Tuesday, November 4, 2014

buon lavoro [per chi ce l'ha e per chi non ce l'ha, e per banalissima fazenda dell'articolo 1]

sono stato a teatro. ovviamente aggggratis. ne avevo già sentito annunciar per radio. avevo mancato l'appuntamento. a 'sto giro però no, ci son riuscito. e ci son andato con financo una 'nticchia in più di convinzione, quasi di simbolico afflato.

per la storia del fatto che un lavoro si sta nuovamente modellando, e probabilmente sarà anche pagato. e quindi ritornerò ad avere una certa dipendenza economica. e magari smetterò di sentirmi impaurito a mia insaputa.

e poi per la storia che "c’è un disegno calcolato con cui si vuole dividere il mondo del lavoro e fare del lavoro il terreno sul quale spaccare in due l’Italia". solo che alle dietrologie complottistiche non ci ho mai creduto tanto. e non perché le acclarava il nano coi capelli di kevlar, o il buffone sputarabbia. ma perché son complottismi dietrologici. non è questione di chi li esala.

comunque.

lo spettacolo si chiama "buon lavoro". e questo qui sarebbe financo il sito del progetto. occhio, roba forte, non si parla di di imprenditori intavolati che creano il lavoro, e tra i promotori addirittura c'è la cgil: giusto per farché io possa far il disclaimer, faccia invece la tara chi va avanti a leggere.

tecnicamente gli attori hanno messo in scena gli incontri, la condivisione di tante storie di lavoro: quello che riempie la vita, che si ricorda con nostalgia, che riempie d'orgoglio, che spezza la schiena, che fa piangere di rabbia, che fa commuovere a tratti, quello che si cerca, quello che si trova sbrindellato. il lavoro precario, quello non c'è, quello flessibile, quello stabile, quello che bisognerebbe chiamare schiavitù, quello tutelato, quello che è cambiato, quello su cui si dovrebbe fondare la repubblica. insomma, la fazenda banalissima dell'articolo 1.

i ragazzi sono bravi, davvero. leggeri e pregni, quasi comici seppur amaramente, a tratti. ognuno una declinazione del lavoro e delle persone che vi e lo "lavorano". e poi assieme un'unica voce narrante polifonica. elisabetta vergani si prende il carico delle storie più intense, quelle che tolgono il fiato: un po' perché è brava lei a raccontarle, soprattutto per quello che raccontano.

ascoltavo, mi emozionavo e nel mentre mi sovvenivano un paio due cose.

di quanto sia fortunato anche in questo. che ho [ancora] possibilità di farne soddisfazione, di quel che mi posso inventare nel e per lavoro. con tutto il senso più profondo di quello che rappresenta, grazie anche alle nuove consapevolezze.

e di quanto sia ampio lo iato [nel senso di taglio, frattura] tra la classe dirigente "politica" e questo ambito: incidentalmente una grande fetta di quelle cose che danno dignità ad una donna ed un uomo. io non so quanto sarà cuuuul ed efficace questa riforma del lavoro, che se si chiama in inglese fa più fico. né so se e come si stia cambiando verso, invece che essere solo un altro degli slogan hashtagggggati. per affrancarmi dalla sindrome tafaziana tanto cara alla sinistra, e per un ecumenico buon senso dovrei augurarmi sia qualcosa di sostanziale e di effettivo. dubito sia esattamente così, e non è perché sia di sinistra, che ora pare faccia ancora meno tendenza. però, in fondo, basta aspettare per averne la conferma o la smentita.
so di per certo però che sarà fondamentale e quasi laicamente sacro passare anche di qui. per far sì che sia per sempre di più, per davvero, un buon lavoro.

roba da articolo 1, appunto.

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