, ovvio. la tesi fondante è che i bambini applicano gli stessi paradigmi degli scienziati per comprendere via via quello che capita intorno a loro. anzi sono gli scienziati che fanno come i bambini. visto che siamo programmati - tutti - ad affrontare e imparare risolvere nei primissimi anni di vita i tre grandi problemi: il fatto esistano altre menti, che esista un mondo esterno, e che si debba imparare un linguaggio per interagire. adattano via via il modello che comincia a formarglisi in testa, praticamente da subito. quando le cose non tornano, si modifica il modello. e grande è il piacere della scoperta, di quando le cose tornano, ed il paradigma funziona [senza sapere cosa sia un paradigma, ovvio].

ecco. non faccio di mestiere [ahime?] lo scienziato. non sono [più solo] un bambino. però il piacere quasi epifanicamente orgasmatico della scoperta sì. anche il piacere dell'approcciarsi in modo analitico. sono un po' di anni che sto mettendo un po' in ordine la struttura molto incuriosita. non è solo "merito" mio. succede anche perché il contesto lo favorisce. e perché qualcuno mi sta dando una mano. cui capita di ascoltare alcune istanze oggetto di alcuni post dall'altra parte del tavolo del suo studio - per come ha impostato il suo setting. questa volta potrebbe accadere il contrario, e che legga addirittura un post. roba un po' fuori dal setting. ma non credo caschi il mondo, giammai. è tutto molto più semplice e genuino. anche il desiderio di ringraziarla, tipo ora. [ecco perché mi sono un po' trattenuto dal primo acchito blogghico].

rimangono alcune cose da capire. o forse semplicemente da affrontare senza troppa paura - tipo quella della piacevole compagnia, del desiderio che nego intrappolato dall'idealità [?]. ma d'altro canto la fine di un anno è una pura convenzione. ne inizia un altro.

si va.

Wednesday, December 30, 2015

il meritocraticamente risulteggiante 2015 (2/3)

è stato un anno faticoso. molto faticoso. e sono ripartito. e non è solo una questione del fieno in cascina, figurarsi: non sono mai stato particolarmente attratto dai soldi. è che per progettare qualcosa, immaginarsi di attuare un'idea ci vogliono dei piccioli. ed io non ne avevo più da tempo.

sono ripartito, dicevo. solo che è stato come farlo con il rapporto lunghissimo e durissimo e bisogna pedalare subito con pendenze complicate, importanti. la soddisfazione è commisurata a quanto è stata dura: rimettersi in gioco, affrontare alcuni pregiudizi verso un certo tipo di attività. sarei ancora più garrulo e scoppiettante di entusiasmi, se non fosse per la mia nevrosi perfezionista., che scala un po' tutto verso il basso.

o forse è anche una questione di scaramanzia, cosa in cui notoriamente io non credo e non mi ci applico. però, come dire [diciamolo con parole nostre, suvvia], non parliamone troppo forte. che la sensazione possa arrivar qualcos'altro di meno lieto, una volta insinuato, è dura da mandar via.

sono ripartito, dicevo. e sono state parecchie conferme su cose che un po' intuivo fossi in grado di fare. quando non addirittura mi son venute ancora meglio di quanto immaginassi. e la complessità del contesto, a girarla dal verso construens, è un moltiplicatore: sono riuscito nonostante quelle complessità e questi contesti un po' nauseabondi.

ho letto un discreto numero di libri. non sarà un caso, ma la parte iniziale dell'anno, quella più complicata e forse un po' cupa, è quella dove ho letto meno, decisamente poco rispetto alle medie quasi bulimiche di cui ero abituato. non è il brivido da orgasmo diffuso e continuo di "espiazione", ma l'ultimo mcEwan ha la sua gran bella perchéenza. però anche "tutto potrebbe andare molto peggio" di richard ford è stato un piacere inaspettato. però come non ricordare Shalom, Biondillo, e quel paraculo di missiroli - però che emozione quel libro [paraculo].

ho fatto poche volte all'ammmmmore, però è stato bello. proprio in quell'attimo che non pensavo succeddesse così.

ho provato il piccolo brivido di dolcissimo piacere quando il treno si è mosso, sapendo che sarei andato a trovar degli amici. così come i brindisi ed il piacere di talune e raffinatissime - nel loro essere perpetrate - companie.
ho conosciuto nuove persone interessanti, nel loro essere variegatamente diverse. ne ho conosciute meglio altre. ed anche quando si conoscono meglio per decidere di volerle conoscere meno, è comunque un qualcosa che va bene.

ho scattato pure qualche foto decente, suvvia. ho scritto pure qualche post [o altro] interessante, suvvia. sono stato pure a tratti creativamente fantasioso, suvvia.

mi è capitato di sentirmi utile, in qualche episodio. ed è una sensazione di pienezza di cui forse è cosa scaltra tenere particolare conto. per quanto ho scoperto anche il piacere di godermi, con le dosi giuste, la mia solitudine.

per quanto l'epifania del momento più lieto di tutto un anno è stata fatta in compagnia di un amico. era circa metà maggio. una domenica pomeriggio. faceva un caldo gentile. e tutta la natura ormai era lanciata verso l'acme della bella stagione. la luce cominciava a prendere in considerazione l'idea di farsi radente. si parlava della settimana che stava iniziando [e la già nota piccola nausea al pensiero dell'ufficio il giorno dopo] e di cosa si sarebbe fatto il uichend successivo. e quindi ho pensato che bastava farla iniziare, quella settimana. che poi una volta avviata se ne sarebbe andata a terminare. e col terminare, il piacere dolcissimo, ambrosiaEtMiele, del fatto avrei visto, per la prima volta, bergamo alta.

l'attesa del piacere, verosimilmente. che però è in grado di ovviare tutte le svolte. è un lusso che è che per pochi. la cosa titillante, a proposito di cose di cui andar eventualmente fieri, è di smetterla di voler solo attendere. ma buttarsi nel presene. che forse sarà meno da film. però, vuoi mettere: è quello che si vive. vivere, che è poi quello che ci tocca fare, indi per cui... [si potrà terminare un post con dei puntini di sospensione? evidentemente bisogna farne un altro: fuori setting]

Tuesday, December 29, 2015

il faticosamente pesante 2015 (1/3)

è stato un anno faticoso. molto faticoso. se possibile ho lavorato come non mai. in taluni momenti è stato come se stessi facendo un lavoro e tre quarti. ho sacrificato serate, uichend, venezie, vallisottoilcervino, serenità. ci sono stati dei momenti in cui ho sinceramente pensato non ce l'avrei fatta. talmente nauseabondo quello che percepivo attorno.

ho lavorato, lavorato, lavorato, lavorato. non sono riuscito a cubare tante ore come il mio amico daniele. ma lui è inarrivabilmente inglobato nel suo ruolo di salvatore dell'azienda di famiglia. lavorare tanto quanto lui è quasi umanamente impossibile.

anche per questo la sua fidanzata un po' ne patisce. perché si sente sempre in una specie di posizione di rincalzo: un giorno gli dirò: o me o la ditta - mi ha annunciato in uno degli ultimi viaggi che si è fatti assieme. io ho solo pensato: non metterlo così alle strette, che se risponde: la ditta, poi devi coerentemente trarre le tue concluioni.

già la fidanzata del marmista. a proposito della fatica di quest'anno. non ne vado fiero. al momento, però, può pure starsene con la sua sicumera di essere colei che spiega agli altri come si sta al mondo. corroborata dal rapporto psichedelico con intrattiene la sua autostima.

ho vissuto alcuni sabato mattina in cui tutto mi sembrava più nero color del vino. temporanei distacchi dal concetto di speranza nel senso più lato e generale si possa intendere. probabilmente la prima reazione alla stanchezza accumulata in settimana. costipato a non poter più disporre del mio tempo, con il simbolo pigolante del badge che fa il biiiiip per farmi entrare nella bussola. e asfittico del poco tempo libero a disposizione.

ho letto libri decisamente scritti male, che mi hanno lasciato con la bocca del fruitore amara, molto amara. ho tergiversato, spesso, troppo, rimandando ben oltre il sottile confine che separa il postponimento della gratificazione  - che è pur sempre una manifestazione di intelligenza emotiva - con la nevrosi e la compulsione [auto]sottrattiva.

non ho ascoltato - ahimè - moltissima musica. troppo poco cinema, così come il teatro, così come i concerti. son cibo e bevanda per l'anima, anche se non ci credo mica poi tanto all'anima.

ho fatto decisamente troppo poco all'ammmmmore. la surroga, non ci son cazzi [c'è un doppio senso, se non si era capito] è una minchiata [altro doppio senso].

sono stato più solo di quanto avrei dovuto, talune volte. pure troppo. forse per abitudine. forse per difesa. forse per inedia: e questa cosa non mi piace.

i miei due nonnetti putativi se ne sono andati. otto mesi uno dall'altro: non che mancasse l'età, a dirla tutta. era faticoso mostrarsi più lieti e fiduciosi di quanto mi sentissi. però sentivo di doverglielo. una piccola bugia per potersi sentire confortati per interposta persona. la poltrona ed il divano rimangono vuoti. è inevitabile, ma c'è una mancanza in più.

tipo come quando i rapporti svoltano. perché non sono comunque molto convinto debbano, necessariamente, finire.

Tuesday, December 22, 2015

c'è sempre un punto in cui il giorno dura meno. poi passa.

è stato un anno faticoso.
e tutto sommato con in nuce cose positive.
sono financo abbastanza convinto che le cose siano in stretta relazione.
è stato faticoso, ma proprio per questo, per averlo affrontato così, che mi merito i virgulti delle cose positive.
ieri è stato il solstizio. che poi è il giorno più corto. quindi significa che tutti gli altri sono più lunghi. nulla di personale contro quell'unico, piccolo giorno, ma preferisco la luce. e soprattutto che la luce via via vada ad aumentare.
ieri se n'è andata anche la mia nonnetta putativa. sono combinazioni e riverberi complessi, a volte, quelli che ti portano a provare una cosa così semplice com'è l'affetto.
se n'è andata piuttosto all'improvviso, otto mesi dopo suo marito, e i 65 anni assieme a lui. probabilmente c'è qualcosa che sovrordina, all'interno della testa, quando far staccare la spina al fisico.
se n'è andata nel giorno più corto, come a voler andare a chiudere l'accorciarsi dei giorni. come voler andare a dire: i miei giorni diventavano sempre più corti e cone sempre meno luce.
ora tocca a Voi.
perché, guarda un po' quel furbastro di foscolo che s'intesta l'idea semplice e geniale: si vive, dopo, proprio per il ricordo e l'affetto che si è costruito attorno.

ora tocca ai giorni rifluire di sempre più luce.

il post mi è stato decisamente ispirato dall'amico luca.
che mi ha inviato - tra l'altro - questi versi.
li uso per impreziosire questo post, altrettanto faticoso. ma anche lui con qualcosa parimente in nuce . [e in nuce, quasi a racchiudere un senso che si va a disvelare, mi ricorda tanto luce. è un portarsi dentro che si rivelerà. come i giorni dell'inverno, dopo quello più corto, che vanno ad allungarsi]

(...)
But morn will be, and dark will fade,
the light of hope, the desert shade,
the winter's comfort, summer's breeze,
as blooms of spring, the sun appears,

a welcome friend, the silence broke,
my soul returns, my demons choke,
faith and hope I once more find,
in shadows of my heart and mind
(...)


Saturday, December 19, 2015

sui pensieri positivi, a che punto stiamo, ed altre amenità

più o meno una settimana fa venivo chiamato in causa dall'amico omar. mi nominesciava per una delle tante catene di sant'antonio che si sono inventate nell'orbo terracqueo feisbucchiano. solo che questo mi ha coinvolto un po' più delle altre, da cui solitamente mi sfilo.

tre pensieri positivi, per cinque giorni, ed altrettanti nominati. un florilegio di pensieri positivi. le reti soscial ne sono piene, vero. è financo vero che sono di più le vomitazioni di astio, incazzosità e cose destruens così. ho un'idea a riguardo, ma tant'è. quindi mi son messo a eseguir per benino il mio compitino.

solo che, naturalmente, sono partite altre psicopippe, tutte - tutto sommato - con approccio positivo. peraltro, della quindicina più o meno improvvisata, ad un paio di queste sto pensando un po' più ripetutamente. la tre del giorno 2, e la due del giorno 5. ma esulano dall'economia di questo post.

perché invece mi son tornate alla mente due cose, che sono un po' indietro nel tempo. e che però, or ora, trovano un senso con una certa compiutezza. e forse [mi] spiegano il perché mi sia piuttosto appassionato a questo giochetto. una specie di far una specie di punto della situazione, a che punto stiamo, appunto.

le due cose sono semplicemente queste.

la prima è la prima cosa che mi disse odg, ormai un lustro fa, più o meno in questi giorni. "non si può prescindere dal contesto". si parlava del fatto e del perché fossi andato da lei. io le dissi delle mie insoddisfazioni ontologiche. lei, con la questione del contesto, capisco ora, cominciò a far sollevare lo sguardo dal mio ombelico. una cosa del tipo: ehi, non pensar di essere così speciale da cucinarti solingo la ricetta delle tue sventure, né delle tue resurrezioni mediante i tuoi film. c'è il mondo fuori di te. e se il mondo prossemico va un po' a puttane, non puoi pensar di far faville solo con le tue forze. non lo disse proprio così, usa un linguaggio più forbito e mai casuale. ma credo che il senso fosse quello. e questa è la prima cosa.

la seconda un post che scrissi ormai nove anni fa. in una serata un po' particolare. nel post raccontavo di mio padre, e parlava soprattutto d'altro. ma ci infilai, senza troppo meditarlo, un'intuzione che si è rivelata molto più azzeccata, alla luce di quello che sta avvenendo e che potrebbe venire. il post è questo, ed il libro di cui parlo è questo. in prima battuta mio padre era un'ottimista. forse, altresì, gli riusciva in maniera naturale e pre-meditata il positivfinching [la meditazione, a volte, può diventar una gran granguola di colpi sui coglioni]. è che uno si accorge di somigliar [in parte] al proprio padre anche per questo. solo che io ho dovuto lavorarci un po' sopra, anzi: continuo e devo continuare. e questa è la seconda cosa.

io lo so che questa catena un po' amena mi ha coinvolto più del previsto [anche] perché, tutto sommato, le cose cominciano a sistemarsi e/o girare e/o darmi soddisfazione: il contesto di cui accennava odg. ho passato momenti del tutto diversi, da cui miGlionidirighedipost giaculatori. roba che non è nemmeno di tanto tempo fa: io me li ricordo anche solo fino a qualche settimana fa, il buio e il nero che vedevo, a tratti, all'orizzonte. è verosimile che possano anche tornare. non foss'altro che cenere torneremo ad essere, e non credo sarà una cosa garrula averne la contezza di avvicinarvicisi. ma è proprio perché le cose tutto sommato cominciano a sistemarsi, seppur temporaneamente, che mi ha fatto bene far il punto. ed il punto passa anche per puntualizzarsi quello che si è diventati, nel gerundio di continuare a divenirlo. perché per farlo sempre meglio aiuta saper dove e come si son piantate le radici, da dove e da chi si viene. che poi è come compiutamente aver un po' chiaro l'esser figlio, e relazionarvicisi serenamente. a partire dallo strutturar in un certo modo certe sinapsi, per costruire nuovi circuiti neurali nella propria testa.

con meno rumore di fondo si contribuisce meglio a dar un senso al tutto: mica solo il mio, che da solo non conta 'sto granché. ora si tratta di [provar a] farlo. magari cedendo un po' di gelosia della solitudine. [se non s'era capito questi sono il pensiero 3 del giorno due, e la 2 del giorno cinque]. le cose vanno, a prescindere da noi. qualche positivthinching in più danni non ne fa.

Monday, December 7, 2015

santambroeus de noartri

ho festeggiato con garrulità questo sant'ambroeus. forse per la prima volta nella mia vita.

di certo erano anni che non sentivo un qualcosa che si approssimasse ad un senso di appartenenza, o quelle cose lì.

mi hanno canzonato, bonariamente ovvio, per questo. dal "le tue radici sono da un'altra parte" a "te che stai ove ogni cosa accade". è vero, vengo da un'altra parte - ma poi nemmeno troppo così lontano, per una serie di incroci delle storie e culture di un territorio, e le combinazioni delle storie delle singole persone. è vero, credersi migliori di altri rischia di generare un provincialissimo ammirarsi l'ombelico.

resta il fatto che oggi, 7 dicembre santambroeus del duemilaquindici, in questo preciso momento storico del mio dubbiosissimo divenire, è qui che sto provando un coacervo di sensazioni, appunto, di appartenenza. una specie di alleanza logistica tra il mio provar a incespicare sempre di meno e questa città, che poi significa culture, proposte, suggestioni, stimoli, possibilità, titillamenti, profferte.

non ci sono valori assoluti, o istanze un po' tronfie. è una combinazione di congiunture, tra cui la mia, di oggi, che dopo anni decisamente azzoppati mi pare di riprendermi - timidamente - in mano un bandolo matassoso. lo sto facendo qui, forse per caso, forse per abilità di riuscir a combinarmi con quello che mette a disposizione. e lo sto facendo ora. con ben presente lo iato di cos'era solo un anno fa. lo smarrimento di dieci anni fa. il tutt'altro che tentai quindici anni orsono.

non so cosa sarà tra un anno. forse me ne sarò andato sbattendo la porta e maledicendo il casino, lo smog, il cielo bigio d'inverno e quello lattiginoso d'estate. cosa che peraltro hanno fatto non molto tempo fa persone così a me [zavorramente] vicine.

però so che ora va così. diversamente come me l'ero immaginato. a partire da quell'intuizione e quel film - financo banale - che m'ero fatto da regazzino.

quindi oggi mi sono goduto la prima della scala. visto che si può fruire, altra offerta che basta voler cercare e cogliere. l'ho fatto alla triennale, davanti ad un maxischermo, dopo una maratona di lettura di un racconto di buzzati, ambientato alla scala. ero solo, solo come sempre, in mezzo a gente sconosciuta. ma credo tutti piuttosto [addirittura] fieri di pigliarsi quello che veniva - di nuovo - offerto.

ci deve essere la possibilità di accettare: avessi famiglia, impegni gravosi, impedimenti dei più disparati non potrei farlo, ne sono consapevole. ma poiché oggi è così me lo piglio. perché c'è qualcuno o qualcosa che - di nuovo - lo mette a disposizione.

e voglio coglierlo. con l'intuizione che forse, qui fuori, c'è qualcosa che può darmi anche altre possibilità. che magari non troverò, non incrocerò, non intercetterò. per la serie delle combinazioni di cui sopra.

però, oggi, va bene così ugualmente. finalmente [tra l'altro] appartenente a qualcosa. bastasse il simbolo, un po' scontato, dell'inaugurazione di una stagione lirica di un teatro.

me la sono goduta. fino alla fine, e tanto quanto non pensavo. si è applaudito alla fine, e non per conformismo, e forse senza nemmeno la completa cognizione che potrebbe avere un esperto [per quanto, a me, la regia è piaciuta davvero molto]. ma si è applaudito anche perchè ci si sente in questo effluvio di appartenere a qualcosa che è più grande di noi. che ognuno, a suo modo, costituisce. se lo fa con le cose belle, tanto meglio.

Saturday, November 14, 2015

allons enfants

una volta avrei scritto di getto qualche considerazione. il mio personalissimo punto di vista blogghico, come una specie di riflesso pavloviano.

ma i tempi sono cambiati. non so se è il solito rapporto conflittuale con l'autostima. oppure se è proprio il contrario, non avendo [più?] questa inevitabile necessità di struttuare il mio io, il mio essere. operazione che è passata anche attraverso il blogghe, soprattutto quello tutto sommato affollato di libero.

qui si è di meno. forse vado per sintesi sottrattiva all'essenziale. e certe cose non è nemmeno necessario scriverle.

o forse [anche] c'è l'effetto megafonico-mediatico del feisbuch. ed ho letto cose e controcose. per quanto percepissi il mio stesso smarrito sgomento, anche dietro post che ti lasciano soltanto in bocca il "bah...".

me ne sono stato molto zitto. ho ascoltato. ho voluto esser insieme ad altri. sono andato al consolato francese. zitto. senza nemmeno indagar troppo del fatto - che ne so - sia successo più o meno la stessa cosa a beirut qualche giorno fa [non so nemmeno quando, non so nemmeno quanti morti, non so nemmeno bene come] e praticamente nessuno ne ha parlato, né tanto meno sono andato al consolato libanese. questa è un'altra cosa, più fondante, lo sappiamo tutti. non mi va nemmeno si scriverlo. sono già troppe le parole. e se lo dice un potenziale logorroico come me.

poi però ho pensato a due cose. che mi piaceva lasciar tracciate qui dentro.

la prima è che ci salverà la bellezza. e la curiosità instancabile che la bellezza instilla. e la conoscenza - per quanto sempre parziale e limitata - che la curiosità determina. quindi, tanto per cambiare, ci vuole la bellezza. anche a questo ho pensato andando oggi in brera: dopo l'esser stato assieme ad altri, dopo esser andato al consolato. ci sono andato per il mio "discepoli in emmaus". che è il quadro che forse più di tutti, lì dentro, mi toglie il fiato. era previsto ci andassi. esserci stato proprio oggi ha un valore ancora più intenso. quasi salvifico, o quanto meno rasserenante. che dona levità.

la seconda è sulle contrapposizioni. qui non si tratta di scontro di civiltà. non si tratta di scontro di religioni. non si tratta di scontro tra laicità e chi bestemmia una religione uccidendo in nome di un dio. questo è lo scontro, la contrapposizione tra chi ha perso la propria umanità, e chi ce l'ha ancora, come inestirpabile valore fondante. nonostante le piccolezza, gli egoismi, i limiti, le ignoranze che ci contraddistinguono. insomma: tra chi ha smesso di essere umano contro chi continua a volerlo rimanere, perché non può fare altrimenti.

e dovessimo metterci una, due, dieci, cento vite, allons enfants, vinciamo noi.

Thursday, November 12, 2015

post viburnesco, o viburniano, o viburunico [sulle meraviglie del sistema morfologio-derivazionale]

scrivere un post per la vibù fa un po' venire l'ansia da prestazione. perché in fondo uno desiderebbe far del meglio del proprio meglio. non che non siano importanti anche gli altri, e ci mancherebbe. però la vibù è la vibù e tal rimarrà sempre. qualunque cosa succeda. anche dopo il terzo caffè, per dire.

mi par di sentirla. che la storia dell'anzia da prestazione è una minchiata e che con lei non la devo provare. e so che in tutto questo lei ha perfettamente ragione. però poi ci sono le emozioni, che dopo una certa soglia non sai più contenere, e sprizzano lontane.

però appunto mi piacerebbe trovar quella stilla, con accanto il tipo di emozione che regala il veder baluginare le lucciole. tirar fuori dal cilindro quella cosa che lakovkianamente le faccia flettere un qualche termine, sfruttando i vantaggi della morfologia derivazionale. una specie di cuuuppdddeteattrrr che non t'aspetti tipo: guarda là, vvvrrrramm, esci il mazzo figurato di rose [bianche, che noi siamo atarassici]. talmente figurato che può essere una cosa del tipo il perclorato, che a dirlo così pare una cosa da due soldi, ma ci puoi scoprire l'acqua su marte.

poi è vero. ogni tanto noi due si scazza. a volte ha ragione lei. a volte ho torto io. quasi sempre c'è una specie di deriva logica, che assume i connotati più strani e fantasiosi. ora non me ne vengono in mente di precisi e circostanziati. ma dovessi dire una da iperbole logica potrebbe essere una cosa del tipo: io che mi innamoro contemporaneamente di due donne.

a volte si discute di politica, e quando non siamo del tutto d'accordo sul fine pensiero di questo o quest'altro, eminente stratega della sinistra, il disappunto che ne esce può essere, al massimo, un "bah! [nome-del-politico-che-non-ha-convinto-particolarmente-da-scegliersi-all-uopo]".

a volte ci troviamo in luoghi diversi, metaforicamente o meno. un po' perché - diciamolo, suvvia - non si intende perfettamente di logistica. quindi ci vuol peraltro poco acciocché possa accadere: basta contar male le fermate di un autobussse [al netto della deissi spaziale], oppure finire in un qualche postaccio dimmmerda perché si è sul marciapiede sbagliato della stazione, oppure che fa troppo caldo appena fuori venezia, nel bollentissimo luglio lavorativo quando manca un collega al lavoro e proprio non si riesce ad andarci [ed al netto di tutto, venezia non è in cima alla lista dei miei desiderata. sono diversamente romantico. e poi noi si continua ad essere atarassici].

in ogni caso alla vibù io voglio molto bene. e chi se ne fotte se un sistema antimeritocratico non ha [ancora] capito quanto brava è. o non abbia l'onesta di riconoscerlo appieno. io sono convinto che è solo questione di tempo. e comunque non è che gliene vorrò di più quando anche quel sistema antimeritocratico la punzonerà colla medaglietta che altresì si merita. faccio solo presente, a chi farà la punzonatura, di non approfittarne: non ditelo a nessuno ma di sottecchi una volta mi è pure parso di notare che la vibù ha due bellissimi seni. ma in quanto atarassici la mia è una considerazione meramente estetica, per giunta pre-raffaellitica.

la vibù sa cose di me che sanno in pochi altri. anche perché la viburna è una che rende facile questa cosa qui: sarà una questione di empatia, o giù di lì. credo che di più sappia al limite odg, ma lei la pago - odg, non la vibù. però proprio perché ne sa quasi tanto quanto odg sa anche parecchio di molto altro. e sa come combinarlo in maniera importante: con l'intelligenza, la sensibilità e la logica che la contraddistingue. a volte la logica sminchia un po', ma ci sarebbe da dire: per fortuna. tipo per come pianifica la gragnuola di bozzi - figurati - ai finti-giapponesi degli oollliuuchhenniit, è da vedere: giuringiuello.

ho spesso la sensazione che lei mi abbia dato più di quanto sia riuscito a darle io. [sempre se abbia senso chiederselo, e anche se non credo valga la spiegazione che dei due, quella intelligente, è lei]. mi sono chiesto più volte che sarebbe stata la mia esistenza senza la vibù. come quella di tutti, ovvio. non ci provo nemmeno più di tanto a immaginarmela. perché il tempo - purtroppo - è quello che rimane del poco. ed ha senso viverlo nel hic et nunc del fatto c'è. e ci sarà comunque sempre. checccchenedica il quarto - eventuale - caffè.

aggggggià. oggi peraltro è il suo genetliaco. la saggezza di aver persino più anni di me.

cosa resta da dire, per il momento, se non vibù: ti voglio molto bene.
[non rileggo e posto. con tutti i refusi del caso. poiché son tutti miei pure quelli...]

Monday, November 9, 2015

sulle epifanie del primo ricordo della propria esistenza [financo, a volte mi vien da pensare, con poco senso]

leggevo, sulla filovia.

"l'orgoglio di andare in quella scuola cambiò Birju. Assunse un'andatura rilassata. Quando entrava in una stanza sembrava che pendesse all'indietro. Quando si rivolgeva a me, mi guardava come se avesse di fronte qualcuno di sorprendentemente stupido"

il fatto è che mi si è spalancata di fronte la cosa, come se mio fratello avesse potuto scrivere questo di me. soprattutto l'ultimo periodo. e mi son sentito venir meno, oltre che sopraffatto da una commozione pentita che levati.

come se fosse venuto giù una specie di diaframma. così, sbrrrammm. all'improvviso.

non credo sia del tutto casuale, non foss'altro per il fatto che mio fratello oggi compie gli anni.

e mi è pure sovvenuto che oggi ricorre quello che, verosimilmente, è il primo ricordo ho della mia infanzia. mio padre che chiude la porta di casa, io intirizzito dal fresco della mattina, oltre che moderatamente rincoglionito dal sonno [non dicevo, né tanto meno scrivevo parolacce, ai tempi]. e poi vagamente qualcosa in ospedale, la vestaglia rossa di mia madre [ma forse questo è un ricordo mediato dalle foto], quella specie di sapone che quel bambino aveva in testa.

il problema è che mi si è scatenata dentro la gelosia del bimbo che non sarà più centro dell'attenzione. che mi ha attanagliato per anni, et anni, et anni. più ci penso e più mi convinco che sia stato già l'epifenomeno di un qualche problema di sicurezza e/o di autostima.

il problema era che oltre che geloso poiché insicuro, ero financo un po' stronzo. e questo mi ha fatto mancare un po' il fiato sulla filovia. come se mi si fosse parato di fronte tutto quel campionario di affetto condizionato, e tutto il bene che non sono stato capace di dargli. e via, via, via giù fino al mancato rapporto, sbriciolatosi millemila anni fa.

c'è voluto giusto la malattia di mio padre - esattamente dieci anni fa - per improvvisare una qualche forma di condivisione e afflato fraterno. peraltro poi lasciato andare, con ancora l'aculeo del lutto che doleva.

mi son tornate alla mente un paio di episodi dell'infanzia, dove l'ho portato a farlo piangere, quasi con soddisfazione gratuita, e nel contempo con l'intuizione stessi facendo una cosa bieca e stupida. così come quando, anni dopo, lo chiamavo "zappaterra", mentre studiava da perito agrario: ben altra cosa rispetto al mio corso elettronico. poi, figurarsi, io addirittura mi sarei pure laureato. difatti lui ora è stimato et riconosciuto fisioterapista, che ama il suo lavoro e gli riesce fottutamente bene. io sono un ingegnere frustrato, che ha inanellato una serie di pezzottatissimi tentativi di combinar qualcosa di decente. stipendi medi degli ultimi dieci anni compresi [giusto per dare un qualche addentellato materialistico].

mi ha fottuto la gelosia, dovuta all'insicurezza, oltre che la paura di perdere l'attenzione di mammmmà e del babbo [che giù sentivo meno sintonizzato sulle mie eccentriche esigenze affettive]. ed in fondo a tutto questo rimango pure convinto che lui mi abbia voluto molto più bene di quel che io sono riuscito a voler a lui. come se avessi avuto una specie di freno a mano tirato. e di ciò, sinceramente, mi sento colpevolmente dispiaciuto. aver perso un'occasione. le cose vanno e passano. le esistenze pure. la mia pare scorrere senza molto senso, in questi mesi. per quanto intuisco qualcosa si possa fare, all'uopo.

tornando a lui ed al mio rapportarmi da fratello maggiore, mi son sentito in bocca una sensazione amarissima. senza che nessuno abbia nessuna colpa, io mi sento in tremendo difetto. oltre che di aver avuto modo di esalare un'innocente stronzaggine.

sono rincasato molto scosso. ed ho riverberato pesantemente per qualche minuto. mi era pure venuto in mente di scrivere di getto un post, e di inviarglielo, come presente genetliaco assolutamente inaspettato. come se fosse inevitabile ed impellente il fatto di fargli sapere tutto quello che mi stava ciondolando dentro. ho tardato a chiamarlo al telefono per fargli gli auguri, temendo di bloccarmi con un groppo alla gola sincero, di bene strozzato, ma amarissimo.

poi l'ho fatto. la sua è stata la solita reazione di cordiale distacco atarassico. probabilmente un po' imbarazzato pure lui: serenamente e cordialmente indifferenti. come ci si è strutturati nel relazionarsi negli ultimi anni. del subbuglio che ci avevo dentro - ovviamente - non ha percepito nulla. e forse non lo saprà mai.

però intanto, il post, l'ho scritto.

Tuesday, November 3, 2015

"vedi cara" ed il problema del mio amico itsoh con alcuni cantautori italiani, tra cui guccini

[premessa: non ho riletto, sono assonnato.i refusi potrebbero vincere]

io voglio bene al mio amico itsoh. è una persona intelligente, che spesso fa considerazioni e pensieri che vorrei saper far io.

ogni tanto non sono d'accordo con lui. ultimamente capita più spesso di prima. per quanto rimanga sempre una cosa positiva: è un pungulo intellettivo interessante confutare [alcune] sue considerazioni prese di posizione. ad esempio sul nostro imperatore del consiglio. probabilmente sparerei decisamente più spesso e più veneficamente contro di lui. non lo faccio anche per rispetto al mio amico itsoh. ma non è dell'imperatore del consiglio che volevo parlare. figurarsi.

bensì di un post che l'amico itosh ha fatto qualche giorno fa, su feisbuch [lui pubblica molto. è diventato una sorta di blog centellinato. i suoi post e i suoi steitusapppdeit - che leggo sempre volentieri e he cerco tra le millemila stronzate che riempiono il mio fiiddd - sono la quintessenza postica di quelle che faceva sul suo bloggghe. anche di questo mi son chiesto: io colà pubblico poco nulla. quasi non volessi condividere urbietorbifeisbucchianamente i miei nevrotici tic logorroici. ma tenessi refusi ed esalazioni per questo luogo riservato ed un po' carbonaro]. insomma. dovreste andar sulla sua pagina feisbuch e cercare le considerazioni su "vedi cara", una canzone gucciniana non proprio degli ultimi album.

posto che a me quella canzone piace fino ad un certo punto. è pur sempre una canzone particolare, tra il risentito-melanconico del guccio. cosa che peraltro gli riesce bene. anche se, personalmente preferisco "quattro stracci" ed il suo "casta che sogna d'esser puttana".

insomma. pur sperando di non fargli torto nell'estrema sintesi di quel post, egli prende un po' a critica l'essenza musical-arrangistica di quella canzone. e ne fa sineddoche di un certo approccio essenzialistica della musica d'autore italiana di un certo periodo. metonimizzato dal guccio.

non sono del tutto d'accordo.

essenzialmente perché si esula [quasi] del tutto da un contesto. e quel contesto diventa quasi essenza. e discolarsi da quel contesto è come se deformasse il punto di vista di questo momento. pure troppo. "vedi cara" è tutto tranne che un capolavoro, a mio modo di vedere. diventa ancor meno interessante se la prendiamo - oggi, 2015 - nella registrazione di miGlioni di album fa. e non foss'altro per il fatto che nel mentre ci siamo cambiati pure noi. magari financo infighettati. che non è di per sé un problema, anzi. è che aumenta lo iato tra l'infrastruttura di quando quella canzone è stata scritta e quello che, verosimilmente, ci attendiamo oggi. e ascoltandola oggi funziona con fatica. tanto più se la canzone è tutto tranne che un capolavoro, a mio modo di vedere.

faccio qualche esempio, relative ad altre arti che l'amico itsoh conosce [meglio di me].

se guardo "orizzonti di gloria" io capisco sia l'opera di un genio cinematografico. ma fatico a non trovar tremendamente più terrificamente bello "full metal jacket". ed intuisco che "eyes wide shut" è un passo ulteriore di uno che era già genio 45 anni prima, ma con 45 anni di esperienza lo è con 45 anni di affinamento. come si affina la grappa nelle botti di rovere [?].

e non solo.

l'evoluzione complessiva delle cinematografia mi ha abituato a gustarmi alcune cose. si diventa di palati sempre più fini. la tecnica evolve. e quindi mi aspetto declinazioni sempre più raffinate della genialità, che pesca a piene mani da questo.

"vedi cara" ha un arrangiamento che fa cacare. perché allora, in quel periodo, quel particolare mainstream di maniera badava ad un'essenzialità esagerata. forse reazione ai barocchismi del sistema dello status quo. d'altro canto la contro-reazione anni ottanta rimpinza come foie gras di suoni plasticosi e neo-barocchi quel che si produceva.  un po' perché bisognava prender le misure degli strumenti sintetici da usare. un po' per distaccarsi dalla spartaneria - financo bruttina, suvvia - dell'eskimo per arrivar lunghi alle camicie con le spalline pompose, i ginz rivoltati e pomposità kitch similari.

e poi, non dimentichiamocelo, si cambia. se penso alla venerazione che avevo per quel paraculo di fazio, fino a nemmeno un lustro fa - nevrosi per la sua autrice a parte. se penso a certi abbagli politico-intellettuali che mi son preso fino all'altro ieri. se penso ai piedistalli su cui ho innalzato persone e cose. e forse anche l'impellente necessità di scrivere su millemilaminchiate. da qui millemila post.

ora, personalmente, vado per riduzionismo. e, nemmeno troppo paradossalmente, sto andando verso una [temporanea] essenza. per quanto molto più raffinata, di nuovo come fosse una specie di barrique esistenziale. certo, mica cambia per forza tutto. alcune idee, alcune intuizioni, alcune cinestesie, alcune amicizie, alcune esigenze, si rinnovano periodicamente per scoprirsi sempre le medesime. così come alcune idiosincrasie [tipo per un certo modo di intendere la politica e la premiership], ovvio.

tra le costanti rinnovate sono c'è l'amico itsoh, ovvio. anche se alcuni suoi politici mi fanno decisamenre dubitare.

oppure altre cose. che ne so, ad esempio, "il pescatore" fatta con la sola chitarra in versione originale ha la sua medesima pelle d'oca. ma con l'arrangiamento pfm - 35 anni e non sentirli - è pure più fica.

Sunday, October 25, 2015

ri-comparsimentismi [che uno a volte si auto-sorprende]

ovviamente, alla fine, non son mica sparito. come già l'ultima riga del post di prima acclarava, nel non verificarsi. e poi a volte il blogggghe è un'iperbole, un'esagerazione terapeutica. o forse anche semplicemente in de-sincrono.

perché non solo non sono sparito. ma è venuto fuori un uichend che non mi aspettavo. seppur da solitario - e verosimilmente, in questo periodo, sono una delle persone meno indicate con cui passare il we [cit].

avrei dovuto lavorare intensamente. per chiuderne uno e poter dire: sono [quasi] libero.

però poi sono andato a bookcitymilano2015. sapevo ci fosse, me l'avevano suggestionato per via di certi autori russi. mi ero ripromesso di andarci, sapendo che probabilmente non l'avrei fatto. così come maratown. o il photoshow. tutto in un uichend. in cui avrei dovuto lavorare intensamente. iniziato con le tossine appppalllllla. con tutte le premesse perché ne avessi di pure peggio.

poi però ho sentito per radio di un incontro per presentare un libro. sono uscito all'improvviso. mi son goduto l'incontro, pur snobbando il libro. ho preso il programma. ed ho cominciato la fase bulimica.

ed è stata una piccola epifania, con cui mi sono [auto]spiazzato, e meravigliato - positivamente - di me medesimo.

perché son riuscito ad incastrarlo nel lavoro che comunque ho fatto. che non ho finito. ma se l'avessi finita - inutilmente il 25 di ottobre - avrei perso bookcitymilano2015.

perché mi son trovato in mezzo alla gente. ed ho ascoltato suggestioni molto interessanti.

perché ho intravisto un abbozzo di embrione di progetto per uscir da quella fottuttissssima banca. per quanto generosamente latrice di fatturazioni mensili. ed uscir da quella fottttutissima idea di quel tipo di lavoro.

embrione, vagolisssssimo, di progetto. non tanto per il libro che verosimilmente non scriverò mai, e lo scrivo sul bloggggggghe.

ma per il fatto che qualcosa si può inventarsi. ci si può proporre. ci si può immaginare. per il solo fatto della densità che questa città propone. per quanto ci siano un sacco di laureati a piedi. ed io che della mia laurea vorrei fare - figurativamente - carta straccia [posto che adesso son solo una sottospecie di "informatico", quando noi gli dagli informatici si andava a recuperar esami facili per chiudere il piano di studi].

è un'intuizione evanescente, al momento. però c'è densità. ed è ora di cominciar a conoscere qualcuno, là fuori. adesso che avrò più tempo - una volta finito i progetti extra. e la consapevolezza che si passa per di là.

deszzzzoootttt.

Saturday, October 24, 2015

sparizionismi, di venerdì sera [e che acclara la sua iperbolica illogicità l'ultima riga]

la premessa è che sono molto stanco. mi sono addormentato sul divano alle 20.00. per svegliami 50 minuti dopo, sul rincoglionito, e lo stomaco un po' [ancora] sottosopra.

l'altra premessa è che è un post giaculatorio, quindi noioso. serve a me per sputar fuori la mia frustrazione. e metter l'ennesima bandierina nel fil rouge delle giornate la cui serata dovrebbe esser liquidata, senza remore, con il divano letto aperto prima del tempo.

un'ulteriore premessa è che non ho distaccato il segnale neuronale nemmeno un po' con nessuna sostanza, e/o assunzione di alcunché. solitamente è birra. sempre più raramente il vino: sarà che il vino bevuto da solo, in assenza di interazione sociale, è meno consumevole.

l'ultima premessa è che fisicamente sono in salute, ed ora continuo a fatturare: non è una questione di venalità, visto che non lo sono mai stato. è che se una delle poche cose positive del periodo è quella di fatturare, significa che c'è poco da rallegrarsi. per quanto ci possono essere periodi omologhi, dove però non si fattura nemmeno.

in fondo il momento più sereno della settimana dovrebbe esser questo. il venerdì sera. che si hanno davanti ben due - dico due - giornate dove [apparentemente] il tempo lo si gestisce in autonomia. sono i due giorni che servono per decontaminarsi. per quanto il venerdì sera si è maggiormente carichi di tossine. da cui decontaminarsi, appunto. forse è per questo che si rischia di essere così incazzati.

e quindi i pensieri vagolano, a volte, in maniera stridente. dove stridente è l'aggettivo, onomatopeicamente, cercato ed utilizzato apposta. stridore di metallo, ad essere più precisi.

tipo, quella suggestione immaginifica del: se sparissi, e mi portassi dietro la memoria di quel che sono stato, interazioni relazionali comprese. via, szoottt, scomparso: per sempre. ma come se proprio non ci fossi mai stato. giusto per non dar il peso agli interrelazionati di prendersi il disturbo e/o il peso di provar una qualsiasi forma di sentimento negativo, o mancanza. non merito nemmeno quello. come affannarsi per uno che non c'è mai stato e che non è più. levo il disturbo. e mi porto dietro il ricordo. nessuna traccia nelle reti neuroni-assoni di chicchessia.

me ne vado via. quel frammento d'attimo prima di violare un qualche vincolo logico del tipo: come fa ad andarsene uno che non è mai stato? perché non c'è nessuno che rechi il ricordo di nessun tipo di passaggio.

come non meritarsi nemmeno di lasciar in ogni dove nessun tipo di traccia. per manifesta inutilità: quanto meno percepita, e poco importa se si è affogati nella consapevolezza ci si stia azzuffando, fendendo cazzottinissimi, con la propria autostima. nonché qualche addentellato con la cultura calvinista, con gocce di nichilismo.

tecnicamente dovrebbe scomparire anche questo blogghe - con peraltro tutti i refusi. a partire da questo post.

zoooot.

Sunday, October 4, 2015

il libro dalla copertina furba, i lucciconi, la premessa non-depressiva

la premessa è che verosimilmente ha ragione odg, sulla storia di un mio [eventuale] inizio di depressione. cosa che peraltro le ho chiesto l'ultima volta. in quella seduta tutto sommato mutuamente rivelatrice: io le ho detto che nel mio idioletto lei è odg, lei mi ha fatto sapere di aver un figlio in età universitaria, e verosimilmente futuro ingegnere.

lei sostiene io non sia depresso. non che desideri esserlo, ovvio. mi era sovvenuto il dubbio fossi in procinto di svoltar per.

poi stamani ho ragionato sul fatto che mi bastano poche ore di [relativa e temporanea] serenità e sento smuoversi echi di voglia di fare - lontani, vabbhè, ma non perduti. o baluginii di tentativi ri-progettare. financo di scrivere post. e di scriverli per provare a piazzar in righe logorroiche e piene di refusi quel che si è. porsi. e farlo con la consapevolezza di esser molto meglio dei refusi e più coinciso della logorrea.

scriverli quivi, peraltro. senza la grancassa polpettonevole del feisbuch. perché in fondo mica voglio scriverlo per [relativamente] tutti. ma farlo nell'intimo di questa specie di spazio uterino virtual-semisegreto.

comunque.

ho letto un libro. a dire il vero ne ho letti molti in questi ultimi anni. bulimicamente. nella mia tassonomica archiviazione, l'anobii intimo, questo resterà tra i più toccanti di questo faticoso ma fatturevole 2015.

mi è stato regalato dalla fanciulla per cui si scatenò compiutamente un innamoramento nevrotico. roba di parecchi, parecchi, parecchi anni fa. ora abitiamo a 300 metri di distanza. ma ci sono differenze ben più marcate ed insormontabili. la sogno, ogni tanto. e sogno mi si vuol concedere in qualche maniera. raramente mi si scatena l'entusiasmo onirico. verosimilmente la sogno non perché la desideri. ma perché probabilmente rappresenta il mio archetipo di bellezza di donna. non quella che cambia la chimica. bensì quella che si sceglie come madre dei propri figli.

comunque.

mi ha regalato questo libro. ne parlavamo qualche settimana fa. lo si vide in libreria. mi disse che era curiosa di leggerlo, dopo che le dissero fosse un bel libro. discutemmo sull'immagine di copertina. provocante e artisticamente oscena, secondo lei, da cui proteggere le sue bimbe se l'avesse preso. interessante da par mio. che pur mi sentivo con un velo di maschera atarassico-distaccata, per evitar il rischio di apparirle un po' troppo sui generis. o forse per evitar di dover giustificar questo.

e invece me l'ha regalato. assieme a quello dedicato al suo pro-zio prete, morto giovanissimo ed in odor di pre-santità. se n'era discusso un paio di ore prima di quell'altro. quello con la copertina scandalosa ma interessante. sacro e profano, mi ha scritto nell'sms che mi diceva mi aspettavano due libri per me. per me nel senso che non dovevo restituirglieli.

son partito dal profano. titolo e - appunto - copertina furbi. solo apparentemente così scandalosi. l'immagine è citata nella storia. durante la visita al MoMa del protagonista. poco prima di uno dei punti nodali del romanzo. la "holy cross" che campeggia nella sua bianchitudine, con quel gorgo irsuto nero che prorompe come il desiderio dell'origine del mondo, è azzeccata.
alla sesta riga si legge
- e i pompini
lo dice il papà del protagonista, dodicenne, che narrerà in prima persona. è lui la vista dello svolgersi di tutto il divenire.

poi succede che il romanzo diventa un po' tutt'altro. uno di quelli che leggi centellinando i paragrafetti. ma che è uno di quelli che levi con piacere dallo zaino per aprirlo e continuare a leggerlo.

per quanto in alcuni passaggi mi pareva di essere un po' turlupinano dalle scelte stilistiche. e forse un po' irritato dal narcisismo della cifra narrativa.

anche per questo, appunto, un romanzo furbo.

eppure mi son trovato spesso con i lucciconi agli occhi. perché, come dire, Libero - il protagonista - avrei voluto esser io. per quanto un poco artefatto. sia per la commovevolezza del padre. che per le possibilità di inebriarsi di lettura a di cinema fin da piccolo.

e poi il ragazzo scopa in maniera sublime. spesso selvaggiamente sublime.

non tanto nell'atto, che viene solo fatto intuire a piccolissimi tratti. ma come sublima l'atavica sensualità del farlo.

forse vorrei esser Libero, anche per immaginare di poter sovvertire quel passato quel poco represso. lui si masturba due volte al giorno - nei periodi con cui si accompagna e non - per assecondare il suo effluvio di non continenza rivendicata. io quando lo confessavo al prete/[ex]amico dovevo sempre solo farlo intuire, ché la vergogna mi assaliva. cose così. vorrei esser [stato] lui anche per tutte le possibilià di adoperarmi e migliorarmi nell'ars amatoria. o qualcosa che le si approssima. foss'anco solo per poter stringere e baciar coppe, da cui sono strutturalmente più attratto rispetto al sedere.

sono stato Libero quando da quindicenne mi sembrava di esser invisibile alle coetanee. e mi facevo forza dicendomi che avevo altre qualità, nascoste all'occhio frivolo. nel romanzo glielo dice la sua amica più anziana, con il seno maestoso, ma che è molto di più dell'eros che scatena negli uomini e quindi si arrenderà con eleganza ad una singletudine forzata.

vorrei esser Libero, per tutte le tacche che il suo amico-datore di lavoro in osteria inciderà sul bancone. ma ormai non ho più l'età di Libero. e credo di non esser nemmeno bravo come lui a letto.

vorrei esser Libero, perché il finale si sublima [romanticamente? semplicemente? banalmente? inevitabilmente?] nell'incontro con la donna che ne stravolgerà la percezione dell'esistere. e che lo libererà. la donna che sovverte la chimica perché si va via di testa per lei. di quelle che ne esistono poche per ciascuno. ancor di meno per un cagacazzo pretenzioso come me. quella donna che per esigenze di plot - oltre che il romanziere può far fare quello che vuole nei suoi romanzi - Libero trova, sposa e che lo renderà padre poco prima muoia anche la madre, nelle ultime pagine della storia [romanzo furbo, dicevo, no?].

eppure, appunto, mi son trovato spesso coi lucciconi. per i momenti in cui si canta dell'amicizia sincera. di quando si è strutti per la nostalgia di quelli che se ne vanno [anche quando seppelliscono in parco sempione il cane Palmiro Togliatti]. o quando si è nel maroso dell'inebriata e cervellotica eccitazione, per la licenziosa leggerezza con cui si intuiscono alcuni amplessi.

non c'è nulla di osceno. forse perché vorrei essere quel Libero. forse perché ho fatto pace con quel che vorrei fare. per quanto dicotomico, e molto anisotropico [e quindi con scarsi risultati pratici: ci si disperde quando non si concentrano le energie, peraltro già molto impegnate, in questo anno faticoso]. perché ogni tanto avrei questa gran voglia di non contenermi. ed esplorare la diversità dell'intimità, per carpirla, di quante più donne: insomma di scopare gioiosamente, e tanto. mentre ogni tanto avrei la stessa voglia di potermi perdere nel rapimento intellettuale e quindi [anche] erotico di colei - tra le pochissime che esisteranno da qualche parte nel mondo - adatta e che forse tipo storto come me. roba da farci l'amore, ed ogni volta sempre meglio. quell'incontro di cinestesie per cui smetter di avere paura, sacrificar questa solitudine orsica. che un po' mi protegge. un po' mi soffoca. [e che lascia pure il tempo per certi post logorroici. quando si sente un po' più lontana l'idea di essere pre-depressi].

Wednesday, September 30, 2015

il tributo bimestrale al senso di percezione merdosa là dentro

oggi è stata una pessima giornata, proprio nel mezzo della testing-week.

è successo quel che mi aspettavo succedesse, ad un certo punto.

la notizia buona è che, nei primissimi momenti, ho reagito bene: con atarassica resilienza.

la notizia cattiva è che, post i primissimi momenti, la frustrazione, il senso di pieno, la nausea e la tentazione di mollar tutto si è fatta largo. e mi ha travolto. col cazzo resilienza.

ed ora sono marosi interiori. seppur piccole fluttuazioni quantiche, negli oceani siderali delle ingiustizie e tristezze che l'umanità esperisce.

c'è la nevrosi di non riuscir a far le cose come vorrei. c'è la percezione della pochezza [frustrata] di alcuni interlocutori. c'è il senso di straniamento per un qualcosa che vorrei lasciar dietro un angolo, per sempre. non solo lavorativamente.

sono stato colto da piccoli conati d'anzia. avrei voluto comunicare a voce tutto questo a qualcuno. la classica voce amica, per provar a riscaldar l'animo inquieto in sommovimenti spastici. avrei voluto sentir financo matreme, ma non è il caso la carichi di alcunché.

non ho chiamato nessuno, ovviamente. per rimuginar la solitudine. né per non disturbare [questa, peraltro, l'ho sentita giusto poche ore fa, con tanto di rimbrotto - affettuoso - da parte mia: come non siamo reciproci, a volte. illuminati a consigliar gli altri, pessimi razzolatori verso se medesimi].

cercherò di scioglier qualche lacciuolo con la realtà opprimente della serata con una birra. che sta giustappunto raffreddandosi nel freezer. nel mentre posto l'ennesimo post giaculante, senza distrazioni alcolemiche alcune. in fondo l'aspetto auto-terapico dello scrivere è dovuto al fatto ci si riesca a porre e a porsi. quello che ho percepito misconosciuto, nella melma generale, in questa giornata di metà testing-week.

vado a cenare. con la birra. avrei voglia di un abbraccio e di abbozzi di consolazioni. altresì impugnerò la lattina di una doppio malto scadente. e qualche pagina di libro.

fanculo.

Sunday, September 27, 2015

queste specie di re-inizi alla fine di settembre

due anni fa come in questi giorni si chiudeva l'ufficio. l'ultimo giorno che vi ci andai a recuperar alcune delle mie cose mi sentii pervadere da una specie di gioia. una cosa tipo liberazione. quelle piccole epifanie lungo viale legioni romane. sentivo che si chiudeva un qualcosa di poco positivo. però ero financo vicino ad un concetto di felicità. ricordo che volli condividere quel momento con l'amico luca, mentre guardavo calar il sole, per l'ultima volta, in quella fottuta e claustrofobica stanzetta. c'era qualcosa di struggente, di fuggevole: come la luce che imporporava il palazzo di fronte. me ne andavo da quel posto. ero un poco più libero. non avevo ancora realizzato del tutto quanto gli altri fossero due zavorre. non che non me l'avessero già suggerito, o suggestionato. anzi, ne era nata pure un'assurda discussione. assurda per il fatto che ora la cosa mi appaia così acclarata. ognuno ha un po' i suoi tempi.

comunque. chiudavamo l'ufficio ed io intuii che qualcosa di importante era successo. e che avrei potuto fare un sacco di altre cose, nel mentre portavo avanti la baracca e la sempre più pezzottata aziendina. pensai addirittura di chiedere ad un paio di amiche come vedevano l'idea di posar in foto di nudo. "perché non provar anche quello?" mi chiesi.

non feci nessuna foto. non riuscii a far quasi nulla di tutto quello che mi ero titillato. ritrovai il piacere-peso di lavorar da casa. creativamente ad inventarmi i modi per non dar fuori di testa.

poi di lì a qualche mese non solo realizzai la storia delle zavorre. ma si sgretolò un po' tutto il resto. fui sul punto di mandar tutti afffffanculo, con tanto di insulti di cui avrei dovuto poi chiedere scusa. iniziarono mesi piuttosto bui. affogato nel rovello di cos'altro avrei potuto fare. con un sacco di dubbi verso tutto e molta apatia verso troppo.

davvero. periodo di merda. e completamente con le finanze sminchiate.


un anno fa come in questi giorni, un lunedì mattina, decisi che quel contatto, quel compagno di corso così tanto in carriera, quello che ne aveva passate, ma ne era sempre uscito meglio, colui cui mi vergognavo un po' raccontar il mio fallimento, quello che pensavo fosse sensato sentire almeno già da qualche mese, quello che già mi aveva fatto lavorare in passato: sì, era il caso di chiedere a lui. anche solo per dirgli: sono di nuovo in circolazione.

è un po' come la storia del chiodo in "novecento". quello che regge il quadro. all'improvviso, senza dar preavviso, cede. e vien giù tutto. vvvvvramm. quel lunedì mattina gli mandai un sms. vvvvvvraammm. finiva con "appena riusciamo ti spiego".

mi chiamò quella sera. mi aveva giusto pensato quel mattino. prima di ricevere l'sms. credo, nel mio fottuto razionalismo, che le coincidenze siano solo - appunto - coincidenze. però quella, di coincidenza, mi aiutò a raccontar con molto meno peso, il perché del mio ri-farmi vivo.

mi butto lì un qualcosa di molto sporadico, ma che poteva iniziar subito. non mi parve qualcosa di così entusiasmante. ma era un qualcosa. ed in fondo c'era financo da scrivere. "ne parliamo davanti ad una birra", ci promettemmo.

e davanti a quella birra ebbi la mia piccola epifania. il baluginio in fondo al tunél. tornar a far il libero professionista. differenziare attività e clienti. a milano. fu un attimo. il momento più felice di tutto quell'anno complicato [al netto di altri piccoli acme]. perché nella nebulizzazione delle cose che potevo fare se ne era, finalmente, congrumata una. e si poteva passar al fare, oltre che ipotizzare. e perché la naturalezza che percepivo in quella scelta significava che avevo come scavallato. avevo cominciato a smettere l'onta del fallimento e del non esser "degno" di trovar clienti. ma di potermi porre davanti a costoro e con convinzione propor loro il mio tempo, le mie capacità, prestar loro, la mia intelligenza.

per uno con ontologici problemi di autostima son conquiste mica da ridere.

poi arrivò, d'un tratto la proposta: analista, consulente a tempo pieno, una dipendenza mascherata e tutto quello che ne seguiva. a partir dal fatto non poter più disporre del mio tempo. e finir, di nuovo, sotto un qualche "capo" che - già lo sapevo - difficilmente si sarebbe rivelato all'altezza.

però c'era la possibilità di uscir dallo sminchiamento finanziario. fattura tutti i mesi. e pagamento assicurato. fieno in cascina. possibilità di rientrar coi debiti con matreme [la mia personalissima nevrosi]. ed avrei ritrovato il mio amico omar.

accettai, con molto timore. ma con l'idea di giocarmela. anche solo per [ri]mettermi alla prova.

sono seguiti - e seguono - dieci mesi tecnicamente duri, molto duri. un po' perché poi alla fine i lavori son diventati due per troppe settimane. un giorno di vacanze. ambiente venefico. la qualità della vita in picchiata. troppo impegnato a. nemmeno il tempo né il desiderio di goderseli un po' quei due spicci che potrei ora pur spendere. perché fatturo, assssì se fatturo. e forse ho financo imparato a scoprirmi molto più abile di quanto immaginassi in ambiti non solo tecnici.

è la dicotomia di questa esperienza. è molto positiva e ne ho una specie di rigetto continuo.


in questi giorni sento la nausea montare. come non mai. ma non è più nemmeno rigetto. è la sensazione che forse è il caso di far cambiar qualcosa. anche alla luce delle [auto]scoperte di questi mesi. domani inizia una settimana in cui, oltre la fattura di fine mese, cercherò di capir meglio questa sensazione. se è come la storia dell'irreversibilità dell'entropia e siamo allo sb[r]occo finale, lungo quel che servirà. oppure se è riassorbibile: quindi poter pensar di starmene buono ancora per qualche mese e fatturare.

sento le rotelline girare. la pulsione proattiva a cominciar a ragionare in altri termini e possibilità. e - paradosso per paradosso - proprio in questi giorni in cui il brio esistenziale pare essere essersi evaporato. tipo la birra lasciata in frigo, aperta, per giorni.

sono curioso. vediamo che suggestioni ne verranno fuori [tanto, di scopare, non se ne parla nemmeno questa settimana, uichend incluso].

Sunday, September 6, 2015

aylan e me

[premessa. post iniziato due giorni fa. riscritto. riletto [refusi a parte]. ri-riletto. ri-meditato. difficile, insomma]

questa sera facevo autostopppe. non mi ha caricato nessuno. ma sapevo di avere la figurata rete di protezione del busse che sarebbe arrivato, da lì a svariati minuti.

ed ho pensato ad aylan. che a chiamarlo per nome fa una cosa diversa da il-bambino-siriano-affogato-sulle-coste-turche-che-tanto-ha-scosso-le-coscienze-che-non-è-giusto-o-forse-sì-metterlo-in-prima-pagina-di-un-giornale.

anzi. ho pensato al suo significato per me. e la storia di una foto: lui senza più vita, dove la terra inizia e finisce il mare - visto che nel mare è morto - metre io ancora in vita, col mio bel pugno nello stomaco. e cosa è successo dopo.

ad essere quisquiglianti io non ho condiviso la foto, per quanto abbia contribuito anch'io a renderla virale. la viralità: nel contempo epic vuiin o fffeil del susseguirsi di cose epiche che svaporano come l'afflato dell'alcool con cui si puliscono le nostre scrivanie, da dove si rende virali le foto, e si pensa di esser nel centro del divenir del mondo, basta la connessione internettara.

dicevo.

non l'ho condivisa. l'ho messa come coverimmeig del profilo feisbucchiano. prima l'ho photoshoppata un poco, giusto per renderla più "mia". per lavorarla quel minimo e metterci dentro un ulteriore afflato di non so bene cosa.

già.

non so bene cosa. perché tutto è avvenuto in maniera quasi da stato di trance. come fosse lancinantemente necessario mi presentassi così, nel micromondo de li soscciall. photoshoppavo e ogni volta guardando la foto per valutare il risultato sentivo una specie di botta, un urto, uno stringermi il petto [figurativamente], all'emozione, alle lagrime sublimate. non volevo metterci parole. solo l'immagine e provar a comunicare una del tipo: questa è la cosa più cogente, voglio mi rappresenti. poi ci ho messo a compendio un post di marco bracconi di repubblica [che val la pena leggere], appena sotto la foto che avevo appena guardato, scaricato, photoshoppato e che volevo mi facesse da copertina. niente parole mie. un'immagine: quella.

e me ne sono andato a dormire. scosso. ho sognato, nel turbinio dei sogni, di bambini piccoli, ma non piccolissimi, da passeggino. potevano essere come aylan.

la mattina dopo ho cominciato ad ascoltar del ciarlare sulle foto. sul fatto di pubblicarle. sul senso. sul perché ed il percome fossero così lancinanti. su come potessero scuotere l'inedia politica e/o di come risultassero digerite ed ormai ignorate. sul fatto fosse giusto pubblicarle e sul senso fosse giusto non pubblicarle.

ma non mi hanno poi affascinato più di tanto, nonostante la speculazione ed il ragionamento, intuivo, potessero essere interessanti. ma come eco confuso e soprattutto lontano. di certo non mi hanno appassionato. asetticamente e tecnicamente credo che foto e titolo de "il manifesto" siano state impeccabili. ho letto che in redazione c'è stata discussione se e come uscir in quel modo. ma penso siano in parte validi anche i ragionamenti di coloro che hanno criticato quella scelta, e ne hanno fatta un'altra. ognuno, in un ambito così complesso, ha un pezzo di ragione, se ragionata.

non mi hanno appassionato e me le son fatte scivolare un po' via - a parte la suggestione dell'amico itsoh, ma soprattutto perché a lui voglio bene. mi son sottratto dal ragionarci e/o prendere posizione perché, dal mio personalissimo punto di vista, poteva aver senso solo quel pugno nello stomaco che avevo provato. a prescindere dalle prime pagine dei giornali. senza che mi si dovesse spiegare il perché, proprio a 'sto giro, la cosa mi ha effettivamente lasciato così interdetto.

della complessità del fenomeno epocale della migrazione di popoli penso di non essere così sprovveduto, o utopista. ci ho già ragionato, ho provato ad informarmi, razionalizzare, capire, financo - pomposamente - quasi studiare. è un fenomeno che non si esaurirà nei prossimi mesi, se va bene anni. è cosa epocale, punto. essere d'accordo o meno serve tanto quanto sciacquar la tazza di dove si abbevera il cane, o grattarsi la testa senza nemmeno accorgersene. non sentivo così impellente la necessità di farmi spiegare ancora. mi bastava guardare quel che restava di aylan, di quel bimbo.

stesso discorso sulla pietà e/o la solidarietà, o la negazione di questo per i più biechi interessi elettorali immediati. tutto sommato so già da me. nei miei frustrati abbozzi di trovar un senso in questa società mi sono almeno strutturato, quanto basta per sapere come le vivo e la penso. senza che qualcuno o qualcosa possa farmi sentir in difetto per le mie posizioni. semplicemente cambierei interlocutore o compagnia. fine. non avevo bisogno dei pipponcini per convincermene ulteriormente. parole sentite, scandalizzate, provate, commosse, e tutte ovviamente pro-solidarietà, perché gli sciacalli elettoralistici hanno quanto meno subodorato che in questi giorni sarebbe controproducente cavalcare le istanze putrebonde. tanto le tireranno fuori ancora dalle fogne, c'è solo da aspettare.

era come volessi sottrarmi da tutto questo. fottersene delle prime pagine, quasi che il pugno allo stomaco non avesse bisogno di alcun giornale. fottersene dei dibattiti, delle discussioni, delle argomentazioni, non serve la socio-antropologia per capire come mi sentissi. e, rimasto solo col grumo che mi pesava dentro, pensare se e cosa potesse significare, in quel momento - precisamente storico nel mio intimo contesto, non per la Storia di questo fottuto mondo - cosa rappresentasse per me aylan, quel bimbo. e nel ragionamento immediato, e nell'intuir le sensazioni interiori metter come segnale, segno, simbolo, riassunto, icona quella foto a copertina.

ho ripensato a tutto questo, mentre le auto passavano e continuavano, ciascuna, a non essercene con dentro qualcuno disposto a caricarmi.

e naturalmente sono arrivato al punto un po' nodale. forse dirimente. con la quale ho un po' equivocato fin qui, volutamente.

la foto che ho visto, che ho photoshoppato e messo nella mia "copertina" è quella di aylan esanime in braccio a un poliziotto turco. nell'articolo di repubblica.it - che verosimilmente ha deciso di non pubblicare quella più d'impatto - si parlava di altre foto, più crude, più lancinanti. il fatto è che in quella foto il viso di aylan non si vede, nascosto, nella prospettiva dello scatto, dal tronco del poliziotto. è stato quello che mi è rimbalzato prepotentemente dentro. è il gesto del poliziotto per cui sono andato in modalità automatica e quindi di tunneling attraverso il mormogliar di prime pagine sì/no, dibattitti senza la soluzione ma con molta frustrazione.

ecco. io, la foto di aylan disteso sulla battigia faccio ancora fatica a guardarla. per una seria di ragioni che stanno lontanissime dal fatto penso sia stato giusto pubblicarle, e financo farle diventare virali.
no. le mie ragioni sono molto più da debosciamento mio, contestuali al periodo, che - tanto per cambiare è quello che è - sono frustrato di mio: le ingiustizie del mondo continuano a non scivolarmi addosso, ma son troppo stordito e intimorito anche solo per guardare quella foto. anzi, forse è persino vergognoso accostare  le due cose. metter nello stesso ragionamento quel dramma epocale e quella foto che fa da sineddoche, alle mie difficoltà da caso umano, e la poca capacità di tener lo sguardo fisso su quel corpicino.

quindi non so se sarebbe scattato quell'automatismo se avessi visto quest'ultima. quella dove il dramma pare insolubile. penso di no, ma ormai è tardi per tirar fuori una qualche conclusione sensata.

però - pensavo mentre le auto continuavano a scorrer accanto al mio dito pollice sollevato - il fatto abbia visto, nel caso di quella serata, quell'altra deve aver smosso qualcosa. e ritorno sul gesto del poliziotto turco. l'azione che sta compiendo. che sembra concentrar nella posizione delle mani il senso del "la terra ti sia lieve". è una cosa ovvia, scontata, che costui non ha mica ragionato di dover fare in quel modo. però deve esser quello che mi ha fatto scattare il resto. in quel dramma epocale ci può esser un'altra sineddoche: per il fatto si fa qualcosa. si possa far qualcosa. si debba far qualcosa. aylan è morto, la migrazione di popoli è in atto: ci possiamo far poco, ora. è la capacità di reagire con l'umanità e la delicatezza [ferma e decisa] necessaria che è possibile.

come se, di nuovo, intravvedessi una possibilità anch'io. io nel senso di io: quello che si lamenta e che si sente frustrato per tutte le cose che non ha combinato di così funzionanti finora. una possibilità. qualcosa che è in potenza, mica [ancora] atto. effimera come la copertina di un banalissimo soscial.

ma è una possibilità.

Friday, August 28, 2015

appunti per quando rivedrò odg

in questo lavoro mi adopero per dare il la alla risoluzione di problemi. le chiamano production issue, in inglese, che fa più fico. poi si abbreviano in piiaaiiii. l'amico omar, là dentro, le chiama pi-ii, acronimizzando in italiano, e se ne fotte che la sigla venga dall'inglese. lui che peraltro l'inglese lo sa molto meglio del 98% di quella compagnia di pazzi.

in buona sostanza analizzo piiiaaiii. che diventa l'unità di misura della numerica su cui stabilire l'efficenza e l'efficacia del gruppo: per decidere, con un tratto di penna, se smantellare tutto o continuare così com'è adesso. la piiaaaiii è l'elemento molecolare che scandisce l'operatività e muove il nostro agire. poi vabbhé, ci sono molecole banali, quasi inorganiche. e polimeri complessissimi. non importa, per certi aspetti numerici: una piiiaiii  è una piiiaiii. e tutte uguali sono, a cubarle: una livella che se ne fotte dello sforzo profuso per. le piiiiaiii sono il puntellarsi di punti di accumulazione di un processo che è pezzottato a monte. da un certo punto di vista inevitabilmente: non esiste il software senza bachi, figurarsi [e queste suggestioni rieccheggiano come ricordo degli arbori della pezzottatissima carriera lavorativa, di cui l'amico omar fa parte [dell'inizio di carriera, non che sia pezzottatissima: ovvio. su quello ci ho messo della gran costanza io, e le mie titubanze per far una cosa ed essere decisamente altro]]. il problema al limite è quando a monte di tutto ci si mette un'approssimazione un po' arrogante, verosimilmente troppo cantinara e per un cazzo teoretica: noi si sviluppa come a scopare libidinosamente, le analisi funzionali facciamole sulla carta da formaggio [figurativamente, ovvio]. figurarsi poi quando, in questo delirio, ci si affidi a fornitori che alla bisogna mettono a disposizione degli scappati di casa.

in pratica la piiiaaii è il guano che si raccoglie nei canali di scolo. è l'avanzo che si accumula a monte delle grate messe a mo' di filtro, dove passa quest'acquaqua. la piiiaii è l'epica surrogata di quello che non va. e noi le si deve sbrogliare. quando non si confonde il fatto che la merda l'ha vaporizzata qualcuno a monte, non colui che la deve metabolizzare a valle, magari facendone anche concime per provar a migliorar un po' il tutto. però il senso è un po' quello. così come son visti quelli degli autospurghi: quando hai a che fare con quella roba, per metonimia, non ti viene in mente possano cucinar manicaretti, o immaginino il bello e il nutrimento per la mente o lo spirito. figurarsi poi quando sono consulenti esterni, cordoncini del badge bianchi, coloro che possono essere dismessi senza troppi problemi. ed anche in maniera spiccia: la copertina sindacale è attenta solo ai dipendenti.

questo il contesto, anche se dipinto un po' pipposamente, ovvio.

ebbene: naturalmente nella mia testa mi prefiggo di risolverne un numero sempre maggiore di quello che riesco a fare effettivamente. perché poi le piiiiaiii hanno una loro vita, a volta da golem, e quando ne gestisci 3-4 per volta ci si accavalla il tempo, il sentimento, l'anzia performativa collegata. specie poi quando qualcuno stabilisce: siamo indietro, troppe piiiiaiii rimaste non risolte - ma questo è un altro discorso, o forse non del tutto.

comunque.

obiettivi piiiaiiistici troppo elevati. poi non ci riesco. e quindi sono frustrato. e credo di valere meno di un cazzo. da qui ennesima frustrazione condita col fatto che - verosimilmente - potrei pisciar in testa al 95% di quella compagnia di pazzi. ed invece sono l'ultimo dei peones, consulente, un po' tipo del tipo di quelli sezione autospurghi, di cui sopra. a disposizione degli utenti [i clienti sono altra categoria], di tutti gli utenti: loro sono quelli che aprono le piiiaiii, e sono i nostri clienti. tutti. dall'idota più incompetente, al più frustrato dei personaggi tristi che si sente ignorato, lui e le sue piiiaiii, che magari nessuno di noi considera in prima battuta. ci sarebbe da scriverne per intieri post. ho già sbrodolato abbastanza questo.

ecco.
presa la storia delle piiiaiii e moltiplicata per un po' di volte vien fuori il mio esistere da barbino solitario.

vorrei fare millemila altre cose. con ben altre finalità e/o financo eticità, o quanto meno soddisfazione e pienezza. ovviamente punto troppo in alto. i risultati non arrivano, difatti sto analizzando piiaiii a servizio di utenti spesso frustrati, mentre probabilmente potrei pisciar in testa al 95% di costoro. coi risultati in ben altri settori del versante soddisfazionesco.

la mancanza di soddisfazione e di "risultati" è mannaia per l'autostima, che difatti è in picchiata. che uno ha la percezione di essere un buono a nulla, che nulla stringe. e così il cechio si chiude, con l'epiciclo dei post lamentosi.

fine.

piccolo post lamentoso [strano, no?]

se muoiono in qualche decina asfissiati in un tir abbandonato in autostrada.
se affondano, e non si sa quanti siano quelli inghiottiti dal mare.

se accade tutto questo ed io non riesco nemmeno più ad aprire la pagina per legger la notizia, ingabbiato nelle mie turbe o piccoli lamentismi personali, valutando come merdosa il mio sopravvivermi allora significa che da qui in avanti potrebbe veramente succedere di tutto.

senza riuscire a capire se sia diventato cinico. oppure irrecuperabile. oppure una solispistica testa di cazzo.

solo la sensazione stia gettando nel cesso l'esistenza. [quasi] incurante di quelli che la perdono, tipo, asfissiati in un tir abbandonato in autostrada. oppure affondati, senza sapere in quanti.

Monday, August 24, 2015

monologo amaramente et ignavamente immaginifico

a prenderla dal punto di vista della psicologia positiva vorrei tanto smentirmi, da qui ad un po'. e financo - magari - vergognarmi di questo post, di quelli che bisogna aver il coraggio di non cancellare, a futuro et imperituro memento.

vorrei tanto sbagliarmi. o forse essere un poco più tollerante. o le due cose assieme.

ho fatto lo scemo per non andare in guerra. preferisco passar "per l'adulto che nonostante la sua intelligenza sopra la media è così infantile" [cit].

ecco. partirei da qui. dal confondere e far di un mescio piuttosto insopportabile il comportamento con la persona.

è uno di quei fondamentali che, dal mio punto di vista, rappresentano il terreno comune, il mezzo franco, l'ambito condiviso con cui poter interloquire e confrontarsi. così come non riesco a concepire di potermi confrontare in maniera sincera e profonda con una persona per cui l'importante è dire quel che si pensa, non importa come, basta essere schiettamente sinceri. ebbene: continuo a considerare cafone e zotico voler chiarire un malinteso con una persona menando sberle [figurativamente, ovvio]. perché è come se si magnificasse una contraddizione insostenibile. e non è questione di travisar le parole: è che se si ha in testa solamente il proprio significato, fottendosene del significante nel senso più lato del termine, è come non voler prendere in considerazione l'interlocutore. la sostanza non sono solo le motivazioni o quel che si comunica, ma è anche [e forse soprattutto, per me: scontato] entrare nell'ottica che nella comunicazione c'è anche l'altro. non solo le proprie [sacrosante] ragioni.

sennò, davvero, dal mio punto di vista il confronto si sposta su altri piani, formali, forse anche un po' strutturati e non completamente trasparenti et genuini. cioè lontano da quelli per cui penso valga la pena esistere [molto altro, al momento, non mi sovviene].

è in quel tipo di rapporto e di confronto, anche più a meno cor ad cor, di cui tu non fai più parte. con te mi ci sono sottratto da un po' di tempo. da quando son rimasto per primo io amareggiato dall'incazzatura ed il livore che sei riuscita a cavarmi, e rivolgerlo verso di te. tu [naturalmente?] ti sei fermata all'epifenomeno: come si può litigare sullo svolgimento in diretta del "barbiere di siviglia"? peraltro non era nemmeno il "barbiere", ma la "traviata". e a scatenar il tutto è stato il vedermi di fronte l'approccio da chiacchiere e distintivo, da parvenù culturale. verosimilmente ci deve essere altro, di cui magari non sono del tutto conscio e di cui potrei financo non essere così fiero.

per questo ho preferito cercare di non scendere più in contraddittorio con te. pace: continua pure a porti con uscite un po' così, che trovo squadrate col falcetto mentre tu pensi siano cesellate con lo scalpellino di precisione. me ne stavo zitto e pensavo: vabbhé, finirà pure 'sto viaggio.

e tu credevi invece fosse come andar d'accordo da mimì e cocò, amicale s'intende. e quindi non potevano che essere amorevoli, di cui amorevolmente approfittare, quei viaggi, quei passaggi, che per me rappresentavano qualcosa che mi faceva risparmiare, in un momento in cui ogni euro era da spendere con attenzione: per quanto più per nevrosi mia, che per reale necessità.

ovvio che deve esserti cortocircuitato il sentimento, nel veder manifestarsi un atteggiamento per te così immotivato. per questo, dal tuo punto di vista, c'è stato il sacrosantissimo nesso causale della tua rabbia financo livorosa. non so se per la meraviglia incazzosamente inspiegabile, o per il fatto io potessi far a meno della tua compagnia: o le due cose messe assieme.

ti son mancate un po' di informazioni, è vero. si sono sovrapposte altre situazioni, del tutto a te estranee. e soprattutto non ho avuto il coraggio di dirti quanta poca sia la stima, per una serie di tanti piccoli episodi, percezioni, sensazioni che ho avuto l'arroganza di infilare in una specie di patchwork collanoso piuttosto poco piacevole.

non so quanto sia amareggiato per il fatto di provar così poca stima. per il fatto di esalare un sentimento non propriamente irreprensibile. per il fatto di nascondertelo. per il conseguente atteggiamento ignavo [infantile, secondo te]. o le cose mischiate assieme. delusione per delusione: forse preferisco farti incazzare, senza offenderti tanto quanto accadrebbe se ti raccontassi tutto.

e soprattutto non so se amareggiarmi per il fatto che, di nuovo, in fondo: non me ne fotte più di tanto. per non esalar il mio fiele piuttosto definitivo del: non me ne frega un beato cazzo.

non ne vado per nulla fiero, ovvio. e probabilmente è un altro epifenomeno di una specie di misantropizzazione, per cui sono già stato rimproverato, peraltro. e che anche per questo spero passi, prima o poi. meglio se prima di aver fatto troppi danni.

in questo momento storico, di riparar quelli creatisi tra di noi - di nuovo - mi importa piuttosto poco.

Sunday, August 9, 2015

di nuovo sulla cosa delle blatte che si fingon morte.

tanatosi.

eccome si chiama la storia delle blatte, di cui l'altro post, che si fingono morte per far il a da passà 'a nuttata. lo fanno anche alcuni rettili. è verosimile un comportamento etologicamente codificato, un'altra invenzione dell'evoluzione per tirar a campà. per quanto le blatte fa più effetto dei rettili.

queste cose me le ha dette l'amica viburna. che s'adopera, tra l'altro, acciocché si riduca l'orizzonte degli eventi della mia sconfinata ignoranza. amica viburna che anche per questo rimarrà comuque sempre mel mio cuoricino-cinico-serenamente-sfiduciato. quand'anche, e caso mai, dovessimo smetter di interloquirci. che poi si sanno come vanno - apparentemente - le cose a seguir taluni paradigmi: ci vi vede per un caffè, poi magari anche un altro. il terzo, vedremo, tanto che ci si va affffà?

comunque. dicevo della tanatosi. che mi veniva anche in mente un libro che lessi miGlioni di anni orsono: un mezzo saggio facile. si intitolava "l'elogio della fuga", di cui non ho granché memoria, tranne di alcuni casi un po' mezzi umani che venivano narrati. ricordo fosse solo un certo periodo di merda. quanto meno con meno percezione e con meno pregnanza di me medesimo. tempi da rimpiangere zero.

comunque. per tornare alla viburna e le sue sollecitazioni: giusto poco più di un anno fa mi disse una cosa che mentre me lo diceva mi atterrì un poco. era in altro periodo di merda, ma diversamente merdoso. ero in quel mentre dove stavo cercando di capire che fare della mia esistenza, quanto meno lavorativa. scrissi financo un post tassonomico: elencazione delle possibilità con i relativi pro e contra. una di queste era il tornar afffffà il libero professionista, quello che però ha più clienti. la viburna mi disse: però questo significa, tra l'altro dover spendere parte del tempo ed energie, a proacciarsi clienti. e poi correr dietro loro per farsi pagare.

seppur ovvio e scontato in quel momento la cosa mi paralizzò. quasi mi si parasse davanti la mia incapacità di provar financo solo a presentarsi. cercar clienti significava proporsi con la propria proattività e l'epos di porsi col dire: io sono capace, in grado, adatto alla tua richiesta, caro cliente. in quel momento, in quei giorni, era un modo di percepirsi lontano miGlioni di anni luce rispetto a quanto fattivamente accadeva. e non era falsa modestia. mi sentivo semplicemente inadatto esistenzialmente. con tutte le ricadute del caso. era come provare a salir su di un monticello irto, aggrappandosi, ma facendo leva su un terreno di sabbie mobili. non era possibile accadesse: tutto qui.

rimaneva solo un lumicino. che era un periodo. e che qualcosa sarebbe accaduto ed io avrei cambiato la percezione. in quel momento sprofondavo, quando facevo leva. dovevo lasciar andare il momento, punto. ed avrei financo capito quando sarebbe stato il momento di cominciare a preoccuparsi che il momento non sembrava passare.

in attesa.
come le blatte.
tanatosi.

ed il momento in cui passò il momento arrivò. a dirla tutta non me l'aspettavo quel giorno, anzi quella sera. né tanto meno durante il raccontar i momenti degli ultimi mesi ad una persona che non vedevo da tempo. ma che contattai perché qualcosa bisognava pur cominciare a fare, per far arrivar l'altro momento. sono convinto che la sensazione placida e morbida di quella minuscola epifania è stata corroborata dall'aver già vellicato un po' di birra [anche vellicare, ad ascoltarla bene, ha un suono placido e morbido].

mi propose un'attività un po' sui generis, in cui - tra l'altro - ci sarebbe stato da scrivere. e quindi mi disse: e nel mentre puoi cercare di far altro, altri lavori, ti organizzi. semplice. ovvio. quasi scontato secondo i suoi paradigmi. però io intuii un baluginio in fondo al tunél. anche perché capii che la suggestione della viburna, semplice, ovvia, scontata non mi atterriva più. avrei cercato e/o trovato clienti. e avrei detto loro: sono capace, sono in grado, sono con la consapevolezza di esser io.

era come se avessi sciolto un nodo. su cui ero stato invitato a riflettere. senza sapere [lei] cosa mi si era scatenato dentro. ma sono quelle cose che sono parimenti necessarie, anzi forse più ancora essenziali della soluzione: perché sollevano la domanda, che serve per la risposta.

ecco. quello era il primo. perché adesso il nodo è doppio. a 'sto giro c'è di mezzo odg, ed ovviamente ancora la viburna. sono un po' atterrito. e difatti sto facendo la blatta. e la tanatosi. ma con un altro spirito e con ben altre preoccupazioni. anche per il semplice fatto di esser un blatta che fattura ogni giorno della sua tanatosi. e non è che son diventato avido. ma perché mi sembra di vivere una riproposizione della piramide di maslow: in chiave esistenziale, nell'accezione più alta e meno materiale.

ora il nodo è ben più proattivamente tosto. ma ci sono le condizioni per scioglierlo.

e il lumicino, di cui sopra, di un altro colore. fa molto baluginio delle lucciole. quelle che appaiono nelle serate più serene e di bellezze che tolgono il fiato.

Friday, August 7, 2015

le production issue, le blatte, i progettismi

al lavoro l'altro giorno - financo con un po' di soddisfazione - mi è capitato di dover gestire un'anomalia, e di chiuderla. la storia delle anomalie non è un'anomalia. visto che di quello, per ora, mi occupo. il fatto è che l'utente ha aperto la segnalazione poiché in uno dei file delle segnlazioni e degli scarti aveva notato un messaggio diverso dal solito, sconosciuto. "aggggià - ha anche aggiunto - ed inoltre questa mattina abbiamo 141 scarti, invece dei soliti 5-6 giornalieri".

l'amica ilà, il giorno prima, mi chiedeva notizie. "è un po' che non ci sentiamo, come butta?". la sera le ho scritto. è venuta fuori una mail psicopippa. ma gliel'ho inviata lo stesso. in buona sostanza le dicevo che non avrei nulla di cui lamentarmi, ma sono tutt'altro che felice o sereno. così è come se fossi sfiduciatamente, e come in attesa di qualcosa che non so bene cosa. e se altresì una piccola fiducia me rimane, è che ad un certo punto mi si acclarerà che è il momento è cambiato.

l'amica ilà mi ha risposto. e mi ha suggerito che è condizione che ha vissuto pure lei. poi rimane nella praivasiii della comunicazione nostra di come ne sia uscita uscita. mi diceva anche che è un po' quello che fanno le blatte. quando si approssima il pericolo, si fingono morte, per scamparla. e che a volte rimanere in balia delle onde nella buriana placida può essere un modo di uscirne ancora integri. e che quindi capisce benissimo la mia situazione. che poi magari uno esce dal surplace.

ecco. surplace. tanto che è la cosa che mi è venuta da dire all'amica viburna - che molto io diludendo lei in questo periodo - quando mi ha chiesto "come stai?". "sono in surplace, sono in attesa che succeda qualcosa. un progetto che scardini questo senso del divenire in cui mi uso il trucco della blatta".

lei, giustamente e ermeneuticamente, mi ha fatto notare che i progetti si preparano, non si attendono. l'etimo è quello di "gettare avanti". quindi ha disvelato un po' l'anomalia. che io pensavo ci fosse un progetto ad attendermi più o meno avanti. e che sarebbe bastato aspettar come le blatte. che però, a dirla tutta, in effetti, mica propositivamente gettano avanti alcunché. e che quindi il problema potrebbe non essere quello di riuscire ad aspettare abbastanza che le cose si acclarino: al limite preoccupandosi solo del messaggio nuovo che si presenta, aspettando come le blatte a fingersi morti e nel mentre continuare a fatturare [che comunque male non fa].

il problema è omologo al fatto ci fossero 141 scarti. invece che i soliti 5-6. perché i troppi scarti erano il punto della questione: causati dal vero problema. il messaggio nuovo era solo un epifenomeno.

[il briciolo di fiducia è che poi, appunto, alla fine, l'anomalia grossa è stata risolta. sentendomi financo soddisfatto per come sia riuscito a portarla a casa]

Saturday, August 1, 2015

lato umanistico, fattene afffffanculo

lo ricordo bene il momento in cui ebbi la personalissima epifania. era verosimilmente settembre, più probabilmente ottobre di troppi miGlioni di anni fa. e la magistrini - forse la professoressa tra le più lontane dalla top-ten delle bellezze che un alunno incrocia dalla prima elementare alla tesi di laurea - spiegò il cantico delle creature, uno dei primi documenti della letteratura italiana. citò il concetto del logòs, con riferimenti al prologo di giovanni [nel senso di vangelo, quello che si legge la notte di natale, nel rito ambrosiano. che non serve essere credenti per avvertirne la meraviglia e la vertigine che ti si spalanca sotto a farlo proprio]. insomma, io guardai costei, i suoi ricci arcigni, il neo sporgente sulla punta del naso, gli occhiali fondo di bottiglia e pensai: questa donna mi sta aprendo uno spiraglio su un'immensità che ora solo intuisco essere così stordente e magnifica.

occhei: non pensai esattamente queste parole. ma il senso di boccuccia spalancata dallo stupore era più o meno questo: epifenomicamente.

l'ho sempre ricordato come un momento fondante.

questa sera, mentre bevevo una birraccia mangiando una poco estetica caprese, ho pensato per la prima volta sia stato, altresì, l'inizio della fine. una consapevolezza ex-post, ovvio. ma, ribadisco per la prima volta, vorrei che quel momento non fosse mai venuto. perché ammmè, sta minchiata dell'animo e dell'attrattiva umanista, è foriera di più danni che benefici. perché è stato rendersi conto di una dualità e sovrastruttura - anzi: wrapper, voglio fare il nerddiimmmerda - che a conti fatti mi ha frustrato, mi ha fatto disperdere la spinta proattiva. è come il diagramma di radiazione delle antenne, che voglio ragionare come un tecnico che nelle mappe polari trova la sua poesia e soddisfazione: i fottuti dipoli irradiano in un senso e nell'altro quindi serve molta più energia e non si è focalizzati sull'obiettivo. ecco, ho dilapidato anni, possibilità, entusiasmi, senza saper bene che fare. perché ho studiato da tecnico - e la cosa, diciamolo, non è che mi riesca poi così male, suvvia - mentre desideravo far altro, far l'ummmmanista [il tono, schifato: come quello la madre della cuccinotta ne "il postino", quando cita quella parola strana e quasi insultante: metaaaafòre. con la quale il postino-troisi sta ammagliando la sua procace figliola - rubando quelle di neruda].

ecco. no. quanto sarebbe tutto più semplice immediato, diretto, lineare, se mi fossi gonfiato il petto orgoglioso di sentirmi pragmaticamente da perito, fino ai più altri gradi del sacerdozio laico-tecnologico dell'ingengere per esserlo, una volta proclamato, per sempre [come la monaca di monza]. come avrei diretto in maniera diretta e senza inciampare nel seme del dubbio che quella era la mia strada, immarcenscibile, inevitabile, epicamente eponima del mio essere. quante soddisfazioni in più, anche alla luce della mediocrità - tecnica e d'approccio - che ritrovo nella grande-mecojoni-azienda. dove, in fondo, mi basta fare quello che mi viene di fare per ritrovarmi inaspettamente encomiato [gratisssse, neh?]. farlo, per giunta, senza l'entusiasmo di una cosa così interessante.

ecco. quanto avrei potuto quagliare, ottenere, consolidare, fatturare, strutturare se mi fossi limitato a vedere con passionevolezza il recitar i sermoni di specifiche, analisi funzionali, design-architetturale, networking, processi biz da strutturare dal punto di vista dei sistemi informativi. chissà, magari avrei financo potuto far il [piccolo] imprenditore senza che questo significasse farlo con fallimentevolezza ontologica.

quanti cazzi in meno da svangare. quante frustrazioni risparmiate. quante serate in meno sputar bile. quante occasioni in meno rimpiante. quante meno birre anestetizzanti. tipo quella di 'stasera. masticando amaro nella sacra serata del venerdì, inizio weekend. e la banalità consolante a scoprir il fascino di un override di una classe java.

glielo devo dire ad odg. quando mi ricorderà che ho l'animo umanista che è represso dalla necessità di espletare una forma tecnologica. che si piglia l'onorario della seduta [anche] a causa di quello. glielo devo dire che se non ci fosse stato quella fottuta lezione sul cantico come sarebbero state migliori, o quanto meno complicate, le cose. avrei seguito con sufficienza e poca sopportazione le lezioni della magistrini per soli tre anni. tanto avrei compensato con i risultati nelle altre materie: anzi, col diagramma di antenna solo in quella direzione chissà cosa ne sarebbe venuto fuori, risultati ancora migliori di quelli già encomiabili di allora.

afffanculo quella lezione. affffanculo lo stupore di allora. affffanculo magari anche la magistrini. e financo il cantico. che se lo studino gli umanisti che sono solo umanisti e non frustrati tecnici incastrati in un guscio: che non vanno né di qui, né di là. ma stanno in un equilibrio birroso e incazzoso.

cosa sarebbe stato se non? certo. certo. quanti miGlioni di post in meno. tipo questo. un risparmio che avrebbe giovato all'ecologia del Gueb, di cui mi sarei appassionato a conoscere gli stack TCP, in loco di quello che si può pubblicare e condividere. tante seghe mentali in meno, con tutto il guano pre-intellettuale conseguente. ma molte, molte, molte molte compilazioni .net in più, con l'ultima orgasmizzante versione di visual Studio [e nessuno mi toglie dalla testa che avrei trombato molto di più].

Sunday, July 19, 2015

per quanto pare, dico pare, che non me lo sposteranno il cervino

avrei dovuto/potuto godermi il fresco della val d'aosta, questo uichend che va a chiudersi. non l'ho fatto per una serie di incrocchiamenti interiori, tanto per cambiare.

oltre al mancato piacere della compagnia che mi sono [auto]negato c'è anche il piccolo lembo di effetto collaterale di non aver assistito, da appena lì sotto, ai festeggiamenti per i centocinquantanni dalla prima scalata del cervino.

"comunque lo ritrovi lì dov'è ora, la prossima volta che vieni. noi non lo si sposta.", si è premurato di rassicurarmi l'amico luca.

quando ci son di mezzo le ere geologiche bisognerebbe andarci piano con le psicopippe. che, invero, hanno ricominciato a sgorgarmi dentro. [e il fatto ora posti cone meno frequenza non significha che l'atto analitico-masturbatorio-celebrale si sia ridotto. semplicemente lo lascio prevalentemente correre, e non l'afferro per incastrarlo in un proluvio postico].

ed ho pensato, va detto con relativa modestia, alla maestosa para-eternità del cervino che ragionevolmente fa da contraltare alla mia meta-nevrotica-inquietudine. che il cervino è sempre là. ma ho spesso la sensazione di rimaner fermo a lagnarmi sul mio ombelichino: che cambiano le consapevolezze, ma quando si finisce nella buca - piccola, grande, media - è come se ci si trovasse di fronte la sempriterna salita per venirne fuori. e quindi potrei andar a pigliar a caso post di uno-due-tre-quattro-cinque-sei-sette-otto-nove-dieci anni fa, ma qualcosa di simile missssssà che lo pescherei. con tanto di gratidudine all'amico luca e l'amica liude, che mossi dalla umanacausatitudine di me medesimo, mi regalano la possibilità di trascorrer di staccar assieme a loro. poi ogni tanto bigio, ma tant'è.

la cosa che mi ha lasciato peraltro perplesso è che poi, magari, ripenso ad altri momenti omologhi. ed ho come la sensazione che stavo meglio allora. quando ovviamente pensavo che stavo meglio prima. quando mi sarà sicuramente capitato di pensare che stavo meglio prima ancora.

insomma. una catena di felicità anticausale così.

al che mi viene da pensare che, se indubbiamente c'è l'effetto curve nella memoria [cit.], dall'altra c'è qualcosa che mi sta scivolando via, come provar a pigliar la saponetta bagnata: provar ad afferrarla con le mani e... fiuccch... schizza via verso l'alto.

memoria agrodolce di quel che è passato, anche se poi non posso non ricordarmi di quanto stessi di merda, in alcuni di quei passaggi.
qualcosa di indefinibilmente e vagamente simile ad una specie di speranza ovattata e sottaciuta per il futuro.

è il presente, cazzo. è sul presente che dovrei lavorar un filo meglio. il presente. senza pensare che il cervino sarà sempre lì, ma poi si erode e/o si sposta pure lui. si tratta solo di essere un po' più lesti. anche perché, fortunatamente, non ho a disposizione le ere geologiche. [sai che palle scrivere post per qualche altro miGlione di anni. e soprattutto, quei tre che [ancora] li leggono].