Thursday, July 31, 2014

ultimo post. che poi si va in vacanza. [post un po' a ruota libera, soprattutto da logorrea malmostosa]

è che tra due ore mi scade l'abbonamento dei mezzi. mi sentirò azzoppato. roba che significa: è ora di andare. ed anche la sensazione: può essere che non servirà più farlo, l'abbonamento ai mezzi.

volevo andare a pigliarmi una pizza, a 'sto giro surgelata, giusto per chiudere prima delle vacanze con una cosa un po' pre-vacanzifera. poi però ho pensato che quell'euro e mezzo, due, si potevano anche risparmiare. visto che devo finire di svuotare il frigorifero. e quindi, prima di andare a preparare la cena patchwork con quello che è rimasto, scrivo. prima di bere la birra, con cui cercherò di allontanare un po' la cappa da ultima sera. e soprattutto i fallimenti che son fin qui accumulati.

perché la vacanza estiva fa un po' da spartiacque. come se si chiudesse un pezzo d'anno. anno che era cominciato così d'abbrivio lanciato, financo speranzoso avrei combinato qualcosa di positivo per ripartire. appunto. me ne torno con la cappa dei tentativi andati a vuoto. che peraltro sScancellano quelle poche cose riuscite. è la fottuta contabilità dei ricordi. oltre che la variante della storia del bambino coll'acqua sporca. diciamo che - per adesso - il picco del ventunodimaggiodimerda non è ancora stato ri-raggiunto, al netto di tutto lo strascico che si è portato dietro nelle settimane a seguire. il rinculo che rincula un po' meno, anche se poi viene l'effetto accumulato della penetrazione nel culo [figurato, ovvio]. il fastidio dell'effetto accumulo tipo o le mucose anali irritate [sempre figurato, ovvio].

ed a proposito di fastidi, sempre da quelle parti, e sempre figurativamente noto, che la cosa ormai mi è indifferente quando faccio l'accumulo emotivo delle notizie che leggo. tipo [anche] poco fa, scorrendo la homepage pantagruelica di repubblica.it. roba simile a quel che mi spesso mi succede, negli ultimi tempi. roba che: lascio perdere.

renzie vuol far quello che cambia in maniera papocchiale la costituzione perché fa fico? e che lo faccia. tanto avrò sempre un bias - dichiarato, acclarato, confermato - per il suo modo di porsi e non mi piacerà mai comunque: al limite mi conferma l'antipatia. oltre che la certezza che il nuovo non significa meglio, che la classe dirigente che ci si porta dietro è fondamentale: per questo gli egotici sono dannosi, 'ché non si tirano dietro i migliori [che era l'unica, flebile speranza che riponevo nel cambioverso], ma solo i più lacché. poi lui dice che tanto vanno avanti comunque e chi si oppone è perché è la restaurazione? e che lo dica. il bicarmeralismo è la causa delle inefficienze e storture italiche? è una minchiata, lo sa bene anche lui. però, se lo dice, dico, peggiora o migliora la mia visione dis-sperata della mia esistenza che percepisco fallita? [notare, non ho scritto: la mia esistenza fallita. son quelle sfumature che possono salvarti dal baratro]. quindi che faccia il fenomeno, quel che ne uscirà non sarà migliore di quello che abbiamo ora. e gli effetti li subiremo più avanti. ci penseremo a suo tempo, a 'sto punto. [detto tutto ciò, non mi piacciono le reazioni da stadio di quando, le opposizioni, mandano sotto il governodelfaaaaredelbiaaascicaredelnontergiversaaaaaredelavantitttuaaare. perché questo è un blogghe delle balle, quella è l'aula del senato].

in palestina degli opposti estremismi fanno a gara a chi provoca più lutti e dispiacere? l'estremismo che è votato democraticamente spazza via ormai non so cos'altro si può spazzar via? l'ammmmerica fa finta di far la voce grossa e scandalizzata ma intanto appoggia l'estremista democratico? muoiono bambini, donne, vecchi, innocenti? continua a succedere in siria, in ucraina, in centrafica, nel corno d'africa. posso farci qualcosa oltre che esserne schiacciato emotivamente? reagire? ma se non riesco a capire da che parte sono girato. informarmi? per esserne schiacciato emotivamente ma con maggiore consapevolezza? sensibilizzare gli altri? gli altri chi? coloro, i pochi, che non fuggo socialmente sono già informati, e verosimilmente schiacciati emotivamente come me [cazzo, tre avverbi in un periodo. leggibilità a brandelli].

vero. sto facendo un po' il piangina, nonché il logorroico contumelico. è che mi sarei financo rotto di far l'ineccepibile e irreprensbile. posto sia mai riuscito ad esserlo, o a mostrami tale. e sputo tutta la mia rabbiosa disillusione qui. che è un po' il personalissimo rifugio. dove peraltro, un domani, potrò di nuvo ri-valutare le stronzate che ho scritto. con la percezione siano tali financo mentre le sto scrivendo. alcune, almeno. tipo che tutto sommato l'acqua a gagggganelle che è venuta fin qui mi pare financo in linea col mio riuscir a guastarmi i giorni che potrebbero essere decisamente più lieti. quindi, tutto sommato, se domani pioverà come pare, tanto meglio. è solo un giorno in meno ancora in quest'estate balorda di un anno che va alla rovescia [e potrebbe andare anche molto peggio]. oltre che essere festa nazionale in svizzera, sant'eusebio [sono agnostico, ma da una qualche parte, geograficamente provengo in parte, son cose un po' tipo radici] e il primo giorno dopo la scadenza dell'abbonamento dei mezzi pubblici. come essere azzoppato. soprattutto nella testa, nelle differenze tra idee [tante, confuse, antipodali] e azione [poca, pochetta, titubante].

vediamo quante contumelie, postiche o meno, prima del prossimo abbonamento mensile. che spero di tornare a fare.

cose così.

che siano buone vacanze, per quei due-tre che passano. [e a culo tutto il resto] [e pensare che non ho ancora bevuto la birra].

Saturday, July 26, 2014

un ventiseiluglio, di un po' di anni fa. una data un po' qualunque, o forse no.

la sera prima mi accompagnarono ad ivrea, col ford transit nove posti, livrea rosso pompieri e la banda bianca - longitudinalmente disposta - in mezzo. eravamo dove finisce una strada e dopo non c'è più nulla di carrozzabile, in cima ad una valle, depandances di quella dell'orco, nel piemonte che non è il mio. santuario, casermone per i pellgrini di un tempo. ottima lochescion per i campi scuola dei parrinari. di quelli dove alla fine si fanno i falò e un po' si piange perché il giorno dopo si torna a casa, a valle. ma le sensazioni sono così forti che spaccherai il mondo, sull'onda della carica emotiva di quei giorni un po' comunità a sé. il 95% dei partecipanti neanche una settimana si è già dimenticato tutto. al limite rimira l'innamorato/a che su di là aveva quell'aura un po' così, speciale. e poi illuminato alla luce del falò dell'ultima sera, coi canti accompagnati dalla chitarra.

io ero nel restante 5%. convinto di essere chiamato a chissà quale missione salvifica del mondo intiero. e se è solo per questo la mia innamorata io già la rimiravo ben prima dei falò. solo che lei ancora non lo sapeva mi avrebbe amato. era questione di tempo. anche il fatto si disamorasse del tipo belloccio, coll'orecchino, che era un po' il cocco del don. che poi lo ero anch'io. ma in maniera diversa. e in ogni caso lei guardava lui, con occhi innamorevoli. naturalmente tutto in pectore. nessuno sapeva nulla. tutti sapevano tutto. come percezione o come pettegolezzo, magari appena sussurrato fugacemente, come a confidare il più prezioso segreto. e la mano a coprir le labbra e il risolino alla fine.

comunque. appunto. mi accompagnarono alla stazione di ivrea.

poi da lì il treno per chivasso. e quindi la coincidenza per milano. su quel secondo treno sentii scattare quella cosa struggente e torchiabudella. il fatto di essermi allontanato da lei. il mio amore senza più la presa diretta del suo complemento oggetto. poco importava se fossi tornato solo il giorno dopo. mi stavo allontanando, anche se a lei probabilmente importava tanto quanto il fatto la coincidenza per milano fosse in orario, o in ritardo, tanto chi se ne fotte. tanto sarei arrivato a milano.

sul treno cominciò a farsi largo l'afa di fine luglio. nuvoloni struggenti che esalavano qualche lampo là, in fondo alla pianura. la montagna è bella. la pianura però ti fa vedere molto lontano. come il violaceo dei fronti perturbatori in cui ti stai infilando. alle spalle la luce radente del tramonto ad occidente. insomma: un bel mescio. e poi il pensiero a lei, lei che pensava all'altro. e lo struggimento. o forse era anche un po' di fifa per l'esame del giorno dopo. fisica I. che in realtà era uno di quelli che fungeva da filtro al primo anno, appena dopo analisi I. io altresì lo percepivo come una cosa molto fattibile. a dire il vero, a quel giro, ero un cazzo pronto. lo provavo giusto per non lasciar nulla di intentato. ma, come dire, le sicumere sulla preparazione sarebbero state, avrei scoperto, ben altre. e infatti, nonostante tutto un po' mi agitavo. ripassavo, giusto per tener a bada l'agitatia da ansia da prestazione.

sul treno c'erano ragazze, nere, molto nere. truccate molto pesantemente. parlavano una lingua rumorosa. verosimilmente mercimoniavano il proprio corpo. ero abbastanza convinto non la propria anima. io non osavo guardarle. un po' imbarazzato, un po' intenerito per quello che - verosimilmente - sarebbero andate a fare, una volta scese dal treno. mi rifugiavo abbassando lo sguardo sull'alonso finn, il testo del corso, e gli appunti. figurarsi quando passavano dei ragazzi neri, molto neri, che offrivano oggetti monilistici in oro, grandi, kitch, roba pesante da indossare, meglio non chiedersi come fossero arrivati lì, in mano loro, a smerciarli contrattando sui prezzi. mi colpì il contrasto netto tra la pacchianità dorata e le loro mani, anche se coi palmi più chiari. intanto, ogni tanto ripassavo, col cagotto che si stemperava senza soluzione di continuità allo struggimento per illa. che intanto pensava all'altro.

in stazione venne a prendermi l'amico marco. da lui avrei passato la notte. faceva caldo, nonostante il fronte perburtaborio si fosse fatto raggiungere dal treno, ed esalato violento la sua liquida interiorità. fulmini e saette comprese, giusto per essere più sintonici col mio struggimento, unitamente al cagotto per l'esame che comunque sapevo non avrei passato.

la casa di marco non era distante. ci arrivammo a piedi. così come a piedi avrei raggiuto l'università il giorno dopo. quindi l'esame, che non avrei passato. sarebbe passato il cagotto, e lo struggimento per illa si sarebbe colorato della lieta certezza l'avrei rivista entro la sera. probabilmente lei a tubare vestigialmente verso l'altro, con tanto di civettuosa e sedicenne smentita.

a casa di marco, che era avanti e che mi fece capire che ero di sinistra [non solo quella sera, ovvio], parlammo dell'ultimo album di baglioni che lui irrise col suo cotè un po' da intellettuale sinistroide, che guarda con distaccata sufficienza le emanazioni del pensiero mainstream alla matriciana, per quanto complicato come quell'albumtantarobabaglionesco. mi raccontò il suo punto di vista sull'ovvietà  [come fai a non capirlo, pirla] che i missionari in africa fossero ben visti dalla povera gente. e non perché portavano loro il dono della fede giusta, o vera. [all'apostasia io sarei arrivato un po' di anni dopo, venivo da un campo parrinaro dove c'era la donna amata [non ricambiato, ovvio] ed ero convinto di incarnare una qualche parte nella telenovela della teleologia salvifica mondiale. non la presi serenamente, la storia dei missionari, dico].

faceva caldo. andammo a dormire. è verosimile io mi si sia svegliato a metà della notte un po' per il cagotto dell'esame. un po' perché mi trovai bagnato, nel senso di lì, senza peraltro pisciarmi addosso, e benché non avessi sognato chissà che di erotico. avevo letto erano fenomeni che sarebbero scomparsi dopo il primo rapporto sessuale. sarebbe passato ancora troppo tempo, anche solo per scoprire che sì, tutto sommato, è vero. [la storia che poi non ti svegli più bagnato, dico]. Naturalmente non avevo sognato lei. e ci mancherebbe. prima bisognava innamorarsi [lei, almeno], poi fidanzarsi, e poi, magari uno strappo proprio perché ci volevamo molto, ma molto bene, farlo prima del matrimonio. perché era ovvio che l'avrei sposata.

comunque.

la mattina del ventisei andai al poli. naturalmente con lo stomaco chiuso dalla tensione. e non funzionava ripetersi che tanto ero lì per provarlo, non avevo fatto in tempo a studiarlo per bene. in fondo l'ansia da prestazione colpiva già feroce, ancor prima di sapere cosa fosse la prestazione. come dire: il sintomo precede la comprensione della diagnosi.

la professoressa si chiamva gamberini. una donna che annichiliva sia il concetto che la sua  femminilità. indossava spesso dolcevita bianchi inguardabili. aveva occhialini dalla montatura sottile. parlava con una erre arrotata che sarebbe stato interessante sentirla cantare l'inizio di "samarcanda" di vecchioni. ma, soprattutto, era didatticamente un disastro. le sue lezioni si svuotarono quasi subito. migrammo quasi tutti all'altro corso, omologo. quello per quelli con la parte fortunata del cognome e un professore con il dono della maieutica. ricordo ancora lo stupore da bocca aperta quando spiegò, con una facilità da fuoriclasse, dell'intervallo clastico che può verficarsi nella caduta di un grave, quando energia potenziale ed energia cinetica si litigano la rendita energetica di quello.

comunque.

visto che ero lì ci provai, anche per giustificare lo sbadtimento: dal passaggio col ford transit, allo struggimento, all'ospitata dell'amico marco. c'era una domanda relativa alle trasformazioni di lorentz di massa e dimensioni, ovviamente con risultati apprezzabili a velocità che si approssimano a quelle della luce. io mica le sapevo dimostrare. però ricordavo di aver letto un libricino sulla relatività ristretta qualche mese prima. al che mi dissi "posso dimostrarlo senza passare per le dimostrazioni del libro, non potrà non apprezzare la soluzione non canonica". forse era decisamente troppo poco canonica, o forse non avevo capito granché di quel libercolo. fatto sta che il ragionamento che sviluppavo, nella mia versione solutoria eterodossa, portava ad una conclusione che andava nella direzione inversa a quella che avrei dovuto dimostrare.

consegnai, sapendo di non averlo passato.

ma almeno potevo ripartire per arrivare in cima alla strada, che da lì in avanti non si poteva più andar avanti a conquistare niente con un mezzo meccanico convenzionale. dove ci sarebbe stata lei, all'ombra del santuario e la casa dei pellegrini di una volta.

quel giorno, il ventisei luglio, compiva gli anni pure il belloccio coll'orecchino. nell'ambito comunitario di quel campo scuola sapevo si sarebbe festeggiato. e quindi anche lei, di sottecchi gli avrebbe augurato più caloramente degli altri: buon compleanno. anche per una sorta di paracula contiguità un po' tafaziana, non volevo esser da meno. magari un regalo no. però un biglietto d'auguri sì, via. con tanto di pensiero [finto] profondo dentro.

feci il viaggio sul treno che mi riavvicinava a lei in una prima classe declassata. di quelle dove i sedili sono comunque più larghi. declassarla significa solamente far sì che quelli come me potessero viaggarci dentro. poco importa se si notava una certa decaduta esclusività, ma si stava più larghi. il fatto fosse declassato era segnato da un avviso attaccato con lo scotch sul finestrino. me lo ritrovai davanti mentre scrivevo il biglietto. lessi, al rovescio, da dentro al vagone, mentre l'avviso bisognava leggerlo fuori: "l'asportazione di quell'avviso sarebbe stato punito ai termini di legge". per amore di quell'anelito smorfiosetto lo staccai, col brivido momentaneo mi sgamassero, e mi punissero ai termini di legge. lo incollai nel rivestimento trasparente del biglietto genetliaco per l'anelito del mio anelito che non ero io. contemplai che era venuto fuori un biglietto augurale originale. lui sarebbe apprezzato. non c'era un nesso causale evidente del fatto avrebbe potuto apprezzare pure lei, e far sì potesse osservarmi con occhi nuovi. è che le nevrosi ti fanno saltare questi passaggi logici.

arrivato ad ivrea uscii dal centro città, e mi incamminai. deciso a far autostop: sai che botta riuscire ad arrivare fin su là, dove finiva la strada chiedendo passaggi col pollice? poi tanto, nel caso, avrei potuto telefonare, il ford transit nove posti sarebbe giunto a prendermi. invece fui fortunato. tre passaggi ed ero a casa, cioè, casa su là, dove finiva la strada. ad ognuno che mi caricò in auto raccontai, quasi ad ammantarmi di una qualche aura, che tornavo dall'esame di fisica I al politecnico. sì, vabbhé, non l'avevo passato. ma sono i fatti della vita, capitano. tralasciai il fatto avrei rivisto il mio anelito. fui fortunato col terzo passaggio. un hippi in pectore, un po' fuori tempo massimo. gironzolava a caso per il canavese con la sua due cavalli. io ero ancora piuttosto lontano dall'arrivo ma già a fondo valle. lui mi chiese: dove devi andare? ed io: là, conosci? e lui: no, ma tu sai come arrivarci? ed io: sì, è un po' lontano da qui e devi andarci apposta, quindi non è semplice trovar un passaggio. però a questo punto del tragitto è facile, non puoi più sbagliare strada. e lui: e questa è quella giusta? ed io: questa, più che altro, è l'unica, finisce lì dove devo andare, oltre non si può proseguire. e lui: allora voglio proprio vedere com'è la fine di una strada. quasi volesse intuirci un valore simbolico a quel pezzo di viaggio, uno di quelli da sono i fatti della vita.

appunto. i fatti della vita. pensavo di essere adulto, nonché maturo. avevo capito [da un certo punto di vista: fortunatamente] solo poco più che un cazzo, nonostante tutta l'erudizione, pure coi votoni, che avevo ammontichiatto fin lì. magari quel giorno, quello stesso in cui io bucavo l'esame di fisica I, "rubavo" l'avviso di declassamento di un vagone con tutto il corollario nevrotico ex-ante, qualcuno, suo malgrado, ne stava capendo molto più di me, pur essendo quasi coevo.

sono i fatti della vita.

appunto.

Thursday, July 24, 2014

post tecnicamente inutile. ed anche un po' tecnicamente psicopipponico.

ho degli amici su feisbuc. come chiunque sia iscritto a quel soscial. in realtà sono friends. poi in italiano diventano amici. ma probabilmente è una variazione diatopica inversa: la traduzione in due lingue diverse di una parola che coltiva il paradosso di un aggancio - interidiomatico - del significante ma che cela - verosimilmente - significati diversi.

tutto questo per dire che sono amico su feisbuch di uno che nella realtà, fuori dal piccì, mi cacherebbe via con ignominia. è un intellettuale di fama quanto meno europea. fuori dal giro mainstream fazianesco-serresco-mazzettinesco  [ie loris mazzetti, capostruttura di raitre, il braccio armato di mamma rai. il giunto di collegamento fattivo e necessario acciocché la trasmissione spieghi ad un nutrito e selezionato pubblico, target della vendita di spazi pubblicitari, cosa è cultura e cosa non lo è. e soprattutto cosa deve essera acquistato come prodotto culturale]. quindi questo intellettuale non lo vedremo ragionevolmente mai in tivvvvvù.

gli chiesi l'amicizia per curiosità, trovandolo su feisbuch. avevo letto un suo libro che mi colpì. e poi mi era stato raccontato nell'incedere risoluto dell'università dove insegna. questo intellettuale è un linguista. probabilmente è uno che - sconosciuto ai più - ha nella sua testa le quasi totalità delle meraviglie di quella cosa complessa e non completamente domata che è appunto una lingua, studiata però nelle accezioni teoretiche di un linguista.

è un personaggio molto critico, nel senso etimologico del termine. e che ha sufficiente considerazione di se medesimo 'sì da emettere i suoi verdetti su cose del mondo, soprattutto in ambito politico e culturale. cosa che peraltro fa il 90% degli iscritti ai soscials. solo che l'89% lo fa su ogni scibile, pensando di essere tutti grandissimi cazzuti con bagagli pre-culturali che in realtà nemmeno giustificano le ignoranti cazzate che esalano. l'1% lo fa con altrettanta sicumera, e forse medesima tracotanza, ma con l'attenuante di essere suffragati da competenze e conoscenze tali da rendere la tracontantaggine quanto meno con cognizione di causa. sono stronzi [quasi]uguali, ma non sono ignoranti. è già un passo avanti, considerevole peraltro.

ebbene. relativamente all'operazione "costa concordia", raddrizzamento, galleggiamento, traino in porto del relitto, chiosava a concludere - nel gorgogliare della sua attività soscial piuttosto frequente - che "Conclusione per me triste e lieta: a. la cooperazione aiuta a esprimere il meglio; b. gli esseri umani fanno cose buone quasi solo in campo tecnico.)"

questa cosa mi ha fatto riflettere. la storia delle cose buone quasi solo in campo tecnico. poi volevo farci un post. ma mi son perso via nell'introduzione, logorroico come sempre. roba che uno arriva al nucleo del ragionamento già spompo. per andare a comporre un post tecnicamente inutile. tecnicamente perché di tecnica avrebbe voluto parlare. o quando meno evocar un paio di suggestioni. inutile perché è un mio post. ed io sono nella fase di nuovo nevroticamente auto-denigratoria. [e per un mese e mezzo non potrò scaricare il mio understatement disequilibrato su odg].

comunque.

il nucleo sarebbe questo. l'uomo fa cose buone [solo?] in campo tecnico perché è più "semplice". e soprattutto con un nesso causa-effetto piuttosto corroborato, che garantisce risultati: tipo le funi speciali che stanno trainando il relitto [pare 4000 eurI al metro e ce ne vogliono un paio di chilometri] . lo tira, non può spingerlo ovvio. bisogna saperlo usare in maniera corretta. ma anche in questo caso è tutto sommato "semplice".

la tecnica non so se abbia ancora tutto il fascino che evocava col concetto greco di τέχνη (téchne), "arte" nel senso di "perizia", "saper fare", "saper operare" [l'ho pigliato da uichipedia, che credete?]. Ora la tecnica è "saper fare" a rimorchio  e nel solco del terreno dissodato della scienza, che ha altre levature, spietate onestà fattuali e di definizione. lo scienziato non può mentire, nel capire come vanno le cose. il tecnico - e l'ingegnere suo sacerdote [μηχανικός mi̱chanikós in greco, e questa me la ricordavo da par mio], deve far cose che funzionino: e pure possibilmente col maggior rapporto benefici-costi. la scienza usa la logica binaria. che tutto sommato è semplice: è corretto o non è corretto. la base del controllo è l'applicazione pedissequa del principio di non contraddizione. nella applicazione tecnica il concetto si riassume in qualcosa di meno "alto"[?]: va, il resto non è affar nostro. e quindi le cose non possono non andare. oppure, appunto, non si fanno.

rimettere in galleggiamento quella nave, per quanto complicato è dentro un quadro ben definito, noto, chiuso dentro equazioni che non sono semplici. ma che quelle sono. quel po' di aleatorietà al limite la si prova ad annichilire col fattore due, tanto caro agli ingegneri: serve tot per farlo funzionare? noi ce ne mettiamo il doppio. al limite di paga, ma se ci sono i soldi una cosa tecnicamente possibile è come se fosse fatta. ma proprio perché il recinto, per quanto ampio ed articolato, è chiuso.

quel contatto feisbucchiano è un linguista. i linguisti si definiscono dei matematici mancati, che non sono abbastanza intelligenti da far i matematici. al netto del [finto?] understatement c'è lo iato che ci separa - noi laureati in ingegneria, parenti applicativi delle scienze dure - con i fenomeni della complessità. che sono quei fenomeni che avranno pure delle loro equazioni, da qualche parte, ma non riusciamo nemmneo a scriverle. figurarsi risolverle. e quindi ci si rifugia nella panacea probabilistica [prima dell'evento complesso], statistica [analisi a posteriori dell'evento complesso], stocastica [se si vuol far i fighi]. il linguista ha a che fare con uno degli aspetti della complessità delle cose umane: come il linuaggio nella testa cosciente di un popolo sintetizza la descrizione del mondo, o come ne influenza la percezione. posto che non si sono ancora messi d'accordo su cosa venga prima. e posto che probabilmente la questione è circa così. perché non sono un linguista. sono un laureato in ingegneria per sbaglio che non si sente ingegnere. e soprattutto ho bevuto birra, da solo, dopo una mezza giornata a far l'imbianchino delisticazzi.

e quindi, al posto del rutto, scrivo post. le cui utilità, peraltro, si assomigliano [conclusione legata al contesto di queste settimane, oltremodo auto-nichiliste].

Thursday, July 17, 2014

sui momenti [pre-felici] che se ne vanno

sono qui seduto sul bordo, destro, di sette giorni comunque di nuovo diversi. non so se addirittura felici, ma qualcosa che a guardarli dal bordo sinistro mi avevano fatto, sommessamente, accennare un: uau, piccole stille ficosissime stanno arrivando, che bello, mi sento financo fiducioso che si possono rivivere queste sensazioni.

ovviamente bordo sinistro e destro sono disposizioni che smettono d'essere deittiche [posto lo siano mai state] se si prende come figura di riferimento il tempo che scorre, e lo fa come se andasse da sinistra verso destra. e quindi lato destro non significa necessariamente il lato giusto o vero, come alcune lingue s'arrogano a mettere in cattiva luce il sinistro, forse perché i mancini sono in percentuale minore, e quindi un po' bistrattati.

già. perché ora, seduto sul bordo destro sono un po' in rebound. che sfanculizzo 'sto fottuto bordo, che si stava decisamente meglio su quell'altro. che poi è il concetto del prima che le cose accadono, della vigilia della festa, un po' quel baluginio da sabato del villaggio. che se poi il bordo sinistro ti titilla con le cose advenienti che sono così invitanti e liete, magari accade che in effetti così si manifestino: passando dal bordo sinistro a quello destro. quindi nemmeno troppo l'idea e l'attesa del piacere [atarassico, ovvio] che viene è esso stesso piacere. perché poi a passarci in mezzo è piacevolmente piaceristico. e quindi fanculo a 'sto bordo fottuto, che quel passarci in mezzo è passato.

è stato bello, quindi. in maniere diverse, probabilmente nemmeno troppo paragonabili. se non per il fatto di avere come fil rouge la presenza di altri. e le interazioni conseguenti. come a ribadirmi la chiosa ovvia che da soli non si va da nessuna parte. e d'altro canto queste ultime settimane sono state, appunto, un richiudersi su stessi, il bozzolo, l'avvitarsi, la buca: roba che spingeva nella direzione opposta. simbolicamente sospinto dalla parte sbagliata, come non saper leggere le cartine, girate dalla parte opposta.

è stato bello, quindi. ed ora, sul lato destro, col mio rebound, ho financo un po' di paura di ri-finirci immerso in quella direzione sbagliata. solingo a contemplare i brandelli fumanti delle mie personalissime interazioni affettive finite a cazzo, e tutti i pugni di mosca che mi rimangono in mano. e il riflusso dell'idea di non riuscir a far molto meglio: pragmaticamente, dico.

è stato bello. e nella solitudine ambivalente di questo bordo destro non so quale delle due.

se è forse preferibile evitar bordi sinistri e destri, ed il passarci lieto in mezzo, che sennò poi il rebound sul lato destro mi trascina giù nel puzzo dell'acqua stagnante delle cose che, appunto, ristagnano. cioè, meglio non aver sbattuto le ali, se poi finisci col muso che incontra bituminicamente l'asfalto.

se forse è illuminante l'esserci passato in mezzo. e che i bordi servono, ma non sono i punti precipui. perché son lì a tirar la trama del tempo e delle persone che il tempo incammina sul tuo cammino. e l'esserci passato in mezzo: ecco la cosa importante. con la consapevolezza di quel che si stava attraversando. e se si è attraversato, significa che si ri-attraverserà. al netto dei rebound, che possono andarsene per questo affffanculo.

delle due una, o qualcosa in mezzo. [peraltro sono situazioni non necessariamente polari. quindi non una piuttosto che l'altra. e se non sono polari, in linea teorica, si può scegliere per una o per l'altra, ed usare con cognizione di causa l'avverbio assolutamente.]

Tuesday, July 8, 2014

faiitttin rubenuolf

ho appena finito di leggere un libro.

detta così non è una gran novità, sono un lettore compulsivo.

il fatto è che un libro scritto in inglese.

detta così potrebbe non essere gran eclatanza, c'è chi le lingue straniere le conosce e utilizza molto meglio di me.

il fatto è che ha una sua simbolicità. il libro dico. o meglio: il fatto di averlo iniziato in un dato momento, di un determinato giorno, di un deteminato periodo, di una determinata contingenza. averlo iniziato scegliendo di far una cosa un po' fuori dal norma delle consuetudini, dopo varie suggestioni, consapevole che non sarebbe stato cosa immediata e "facile".

ce n'è abbastanza per renderla  come una cosa che, paradigmaticamente, dovrei fare in senso più allargato.

poi, a dirla tutta, parla di gente che lotta, nel senso di fighting: "per qualcuno che sa che lottare non è un'opzione", com'era scritto a penna sulla terza di copertina. cosa che non avevo notato quando me lo regalarono, o forse avevo rimosso. quindi ad estendere il paradigma ci sarebbe pure quell'aspetto, per quanto non in senso stretto, considerato sia di come non sia proprio capace far a pugni, e in senso molto più largo, avendo io - da un certo punto di vista - il culo al tiepidino.

però c'è il discorso della paura, che ammanta il protagonista, il narratore in prima persona. e la consapevolezza che non è mica una questione di avercela, la paura - che non uccide - ma quanto sapere che ci si può ri-alzare. o che chiunque può fermarti dal essere un vincente. ma solo tu da solo puoi fermarti nel lottare.

insomma. roba financo diretta e quasi linearmente figurata. ma stringi stringi c'è una sintesi che sto financo imparando a distillare da me medesimo. quindi però ho deciso che va bene così ugualmente, nella lineare poca psicopipponeggiamento.

avevo fatto una promessa: l'avrei letto prima di poter rivedere una persona. me lo son letto perché - tra le tante cose che potrei fare - chi lo sa se non potrebbe diventar oltremodo utile rispolverare e migliorare l'inglese. l'ho preso e l'ho aperto dalla prima pagina perché è un modo pure quello, per sterzare dall'ammasso gravitazionale dalla norma gaussiana - uno dei tanti.

l'ho letto. piccola istanza dell'agire. financo proud.

Saturday, July 5, 2014

sui personalissimi non-evoluzionismi

post molto psicopipponico. mi sovvenne qualche settimana fa. mentre scendevo da un monte, da dove tecnicamente provengo. ma tant'è.

e pensavo.

qualche anno fa mi ero convinto non mi sarei riprodotto per ragioni evoluzionistiche. qualcosa che avesse a che fare con la selezione della specie: solo i miglioni potevano propagare il proprio corredo cromosomico. il razionale, nella sua stupidità, era molto semplice: poiché tirerei su un disadattato sociale è financo giusto io non mi riproduca. selezione della specie a livelli alti dello stack: quello dell'equilibrio psicologico.

era un ragionamento idiota. le controprove erano erano crassamente sotto gli occhi: tutti gli imbecilli che prolificavano o l'avevano fatto.

scendendo dal monte ho capito perfettamente che quella selezione sui livelli alti dello stack era una minchiata. e non poteva essere che così per questioni temporali. siamo esseri auto-coscienti da uno sputo di tempo, se raffrontato a quello passato alla comparsa della "vita" su questa crosta di pianeta. nei migLioni e miGlioni di anni l'evoluzione, la natura, dioochiperesso, il calcolo combinatorio ha avuto modo di provare, provare, provareprovareprovareprovareprovareprovare. e quindi tutte le varie evoluzioni-selezioni morfologiche. ma l'insanità di testa tipo la mia [che poi non è mica così sconvolgente rispetto ai problemi e disordini veri e gorgoglianti, giusto per metter la tara al mio cazzaro psicopipponeggiamento], è roba di cui l'evoluzione, la natura, dioochiperesso, il calcolo combinatorio non si è ancora mica accorto: azz, dopo tutta la fatica a tirar fuori i filamenti nei bronchi per massimizzare lo scambio andrite carbonica / ossigeno, mo bisogna pure occuparsi dei disequilibri psicologici? e filtrare con questi? mannnnnnò, non ci abbiamo mica tempo per il momento. che vadano avanti con il deliquio dopaminico dell'innamoramento: che si vedano supereroi pronti a superare qualsiasi difficoltà. così zompano: migLiardi di spermini, ne resta solo uno, il migliore, che infilzona l'ovuletto. e poi vai di  mitosi, che abbiam visto va da dio.

ci arriveranno col tempo. loro ne hanno tutto quello che vogliono, altro che essere dioochiperesso. dopo aver provato migLiardi e miGliardi di incroci, combinazioni. qualcosa che statisticamente abbia un senso. mica un'occorrenza tra le tante: ognuo di noi, singolarmene, dal punto di vista dell'evoluzioni è meno di un peto di pulce. per quanto mediamente noi ci si senta un poco di più [io faccio media con i solipsisti egoipertrofici che ho incociato fino all'altro ieri, per dire].

no. non mi riprodurrò perché ho sublimato con alcune nevrosi i miei momenti dopaminici, ai tempi che avrebbero dovuto indirizzar meglio la mia flottiglia spermatozoica. non mi riprodurrò perché non sono [più?] in grado di costruire il contesto adatto accioché si possa usare opportunamente la flottiglia. è responsabilità del mio dis-equilibrio, certo [e quindi mio, visto che dis-equilibrio con la consapevolezza stia accadendo]. ma niente a che vedere con il fatto di tirar su un disadattato sociale. non è selezione perché l'evoluzione filtra con la parte alta dello stack. ma perché nell'insignificanza statistica qual sono, come tutti del resto, non mi è capitato di prendere l'abbrivio della fase dopaminica sull'asse reale, e lanciare il mio miglior spermino su per le strade impervie di un chicchessia utero. solo questo ha  cuore l'evoluzione, la natura, dioochiperesso, il calcolo combinatorio.

io cercavo la donna ideale. non l'ho trovata perché non esiste. mi illudevo ci fosse, ed invece era un nascondersi dietro l'idealizzazione che nascondeva/era essa stessa una nevrosi. aggiungici un briciolo di timidezza, roba che uno è maschio gamma, e la fase dopaminica ha fatto ciao-ciao con la manina. peccato, signor odisseando. l'evoluzione della specie può far benissimo a meno di un po' di figuranti. figurarsi di te.

mentre scendevo e psicopipponeggiavo [anche se sembra stia salendo]