Sunday, April 20, 2014

le primizie son colorate di qualcosa di blu, o tinte similari.

ho appena rivisto "film blu"

è morto il gabo.

è la notte di pasqua.

è una specie di avantindietro della memoria. per quanto ho capito sia financo lieve e ossigenante non rimanvervi attaccato, al passato dico.

è la notte di pasqua questa. roba che mi affascinava come poc'altro. e che poi ha cominciato ad atterrirmi. le campane a distesa, ed io che scrivevo una specie di letterina-coperta-di-linus a queenfrancy. che per inciso, sia detto, fu colei che - oltre che compiere gli anni oggi, garruli auguri genetliaci - mi spinse ad aprire un blogggghe. fu un ragionamento semplice il suo: ci sono più femmine che maschi a scriverci. è una questione probabilistica che si farà statistica acciocché far colpo su di un sacco di femmine.

è che ci credevo fermamente, allora: al far colpo sulle femmine, dico. può essere che ci tornerò a credere in maniera fermamente diversa, o diversamente ferma. tipo quando se ne esce dall'illusione obnubilante di far a meno di chiunque. e che gli averi, gli affetti, le relazioni siano delle catene che non rendono libero. che poi è la tesi di julie, in "film blu". l'ho rivisto, andandomelo a cercare sapendo cosa vi avrei trovato. forse volevo ri-assaporare quella tesi e, soprattutto, quella confutazione. visto che ci sono scivolato spesso, in quella tesi, anche di recente. sono i tramestii di queste settimane così cariche di sogni complicati eppppperò incoraggianti. il blu della trilogia andai a vederlo con itsoh, poco più di vent'anni fa. fu una primizia. nel senso che per la prima volta andai a vedere un film con la precisa consapevolezza andavo ad ammirare un'opera, espressione della settima arte. c'era da capire oltre la semplice storia. in quel film la levità del trionfo del blu. anche se allora lo capii non del tutto subito. ed il resto fu possibile perché altri discussero di quella tesi. e come kieslowski la confutava, con quel finale carico di speranza e fiducia. una delle alternative, interlocutrici di itsoh, definì quel finale tipico della cultura tipicamente cattolica. accentuando il tono di un certo disprezzo a tipicamente e cattolica.

non mi piacque quell'uscita e quel disprezzo. e non solo perché avevo fatto una scelta, qualche anno prima. e allora mi sembrava come la cosa più rassicurante e giusta. forse confondevo alcuni piani. era una specie di rapimento emotivo, che scambiavo per fede. una delle prime volte, forse, fu quella sera di pasqua che me ne andavo alla messa, da solo. suonavo già qualche strumento. e me ne andavo con addosso quel bellissimo maglioncino blu-celeste. nuovo, di cotone, fatto da mia madre. mi pareva mi donasse molto, mi ci trovavo bene, mi piaceva. la serata era tiepida, non ancora del tutto buio, probabilmente c'era nell'aria un odore di primavera. la primizia di quel che stava arrivando così carico di fiducia e speranza. che poi davo per scontato dovesse capitare alla mia vita. un'armonia con gradevolezza meritata ex-ante. sensazione tipo il sentirsi addosso e vedersi indossare quel maglioncino blu-celeste. io me ne andavo a suonare per la veglia pasquale e tutto era così perfetto, favorevole al futuro, l'emozioine delle campane che di lì a poco si sarebbero sciolte a festa. la chiesa che si illuminava a che infondeva la certezza della redenzione. non poteva essere tutto messo lì a caso. ed io ne facevo parte e ci si apparteneva reciprocamente.

a ripensarci ora mi fa quasi tenerezza quell'immanente voler vedere inquadrato tutto così bene, armonico, equilibrato. è oggettivamente rassicurante. probabilmente è quello che si cerca, con la spocchiosa pretesa che il meglio debba ancora venire e passerà per forza di lì, da quelle parti. sì, sono le ingenuità dell'inesperienza. che non è mica così tanto distante dal rileggermi, a un po' di anni di distanza. che poi sarebbe questo post qui. quando il gabo cominciò a perdersi nel suo labirinto, ed io stavo cominciando sul seriamente a scrivere minchiate postiche. mio padre era mancato pochissime settimane prima. una morte tragica a partire dai i punti angolosi che disseminò il suo annunciarsi tra di noi. nulla a che vedere, ovvio, con il romanzo del gabo che forse più ho amato. non sono i cent'anni, non è l'amore e il colera, non è il labirinto del generale. ma è "cronaca di una morte annunciata".

è un capolavoro della ricombinanzione dei piani temporali. roba di cui accennò la professoressa di letteratura, cui diede il solito esagerato sapore epico. e vi ripensai quando lo lessi. roba che c'è da perderci la testa e l'emozione nel ricostruire il filo dedalaico, dedalistico, dedaleggiante nel senso del dedalo che il gabo costruisce. ma non sono i percorsi possibili. ma è l'ordine del tempo delle scene narrate, che hanno un susseguirsi tutto loro. e tu provi a ricostruire di dove debba mettersi nell'esperito modo di veder andar avanti le cose con il banale prima e dopo. la cronaca è stata una primizia. quella versione con la copertina con tutto quel un blu magnetico, con tratti leggermente a sbalzo, così piacevole da assparorare tattilmente. la lessi poco dopo la consegna della tesi. mi svegliavo al mattino con "piovono pietre" di robecchi a radiopopolare [roba che dopo tutti anni passati provoca ancora il nostalagiacanaglia in molti ascoltatori dell'emittente della sinistra milanese e lombarda]. mi svegliavo con la radiosveglia e robecchi che esclamava convinto "buoooongioooorno buongiorno buongiorno!", nel mio angolo di stanza al settimo piano a due passi dal dipartimento. quel libro fu il primo che lessi con il piacere della lettura. non che non l'avessi fatto prima. ma c'erano gli altri libri, dei corsi che mi distraevano. no. quello fu il primo che lessi per puro piacere di leggere e basta, con finalmente la mente più sgombra. finiti gli esami e la tesi, potevo leggere, e riempirmici la vita. tipo leggere di quella storia, dalle sequenze temporali deflagrate. ma con la sensazione di essere in quei posti, percepire il caldo umido, gli odori, intravvedere la sensazione di ordine costretto [e costipato] delle guance rese glabre dalla perfetta rasatura degli uomini, i don, tirate ancora più a lustro dal dopobarba dolciastro: roba da sentirla nelle papille gustative. e nelle papille del brivido di star dietro allo scorrere delle pagine.

anche nei momenti dove può financo essere l'unico momento di pausa, o quello di puro [ed unico] piacere nel volgere di ore altrimenti poco liete, o serene, o quelle cose lì. senza che ci sia nessun dramma.

tipo queste. che sono di pasqua. poco dopo aver rivisto film blu, che il gabo se n'è andato. e tutto il resto è scombinato su ben altri piani.

1 comment:

itsoh said...

vent'anni fa dicevo un sacco di cazzate. anche ora,se è per quello.