Wednesday, April 30, 2014

lisergie amorose d'aprile ed altre amenità conseguenti

ci sono tre versi ne "un chimico", tra le più belle, a mio parere, del faber.

"Ma è forse fosse diverso il vostro morire
vuoi voi che uscite all'amore e che cedete all'aprile.
Cosa c'è di diverso nel vostro morire"
[peraltro ho fatto copincolla da un sito di testi. e c'erano refusi. ho propagato l'errore. mi hanno avvisato. mettiamoci i freni, all'errore refusistico]

mi hanno colpito più del solito questi tre versi qualche giorno fa.

e ci ri-pensavo oggi, che è l'ultimo giorno di aprile. che era il mese che preferivo. che ci erano nate un bel po' di persone. che è praticamente il mese di pasqua. che è il mese dove la primavera entra sicura, senza bussare [cit. come sopra]. che è il mese di "dalemadiqualcosadisinistra". che è il mese dove la sceneggiatura della storia di mette quella bellissima giornata di sole del 25.

insomma. aprile è tutta 'sta roba qui.

e quindi ci sta veramente tuttotuttotutto che, metrica a parte, il faber ce l'abbia messa nella bocca del chimico. colui che rifiuta l'amore, che non si volle sposare. e l'abbia fatto per raccontare l'effetto lisergico di coloro escono all'amore, al sentimento, alla farfalla nello stomaco, alla vita che appare meravigliosa e piena di inevitabili speranze.

sono io, il chimico dico.

l'effetto lisergico serve e sfuocare, a perdere di vista la complicazione del divenire. è 'na spintarella acciocché uno lo faccia quel grande salto che serve per procreare, riprodurre la specie, proseguirla. anestetizza che cosa c'è di meglio, travolgente, avvolgente, eternizzante se non la scopata che consapevolmente fa incontrare l'ovulo al vincitore della competizione tra gli spermatozoi: muoiono tutti, tranne il più meritevole. è incredibile che una volta sia stato il migliore ed il più forte di qualcosa.

di aprile quasi non mi importa più. che se ne vada, senza rimpianti: questo sicuramente. così come il mese di novembre quasi non mi angoscia più. essere oltre questa rassicurante competizione personalissima tra i mesi. disvelata la vestigia di un qualcosa che di simbolico ci mettevo dentro. con molte più parole del faber e senza la sua musica.

che se ne vada la lisergia. posto che non gira da queste parti. posto che l'ho sempre assunta in maniera nevrotica, frustrata, annichilente. il piacere passa per altre neurosecrezioni spiritual-razionali, a proposito di relazioni. che se ne vada col suo significato fuorviante e funzionale a qualcosa che è oltre noi, che ci trascende nell'immanenza dell'evoluzione, che un gran bel cinque a chiunque se la sia inventata una storia così ficosa. che se ne vada che mi ha rovinato la vita, peraltro decisamente poco piena di scopate.

se ne vada aprile, non c'è nulla di diverso nel morire, d'altro canto. come d'altro canto, a quel punto, all'evoluzione non si serve più.
sono io, il chimico.

tutto in un indististino minestrone giaculatorio [un po' delirante, a dirla tutta]

probabilmente dirò molte parolacce. o parolaccie.

ributtante i convenuti che applaudono per cinqueminuticinque gli agenti condannati per l'omicidio aldovrandi. che in prima fila ci siano il camerata, il convertito, la puntadidiamante della classe dirigente sforzaitagliota è un caso. ributtante pure questo.

che uno condannato per frode fiscale possa fare quello che, insultando, sminchiando la logica il buonsenso il decoro la storia la gastroserenità per un qualche pungo di voti. e che ci siano ancora qualche milione di italiani disposto a votarlo mi fa semplicemente schifo. e mi chiedo cosa si prova ad avere così il cervello all'ammasso per dargli ancora fiducia. o perché semplicemente non lo chiudono agli arresti, come un delinquente qual è dovrebbe stare [attenuante domiciliari per l'età e il membro che non gli funziona più, così si cucca le paturnie mestruopatiche della fidanzatina ficadilegno].

che un altro faccia il capopopolo sputacchiando le sue verità e con fare arrogante pensi che possa funzionare solo idolatrando il suo verbo dogmatico, non merita altro che il mio più sentito vaffanculo. e pure quelli che lo idolatrano.

che il nuovo che avanza sparga segnali fumosi con battutine da egotico che gli hanno fatto il dispetto a non andargli dietro supini.

che i fascisti possano marciare per le vie di milano-est, zona piazzale susa, col braccio teso e croce uncinate in bella vista. che non sia riuscito, non abbia voluto andare alla manifestazione antifascista per ribadire il no ai fascisti per le vie di milano. e non ci sia andato perché mi sono perso dietro le mie inutili contumelie invalidanti, incapace di recepire qualsiasi notizia che avesse un baluginio di negatività. troppo saturo a lamentarmi del mio ombelico debordante di inazione e poco spirito di iniziativa. roba da farsi mandare in paranoia da un hardisco che si è fottuto o da una bottiglia di birra fatta cadere all'esselunga.

quelle belle cose e belle serate dove non si supporta e sopporta più nulla. nemmeno se medesimi. roba che uno pensa: ma che cazzo lo scrivi a fare? per autopunirsi, per tener traccia di periodi così, per esalare a profusione refusi qua e là, come spesso penso sia la mia esistenza. per declinare blogghicamente il peggioramento del mio karma, cui non credo, ovviamente: al karma dico. oppure roba che non mi fa uscire le parolaccie o parolacce, così che non mi possa sfogare con qualcosa o con qualcuno che non sia me medesimo, peraltro correo mica da poco: nelle responsabilità di gran parte di questo personalissimo zeitgeist, così come del [auto]disprezzo conseguente, o antecendente, o parallelo, o superiore.

se credessi in un qualche dio, probababilmente, 'sta sera mi farei vedere financo incazzato. se non addirittura lo sfanculerei: posto che un credente possa sfanculare il proprio dio. peraltro, tecnicamente per delle amenità, a guardarle con sereno distacco.

#odisseostaisereno, anche perché - a dirla tutta - un bel vaffanculo te lo meriteresti tu. anzi, togliamo pure il condizionale.

Sunday, April 20, 2014

le primizie son colorate di qualcosa di blu, o tinte similari.

ho appena rivisto "film blu"

è morto il gabo.

è la notte di pasqua.

è una specie di avantindietro della memoria. per quanto ho capito sia financo lieve e ossigenante non rimanvervi attaccato, al passato dico.

è la notte di pasqua questa. roba che mi affascinava come poc'altro. e che poi ha cominciato ad atterrirmi. le campane a distesa, ed io che scrivevo una specie di letterina-coperta-di-linus a queenfrancy. che per inciso, sia detto, fu colei che - oltre che compiere gli anni oggi, garruli auguri genetliaci - mi spinse ad aprire un blogggghe. fu un ragionamento semplice il suo: ci sono più femmine che maschi a scriverci. è una questione probabilistica che si farà statistica acciocché far colpo su di un sacco di femmine.

è che ci credevo fermamente, allora: al far colpo sulle femmine, dico. può essere che ci tornerò a credere in maniera fermamente diversa, o diversamente ferma. tipo quando se ne esce dall'illusione obnubilante di far a meno di chiunque. e che gli averi, gli affetti, le relazioni siano delle catene che non rendono libero. che poi è la tesi di julie, in "film blu". l'ho rivisto, andandomelo a cercare sapendo cosa vi avrei trovato. forse volevo ri-assaporare quella tesi e, soprattutto, quella confutazione. visto che ci sono scivolato spesso, in quella tesi, anche di recente. sono i tramestii di queste settimane così cariche di sogni complicati eppppperò incoraggianti. il blu della trilogia andai a vederlo con itsoh, poco più di vent'anni fa. fu una primizia. nel senso che per la prima volta andai a vedere un film con la precisa consapevolezza andavo ad ammirare un'opera, espressione della settima arte. c'era da capire oltre la semplice storia. in quel film la levità del trionfo del blu. anche se allora lo capii non del tutto subito. ed il resto fu possibile perché altri discussero di quella tesi. e come kieslowski la confutava, con quel finale carico di speranza e fiducia. una delle alternative, interlocutrici di itsoh, definì quel finale tipico della cultura tipicamente cattolica. accentuando il tono di un certo disprezzo a tipicamente e cattolica.

non mi piacque quell'uscita e quel disprezzo. e non solo perché avevo fatto una scelta, qualche anno prima. e allora mi sembrava come la cosa più rassicurante e giusta. forse confondevo alcuni piani. era una specie di rapimento emotivo, che scambiavo per fede. una delle prime volte, forse, fu quella sera di pasqua che me ne andavo alla messa, da solo. suonavo già qualche strumento. e me ne andavo con addosso quel bellissimo maglioncino blu-celeste. nuovo, di cotone, fatto da mia madre. mi pareva mi donasse molto, mi ci trovavo bene, mi piaceva. la serata era tiepida, non ancora del tutto buio, probabilmente c'era nell'aria un odore di primavera. la primizia di quel che stava arrivando così carico di fiducia e speranza. che poi davo per scontato dovesse capitare alla mia vita. un'armonia con gradevolezza meritata ex-ante. sensazione tipo il sentirsi addosso e vedersi indossare quel maglioncino blu-celeste. io me ne andavo a suonare per la veglia pasquale e tutto era così perfetto, favorevole al futuro, l'emozioine delle campane che di lì a poco si sarebbero sciolte a festa. la chiesa che si illuminava a che infondeva la certezza della redenzione. non poteva essere tutto messo lì a caso. ed io ne facevo parte e ci si apparteneva reciprocamente.

a ripensarci ora mi fa quasi tenerezza quell'immanente voler vedere inquadrato tutto così bene, armonico, equilibrato. è oggettivamente rassicurante. probabilmente è quello che si cerca, con la spocchiosa pretesa che il meglio debba ancora venire e passerà per forza di lì, da quelle parti. sì, sono le ingenuità dell'inesperienza. che non è mica così tanto distante dal rileggermi, a un po' di anni di distanza. che poi sarebbe questo post qui. quando il gabo cominciò a perdersi nel suo labirinto, ed io stavo cominciando sul seriamente a scrivere minchiate postiche. mio padre era mancato pochissime settimane prima. una morte tragica a partire dai i punti angolosi che disseminò il suo annunciarsi tra di noi. nulla a che vedere, ovvio, con il romanzo del gabo che forse più ho amato. non sono i cent'anni, non è l'amore e il colera, non è il labirinto del generale. ma è "cronaca di una morte annunciata".

è un capolavoro della ricombinanzione dei piani temporali. roba di cui accennò la professoressa di letteratura, cui diede il solito esagerato sapore epico. e vi ripensai quando lo lessi. roba che c'è da perderci la testa e l'emozione nel ricostruire il filo dedalaico, dedalistico, dedaleggiante nel senso del dedalo che il gabo costruisce. ma non sono i percorsi possibili. ma è l'ordine del tempo delle scene narrate, che hanno un susseguirsi tutto loro. e tu provi a ricostruire di dove debba mettersi nell'esperito modo di veder andar avanti le cose con il banale prima e dopo. la cronaca è stata una primizia. quella versione con la copertina con tutto quel un blu magnetico, con tratti leggermente a sbalzo, così piacevole da assparorare tattilmente. la lessi poco dopo la consegna della tesi. mi svegliavo al mattino con "piovono pietre" di robecchi a radiopopolare [roba che dopo tutti anni passati provoca ancora il nostalagiacanaglia in molti ascoltatori dell'emittente della sinistra milanese e lombarda]. mi svegliavo con la radiosveglia e robecchi che esclamava convinto "buoooongioooorno buongiorno buongiorno!", nel mio angolo di stanza al settimo piano a due passi dal dipartimento. quel libro fu il primo che lessi con il piacere della lettura. non che non l'avessi fatto prima. ma c'erano gli altri libri, dei corsi che mi distraevano. no. quello fu il primo che lessi per puro piacere di leggere e basta, con finalmente la mente più sgombra. finiti gli esami e la tesi, potevo leggere, e riempirmici la vita. tipo leggere di quella storia, dalle sequenze temporali deflagrate. ma con la sensazione di essere in quei posti, percepire il caldo umido, gli odori, intravvedere la sensazione di ordine costretto [e costipato] delle guance rese glabre dalla perfetta rasatura degli uomini, i don, tirate ancora più a lustro dal dopobarba dolciastro: roba da sentirla nelle papille gustative. e nelle papille del brivido di star dietro allo scorrere delle pagine.

anche nei momenti dove può financo essere l'unico momento di pausa, o quello di puro [ed unico] piacere nel volgere di ore altrimenti poco liete, o serene, o quelle cose lì. senza che ci sia nessun dramma.

tipo queste. che sono di pasqua. poco dopo aver rivisto film blu, che il gabo se n'è andato. e tutto il resto è scombinato su ben altri piani.

Wednesday, April 16, 2014

sulle belle sensazioni di momenti che sono bastardi ['belle' è eufemisticante amaro-ironico]

eccola qui, una di quelle serate da tempesta perfetta. una sequela di momenti bastardi. quella dove non torna più nulla. quella dove si incrociano suggestioni che tirano da parti opposte, e a provare a farci una sintesi non si riesce. ci si arrovella, ma è come unire le facce di un cubo in una quadridimensione. è un processo sensa stato finito, che s'alluppa, DoS, sbiellatura di pulegge. è una questione di dinamica, oltre che di consunzione che sta per arrivare mentre si è già sfiniti. come il lenzuolo che lo tiri nella globalità in direzioni opposte e lo solleciti localmente, si strappa, si lacera, si lide: un bel "sette" coi lembi dagli estremi con bene in vista le fibre traumatizzate.

si è arrivati al dunque, dunque. anche se sarà un passaggio del dunque verso chissà quale dunque. sarà che le sinapsi si sono adeguate, e rompere lo status quo è un gran fottuta rottura di coglioni. sono in apprensione verso un futuro che chissà che cazzo vuol diventare, ed io fatico a provare ad immaginarlo. è un cazzo cazzo cazzo cazzo dura. volevo stordirmi di qualcosa. non l'ho fatto, perché fosse punizione e stordimento il rimanermene lucido e molto ben presente a me medesimo e al mio amaro, di quelli che impastano la bocca e disgustano e straziano il naso.

quel fiato corto, quelle improvvise tachicardie non erano piccoli attacchi di panico. ma sono prese d'atto di consapevolezza.

e allora affffanculo la consapevolezza, voglio tenermi le mie piccole crisi d'ansia.

anche se sfanculandola, la consapevolezza, rimango nell'alveo intruffabile di lei medesima, la consapevolezza dico. consapevole. che però ora mi centrifuga in maniera anisotropa tutto, dentro. però è consapevolezza, quindi è meglio così che il contrario.

faccio finire questa giornata e questa serata insopportabile. il post è già financo troppo lungo, ha già procastinato oltre lo scibile, consapevole e non. speriamo almeno nel sonno. anche se non oso nemmeno immaginare l'orgia violenta onirica che mi si spalancherà innanzi.

Wednesday, April 9, 2014

"le persone di cui si è letto il voto, sono pregati di alzarsi per la proclamazione. [...] dottori in ingegneria"

eh già. come oggi. un bel giorno di primavera anche allora. tecnicamente cazziai l'abbinata giacca e camicia: entrambi con vaghi quadettramenti. non misi la cravatta, convintamente.

fu un bel giorno per i miei genitori. per loro sì, eccome: per questo è un bel ricordo. mio padre pianse, ma non era una gran novità.

e c'è financo da sottolineare che, almeno quella cosa lì, mi è riuscita. senza infamia né lode, neh? ma mi è riuscita. d'altro canto era bastao farsi un po' il culo, e studiare. uhm. a pensarci bene, non so nemmeno quanto possa essere 'sto gran risultato.

a dire il vero la storia della laurea è una cosa che mi son sempre visto un po' estranea. fuori da me. per almeno i tre quarti del percorso studiorum [i latinismi, mica cazzi] non ero così convinto sarei riuscito a finire. poi un docente, quinto anno, mi disse "potremmo farci una tesi, su questo argomento". tesi? allora significa che mi laureerò. toh. al quinto anno. non ci avrei scommesso molto. e per pochi mesi quasi me ne sentii orgogliosamente coinvolto. poi mi impantani nella tesi, nell'ignavia del mio spettabilissimo relatore, uno dei lavori più inutili, proforma, e amenità varie del DEI, del politecnico di milano. il giorno in cui consegnai il blocco dei fogli col frontespizio firmato [con tanto di discussione e minacciamicatantovelata del mio mentoredelisticazzi] capii la grandissima presa per il culo. e me ne ri-estraniai.

quel giorno però, appunto, fu una bella giornata. anche per la vicinanza di tutti gli amici [di allora]. e qualcuno lo è ancora oggi, figurarsi.

[...]

poi c'è un salto di decisamente un po' di anni. tipo oggi. e di mezzo c'è stato un po' di tutto: dalla consulenza pre-informatica, alle antenne col contratto metalmeccanico a tempo indeterminato, il tentativo di rimettersi in gioco e di uscire dal tunèl ingegneristico, fatto oculatamente con un master ridicolo [ex-post], la ri-attrazione allo sviluppo software, le basi di dati facili, la libera professione, il web, la formazione, una disastrosa esperienza piccolo-imprenditoriale da repressione nello stanzino asfittico: dove non ho mai lavorato così tanto per avere solo appena più di nulla.

oggi appunto. stamani mattina sono stato ad un convegno marchetta, di telecomunicazionisti. mi è sembrato una coincidenza interessante, non tanto quanto i mini-croissant salati con il salmone e il burro offerti durante il light lunch finale [credo di averne abusato, tanto che ho digerito, rumorosamente, alle 21.00]. ci sono andato perché a volte spreco il mio tempo così. perché volevo ri-annusare la sensazione di star in mezzo a quei fornitori di non più di PAAS bensì SAAS, che implementano key point in ottica di processi win-win per le soluzioni enterprise che deliverano deploy di multivendor per performare la united collaboration and  comunication, un ultimo follow-up prima di passare alle domande del floor.

mi sono reso conto di una cosa. che tutto sommato inutisco come attraversare tutto lo stack [pila] delle cose che lì sono state comunicate. dal fatto ci fosse come primo relatore un amministratore delegato di un'azienda di telecomunicazioni importante, lì a far una super marchetta alla banca che possiede percentuale impotrante del tuo stock di azioni. ai trucchetti retorici del moderatore per la captatio benevolentia del pubblico. ai fondamentali di comunicazione non verbale per non perdere l'attenzione dei fruitori. alla vuota pomposità dell'assessore regionale di turno, che legge un discorso assemblato copia-incollando e mica troppo amalgamato come cifra stilistica, redatto da un ghost-writer verosimilmente pagato poco, se non nulla. alla grossolaneria estetica dei rettangoloni in alcune slide, che rappresentano un qualche blocco operativo dalla sigla intorcigliata. alla complessità di strutture software che fanno da middleware a sistemi e protocolli di comunicazione che vanno per i cazzi loro. fino a vedermi le pagine di codice, con le intestazioni iniziali commentate col # dove si riportano data e versione ed eventuali dipedenze di altri moduli.

i commenti sui file di testo con il codice sorgente, che tanto avranno fatto peggiorare il karma di chi li ha scritti. una virgola al posto sbagliato e non si compila una beata minchia, e dobbiamo consegnare che poi il responsabile va al convegno dove si mostrano video promozionali di presentazione, con persone truccate che nei film porno il make-up è financo più raffinato. e il responsabile si metterà in bocca sigle per cercare di stupire astanti che aspettano il light lunch. e lì si, finalmente sarà plaga delle esigenze basso livello di ciascun uomo ICT in affari. si stringeranno mani, dopo essersi scrollato dalle mani, piccola frizione sul bavero della giacca, micro-bricioline del croissant salato con il salmone. col bicchiere di prosecco in mano cercheranno di leggere il tesserino appuntato alla tasca vicino al bavero [di cui le bricioline di appena prima], quello con il nome del dirimpettaio, e soprattutto di quale azienda. sono lì per ampliar il business, come magari hanno detto al telefono un attimo prima di entrare nella torre.

ed alla fine ho capito altre cose rapide. che non voglio fare 'ste cose qui. che le vette della sfida tecno-logico-matematica dei corsi che ho seguito è come offesa da tutto questo. che ho comunque studiato cose intellettivamente troppo interessanti per far 'ste cose qui. quindi ho tecnicamente fallito, pure in questo. perché io non sarò mai di questa masnada. ma poiché loro la pagnotta se la portano a casa: ho fallito.
[ovviamente nemmeno oggi avevo la cravatta. bensì i jeans e le clark. e ho appuntato il tesserino con il nome alla tasca del pantalone. girato. e mentre mi gustavo l'enneismo croissant salato col salmone, senza necessità di scrollar le micro-bricioline, ho pensato potesse venirci fuori un post rapido. ecco. appunto. rapido. per dire come non son buono a programmare...]

Monday, April 7, 2014

il bianco è nero. e il nero è bianco. sull'ermeneutica dei "sentimenti" /1

mi stanno venendo un sacco di altre psicopippe. giusto per avvisare i tre di qui. e sapere cosa c'è oltre, nel post e forse n altri advenienti. sarà che queste giornate sono diventate una specie di susseguirsi di suggestioni, tutte con 'sto fil rouge, o come diavolo si scrive. a partire dall'ultimo post. che hanno letto tre volte. e tre significa tre, no per sentito dire.

no. ecco. il razionale di fondo è molto semplice. ho vissuto sensazioni, che pensavo fossero chiare. di quelle cose che sembrebbero entrare nella categoria dei sentimenti umani, di quelli che vivono le persone normali. con caratteristiche tutto sommato definite. magari i bordi un po' sfumati, ma tipizzazioni facili da inscatolare.

durante l'adolescenza, ed anche un filo oltre, sono stato molto amico di un prete. non avevo mai pensato, allora, cosa potesse aver scatenato tutto ciò. pensavo fosse stato un semplice caso della provvidenza. a quei tempi ero suscettibile a queste visioni pre-teleologiche. a dirla tutta, qualche tempo fa, non molto, sono financo giunto a parziali conclusioni, che avrebbero potuto spingere lui. parziali e provvisorie, come tutte le conclusioni, del resto.. l'altra sera, altresì, mi è sovvenuta un'altro pezzo della faccenda. lui probabilmente è stato il primo a intuire la complessità - laocoonticamente adolescenziale - del mio psicopipponare: intuirla e con la decisione di interloquirla. con il mio beneplacito: cosa che, banalmente, non avevo dato ai tempi ai miei genitori, so' testediminchiaz i brufolosi quindicenni. sì, insomma, quello che per la vocazione di pascer pecorelle se n'era trovata una che - tra l'altro - maramaldeggiava di considerazioni molto poco pragmatiche e molto cervellotiche, sublimava le donne con cavalleresca distanza, infiocchettava tutto quel sentir "profondo" nel professare una fede che pensava fosse incrollabile.

intanto io ci avevo l'amico mio prete, con cui era interessante perdersi in lunghissime chiacchierate. cose così. c'era molta soddisfazione "intellettuale", una bella scarica di adrenalina mentale e di confronto. mi trattava da adulto, ascoltava le mie considerazioni che sgorgavano che almeno lì niente continenza. insomma. ci vedevo un senso relazionale. il concetto più puro e immarcenscibile di amicizia. con tanto di situazione uterina oratoriana. lì, insomma, ci stavo bene: avevo conquistato una mia posizione di alterità nella comunità. figata.

quando studiai l'illuminismo, di botto, mi accorsi che in fondo potevano aver ragione loro. con la storia della religione come elemento fondante dei secoli bui. si insinuò il seme del dubbio. fu drammatico. la ragione mi diceva una cosa, chiara, netta, consapevole. quello appena sotto il conscio mi fece capire che dar ragione alla ragione avrebbe significato far venire giù tutto. dalla situazione uterina, all'amicizia con lui.

furono giorni di autentico struggimento interiore. per quanto quasi monodimensionale, tanto quanto possono offrire le sfumature di un diciottenne strutto di emozioni qual ero. risolsi tutto in un bel giorno di aprile, leggendo - e struggendomi - con alcuni brani delle confessioni di sant'agostino, uno dei padri della chiesa e della filosofia [il suo contributo all'ossegione sessuofoba - da compulsivo di ritorno - nel pensiero ufficiale della chiesa lo scoprii molto tempo dopo]. insomma. ce l'avevo in nuce, l'agnosticismo. farlo venir fuori avrebbe comportato dei costi che, romanticone innamorato sublimato, non ero in grado di sostenere, allora.

e poi venne l'università. e il desiderio di tornare alla hometown tutti i uichend. e la vita intensa vissuta là, e non qua. per poi arrivare alla tesi, con la dedica anche a lui [e la citazione del DeGre, ad aprire il lavoro più inutile della storia del dipartimento di elettronica e informazione del politecnico di milano].

lui nel frattempo era stato trasferito. incarico diocesano. fui uno dei primi a saperlo. fu il sabato di carnevale. intuii che la mia vita sarebbe cambiata: su quello ci azzeccai. per un paio di mesi mi portai appresso questa specie di segreto. la cosa interessante fu che nel segreto delle nostre chiacchierate lunghissime ci promettemmo amicizia eterna. di quelle cose che avrebbero saputo resistere, immarcescibili, alle ere e ai continent e ai fusi orari di eventuale distanza.

finì tutto molto prima. semplicemente sentii che non c'era più molto, e dall'altra parte una serena rassegnazione. quello che era in nuce, il mio agnosticismo, risaltò fuori con le belle convinzioni di uno che, per alcuni eventi, nel frattempo uscì dal guscio uterino. e si guardò intorno dicendo: ehi, ma se fosse tutta una specie di invenzione 'sta cosa del regno dei cieli? ed un bel giorno non entrai più in chiesa, nell'edificio dico. fu durante uno sbandamento edonistico con la tipa del post precedente. ma penso sia un dettaglio. semplicemente non c'erano più le condizioni.

non fu facile. perché c'erano una serie di relazioni che su quello facevano abbastanza perno. non è che venni rejetto, ci mancherebbe. mi sganciai io. e ricominciar a tessere altre amicizie fu un po' destrutturante. il caso mi ha poi messo sulla strada persone che apprezzavano il buon vino ed il buon tavolare assieme: come elemento di socialità. mi ci sono infilato pure da anosmico. ho ricominciato da lì.

e il prete? della mia abiura non se parlò mai. provarono a dirgli di parlarmi. lui si rifiutò, lo riteneva inutile, o forse non valevo il suo tempo e lo sbadtimento di interloquire di una cosa così fondante: che si fotta la pecorella - tecnicamente - smarrita. la cosa non mi meravigliò, non era la prima volta che si sottraeva a passaggi non propriamente lieti.

perché 'sto pippone sui sentimenti?

perché avevo categorizzato quello con lui, l'amicizia che mi legava a lui, come una delle cose più assolute e incorruttibili, potesse capitare di vivere. il concetto stesso di amicizia, a braccetto di quell'avverbio assoluto: sempre. di più, se possibile: il contraltare intellettuale all'amore eterno tra due persone. un po' banale, forse. quanto meno un bell'assolutismo fondato su smaccata inesperienza, oltre che qualche consapevolezza non del tutto strutturata.

evaporò come rugiada al mattino quando il sole sorge [eeeeesticazzzi]. doveva traguardare il tempo e lo spazio. finì in maniera decisamente più rapida, e forse un po' inevitabile.

il fatto è che venne giù prima che riuscissi a staccar il contraltare di cui appena qui sopra. e se quindi era finita quell'amicizia, sparita senza saper dove fosse finita, perché mai avrebbe dovuto resistere in eterno l'amore tra due persone? e che senso poteva avere quella promessa matrimoniale? nessuna, o meglio: altro rispetto alle categorie di cui mi ero imbevuto fino ad allora. ermeneutizzavo i sentimeni un po' così, semplicemente.

la realtà, e quindi pure le sensazioni sentimenali, travaricano sempre oltre il bordo di ogni ragionevole tazza. pian piano, ma ci sto arrivando a comprenderlo per bene. e come tutte le conclusioni sarà una cosa parziale e temporanea [e forse è proprio questa la cosa interessante. fa decisamente gerundio].

Thursday, April 3, 2014

sui compleanni di una volta, le cagate della gioventù poco consapevole [ed anche un po' masochista]

l'ultimo esame l'ho appuntato per bene. mai come quell'ultimo corso. cercavo un esame facile, per chiudere il giro. sapevo doveva essere un esame informatico. chiesi ad uno di loro: che faccio, questo o quello? lui mi domandò. lo vuoi facile o difficile? ed io: facile, non l'avrei mai detto, ma devo chiudere la partita. "impianti di elaborazione", andata.

era l'ultimo e l'unico che seguivo. numerai le pagine, segnai la data di ogni lezione. mai fatto nei 29 precedenti. il giorno 3 aprile ci misi un piccolo appunto a lato la data: E.B. in ostentazione internazionlistica de noartri B. stava per birthday.

compiva gli anni lei. come un'inutile ridondanza di informazione, appuntai fosse il suo compleanno. volevo probabilmente lasciare il segno in quell'ultima sequela di pagine a quadretti. un segno ad imperitura memoria, avevo scoperto di essermene innamorato alla fine del terzo corso che seguii. mi sembrava coerente perpetrare quella cosa lì nell'ultimo.

l'amico emanuele - o forse l'altro, dopo una visita da stracca - la definiì l'anelito. scassai inesorabilmente la minchia a tutti costoro in quegli anni, su quel rimestare l'acqua nel mortaio, sperando diventasse vino che accende la passione: la sua nei miei confronti, ovvio. io già la desideravo come la cosa più preziosa potesse capitarmi. il giorno della laurea, il loquace parko, mi prese da parte e mi chiese: ma è quella lì? ed io: sì. e lui: e tu ci hai frantumato le palle per tutti questo tempo per una come quella?

pensavo fosse amore. era nevrosi.

la passione, sua, ovviamente non si è mai accesa. certo: mi stimava, le piaceva leggere gli auguri speciali che scrivevo giustappunto a lei. probabilmente ero il pezzo più ambito con cui gratificare l'esercizio del suo potere seduttivo. ed io ero il pezzo zerbinicamente più pregiato, pronto a gratificarla. con lei che ben sapeva che me l'avrebbe sempre solo fatta annusare, e mai me l'avrebbe concessa: la sua attenzione esclusiva, ovvio [brutto pensar subito male se si pronomizza al femminile]. insomma un rapporto tecnicamente sadico-masochistico. il masochista ero io, ovvio. abilissimo e capace d'essere ossessivo-compulsivo nel volere che qualcuno mi facesse un qualcosa di simile a del male, per quanto non so quanto consapevolmente.

finì malissimo, come se non altro? o meglio: non iniziò una beata sega, come è normale accada in questi casi. finì che finii di martellarmi in piena autonomia con una cornetta di telefono in mano, dall'ufficio. seppi mi aveva cercato. feci per richiamarla. ma non composi tutto il numero di cellulare, che ovviamente conoscevo a memoria. mi dissi: basta così, credo di aver dato abbastanza.

e per anni non riuscii più ad avere un rapporto sereno con costei, nemmeno a salutarsi incrociandosi per strada nell'hometown. dove si mostrava sempre affabile, per bene, e figlia di piissimi genitori. e nel mentre seppi di derive nichilistiche da inpunebonda inquieta. si vociferava, paese pettegolo, che girasse le discoteche lontano dal borgo, e abbordasse più o meno chiunque, desiderando congiunzioni pelviche nella completa variazione di genere. dis-equilibri, il perfetto contraltare della contenzione nei miei confronti, come cosa inevitabile nell'avvitamento in cui mi ero infilato qualche tempo prima.

nel mio castrarmi sull'idea ossessiva di lei sono arrivato a credermi rejetto dal punto di vista erotico. lei non ne è la responsabile, ovvio. però un contributo generoso alle mie frustrazioni, demolizioni dell'autostima, l'ha comunque fornito. ancora oggi mi fa strano, se qualcuno mi dona un qualche genere di complimento in quell'ambito: e per mascherare l'imbarazzo fingo di ringhiare sospettoso mi si stia prendendo pe' fondelli.

l'esistenza poi le si è avvitata un po' contro. non ha passato propriamente gli ultimi anni in maniera del tutto serena. per quanto lei si ritenga rinata in una fede che ora professa in maniera convintissima. e di cui mi dice quando le racconto del mio convinto agnosticismo.

già. perché ci siamo re-incontrati, dopo tutti quegli anni di [mio] rifiuto nell'inteloquire. è stato un anno e mezzo fa. io avevo, peraltro, appena trovato una specie di conferma importante, che mi aveva oltremodo ri-rasserenato in quell'ambito. ci siamo re-incrociati con le nostre rispettive consapevolezze. lei, ho avuto modo di sub-odorare, pure con quella di essersi comportata moderatamente da stronza nei miei confronti. io, altresì, che quella cosa non era innamoramento, che meritavo altro, e che aveva smesso di farmi paura il solo ricordo di quel garbuglio ossessivo-compulsivo. ero altro, ben lieto di aver fatto tutta quella fottuta, faticosissima strada per esserne consapevole. ma quanto era fico sentire di essere ormai ben di qua da quel confine per nulla malinconizzato.

questo, ovviamente, non è un post di genetliaco suo. e ci mancherebbe. ma è un post perché starò pure invecchiando, il divano letto mi è scomodo, però allora ero giovane vacuamente illuso, ora sono consapevole. e anche nei sogni, e financo con gli archetipi di bellezza femminea [non lei, sia chiaro] so come stanno le cose. e se questo significa pure far l'analisi sul punto dove sono arrivato pure nell'onirico: fanculo il regolamento.