Wednesday, December 31, 2014

sui paradossi del '14

l'ho iniziato garrulo et speranzoso. davvero con una sensazione di novità che avrei avuto davanti, come le praterie del vecchio farvuest. erano solo sensazioni, ma con poca pragmatica e prospettive realmente concrete. credevo fossero lì lì. e invece ci son voluti mesi.

il momento più brutto è stato nel tardo pomeriggio del 21 di maggio. lì ho vestigialmente mandato afffffanculo il progetto più fallimentare mi sia capitato di principiare. non è stata un'epifania al negativo, ma il prendere [finalmente] atto di quanto la mia vita si fosse azzavorrata negli ultimi anni. [la vibù ci era arrivata prima a capirlo, ma nel gioco delle interlocuzioni non lo sapevo io].

e poi sono venute settimane cupe. molto cupe. il paradosso era che bisognava passarci attraverso per sbucare poi fuori dal tunél. o quanto meno vederne il baluginio in fondo a. è stato durante una birra, verso la fine di settembre. forse quello il momento, l'attimo più felice.

perché uno è comunque sempre in cammino, come la storia dell'acqua di fiume che sembra che è ferma ma hai voglia se va. e tutto sommato, con tutte le cupezze di quelle settimane cupamente da orso, ho tenuto botta. perché sono circondato da amici che probabilmente non merito del tutto, o forse sì, ed in fondo potrei anche evitare di farmi di queste domande un po' così, psicopipponiche. e perché un po' di quel cammino me lo sto percorrendo consolidando consapevolezze e facendo via via pace con me medesimo: che poi odg mi dia una mano è assodato, come il fatto sia assoldata acciocché.

ho letto compulsivamente un sacco di libri, e il paradosso è che lo facevo per carpire segreti [o evitare errori] per un'inesplicata volontà di scriverne, che non metterò mai in pratica, forse.
ho fatto qualche volta alll'ammmmmore, e il paradosso è che forse ho smesso di pensare sia un paradosso il fatto che financo io possa fare alllll'ammmmmore.
mi sono immerso in pochissimi bagni, e il paradosso è che volendo l'acqua potrebbe comunque andare bene.
ho acquistato, per generi indumentistici, solamente un paio di scarpe in offerta decathlon a 5 eurI, e il paradosso è che la vivo come una bellissima libertà il fatto di non provare più desiderio di acquistare cose per me.
ho costruito un piccolo muro per cintare un piatto doccia, con piastrellamento, come lavoretto estivo, e il paradosso è che quando mi han detto "fallo fare ad un altro" mi è venuta voglia di farlo.

ci sono stati per mesi le condizioni per sbandare: tanto e pericolosamente, e il paradosso è stato che quanto più me ne rendevo conto, tanto più mi accorgevo non avrei sbandato.

il libro più bello "espiazione".

e poi un sacco di psicopippe, interlocuzioni, confronti, brindisi, passeggiate per eventi più o meno culturali, solitudini piacevoli, e compagnie garrule, poca ma selezionata gente, traghetti da e per le due case che non so mai come chiamarle quelle due abitazioni, meno post e piuttosto meno incisivi.

non sono riuscito nemmeno quest'anno a scattar foto di nudo: peccato. è un qualcosa che vorrei riuscir a fare pria o poi.

ed infine son tornato a far il dipendente. seppur con la coperta di linus di raccontarmi essere un libero professionista. situazioni decisamente più pragmatiche di qualche mese fa. e soprattutto una ritrovanda indipendenza economica. e però è come se fossi meno sognantemente fiducioso. forse è un paradosso. forse è arrendersi al fatto l'ozio creativo da bohemienne non mi ha portato quella sussistenza che speravo [fiducioso, appunto] all'inizio. forse sono troppo stanco per provar emozioni e sensazioni più o meno forti: perché dal quasi nulla ora devo fare troppo. sarebbe tanto quel solo lavoro, provo a farne  più di uno.

io non so cosa sarà l'anno prossimo, che peraltro è dispari. non pianifico più nemmeno cosa sperare. in fondo è la solita convenzione si giri un calendiario. mentre siamo acqua di fiume. so che devo divenire, provando a trovar soddisfazione a far del mio meglio. e poi ci saranno gli amici, i brindisi garruli, i libri, le solitudini quiete, le psicopippe. il tentativo di provarci, insomma. hai detto niente...

Wednesday, December 24, 2014

sticazzi. pure il post natalizifero. o natalitalizzante. o quella roba lì.

stordirsi di lavoro ha funzionato fino a metà pomeriggio. o forse la stanchezza ha sopraffatto perfino lo stordimento. sta di fatto che alla fine ho ceduto alle lusinghe malinconiche della natalifera trappola.

e di fatto ho avuto una specie di crollo verticale. son caduto in piedi, ovvio, ma non ho resistito.

non credo sia la cosa del natale in sé, figurarsi. ma l'aura condivisa, la maieutica surrettizia, il mainstream emotivo. quel mescio di situazioni che allertano inconsciamente i depressi, i claudicanti dell'incedere dell'esistere, gli incerti del proprio esserci. per soffiare i gingolllebbeells delle nenie più o meno cinicamente tristi, che acclarano la pesantezza del proprio esser soli: dentro e fuori.

che poi la solitudine fa comodo in molti altri momenti, ad esser onesti fino all'essenza. e nemmeno per onestà intellettuale, ma anche solo per ovvio buonsenso non lo sono, solo intendo. sta di fatto che mi è partita la canocchia condivipeistica. e chiamerei un po' chiunque. o avviserei ognuno. anche solo per ricordare che ci sono ed aver conferma che ci sono per loro. insomma: queste buche di autostima sicurezzevole qui.

evidentemente non c'entra molto con la storia del gloriaddddddionell'altodeicieli.

ma ha ben più a che fare con la pragmatica intima delle melanconie dell'umana psiche. anche se la parte raziocinante [che irrora irrora quella emotiva] confida immanentemente nella pace in terra degli uomini di buona volontà.

e nel frattempo fatevi un buon fottutissimo natale.

Friday, December 19, 2014

vivalavoce

non resisto. voglio adamantare il momento. prima che finisca la prima canzone.

è stata una giornata dura. voglia di mandare un po' affffanculo. perplessità sul fatto stia facendo una cosa pesante e che non mi entusiasma. circondato da una tarskfors delisticazzi, di gente di una banalità mediamente sconcertante, dall'alto del mio snobbismo orsico delistocazzo.

poi a casa lavoro di nuovo. pensando a stupide invidie di coloro che si pensano così troppoimigliori nella loro mediocrità sconcertante [diversi da quelli di cui qui sopra, già sfanculizzati in potenza, peraltro].

insomma. un po' di coglioni girati.

e poi metto su il nuovodegre: vivavoce [qualche settimana fa era in tivvvvù, assieme a ligabue da fazio. che banalità sconcertanti anche ligabue e fazio, in confronto]. albummmme che tecnicamente ho regalato, e non so quanto sia giusto, nella gestione delle mie nevrotiche cose simboliche, ascoltare come copia.

ecco. appunto. e parte la prima canzone. e ti si spalancano le emozioni. come una boccata d'aria di un giorno che stai in apnea. cazzo. come riprendere a respirare dentro. o come quando cammini in montagna e sei in debito di zuccheri. ecco: la sensazione della prima ciuciata alla caramella che ti passa l'amico.

nel frattempo è finita la prima canzone. e proseguo ad ascoltare. e lavoro. che tutte le altre mediocrità sconcertanti vadano afffffffanculo. tanto orso sono, e rimango. però intanto respiro. o ciuccio la caramella.

[updt.
quel psicocommerciale di ligabue si è infilato in "alice". quando rientra il degre la banalità sconcertante di quell'altro s'acclara, rilucentemente. che vadaffffffanculo pure lui]

Wednesday, December 17, 2014

la strage degli innocenti

son talmente stanco che non riesco a metter in fila un paio di idee sensate.

devo pulir i sanitari del bagno per far scattare una mezza psicopippa, in un baluginio di serena proattività.

da un certo punto di vista forse è financo meglio così. anche se, a valle delle criticità che quivi si vanno a definire - di cui ho fatto un psicopipponico detect, non riesce a piccolorilucere come mi par di riuscire a gestirle, le criticità intendo. vabbhè.

in compenso stamani ho ascoltato la rassegna stampa. il fatto è che è stato un quarto d'ora dopo aver ascoltato il causticissimo gianmarcobachi fare il suo personalissimo, e commovente, editoriale sulla strage di ieri a peshawar. la strage di 141 innocenti. e nella rassegna stampa quella notizia scivola piuttosto in basso, troppo in basso.

ora. non avevo davanti i giornali, quindi non so se è una scelta del giornalista che ha fatto la cernita. nel caso che vadaffffanculo quel giornalista. se invece è scivolata nel fastidioso tagliobasso delle prime pagine, allora che vadafffffffanculo mediamente la stampa: così impegnati a star dietro le psicopippe lagnose di questi autorefenziatissimi. [non starò diventando mica grillinico, vero?]

Saturday, December 6, 2014

e scivola il sole, al di là delle dune

il puntuale ed epistemiologico michele mi ha ricordato cosa ha detto veronesi. la sua recente chiosa sulla non-esistenza diddddddio, osservando la casualità di come colpiscono e come si comportano i tumori. michele, che peraltro oggi compiva gli anni, ha usato il punto esclamativo dell'ateismo, a chiosa di un suo pensiero su di te. un pensiero che arraspa dietro di sé tanta compassione commovevole.

io metto più spesso punti di domanda alla fine del mio ragionare. e naturalmente il mio agnosticismo non mi supporta a cercare chissà qual tipo di spiegazione. e probabilmente nemmeno dovrebbe farlo.

sta di fatto che andarsene così giovani e con un terzo dell'esistenza a combattere quella cosa che ti insorgeva ovunque, non trova, come al solito, una risposta che valga la pena essere razionalizzata.

la tua malattia, così geneticamente inestirpabile, ti ha preceduta. prima di conoscerti mi dissero di quello cui eri già passata in mezzo. si percepiva una levità, che parevi trasmettere. forse per come percepivo chi me lo raccontava, forse percepito da chi me lo raccontava e che ti conosceva. forse perché la vivevi davvero.

ti ho visto, prima che dal vero, in una foto. tenevi in braccio la tua cuginetta. quella foto mi ha colpito. più bella di come mi ti avevano raccontato, più commovente di come mi aspettavo, sapendo che cosa avevi già passato. in quella foto hai un sorriso ampio, e gli occhioni vivi, pieni di qualcosa di importante. non so se, quando la scattarono, avevi già scoperto, intuito cosa avresti vissuto. e se avevi già scatenato quella voglia di farcela e di lottare con energia vitale. tanta energia vitale, perché è stato durissimo quello che hai combattuto e che hai affrontato. roba che nella mia debosciata irrequietezza sarei stato spianato molto prima. roba che tutti i riverberi dissonanti e anisotropi, che mi destabilizzano ancora con un paio di tuoi familiari, sono cosa che ci si vergogna considerare. anche se l'eco mi dà tutt'altro che serenità.

te ne sei andata. era una cosa che tutti avevano più o meno messo in conto avrebbe potuto succedere. non ti conoscevo nemmeno così bene, e sono ormai lontano da chiunque della tua famiglia. però oggi non pensavo di accusare così il colpo. poi ho fatto un bel mescione con altre titubanze mie, più o meno congiuntural-esistenziali-lavorative [bagatelle, ovvio, davanti all'irreparabile], e molta stanchezza. sta di fatto che ho pianto per quasi tutta la seduta con odg.

poi sono stato a teatro, ad ascoltare una piece ispirata alla "buona novella" del faber. la cosa più vicina al vangelo mi emozioni.
ti ho pensato molto. e ti ho salutato lì. domani sarà solo un agorafobico rito che presenzierò, con tutte le dissonanze che cercherò di evitare. hanno cantato anche quel verso, quasi alla fine del "testamento di tito". il sole che è scivolato al di là delle dune, a violentare altre notti. e non ci possiamo far più nulla. senza un senso che possa illuminare chissà che a dargli un senso.

però, agnosticamente, in tutta l'immanenza che da stanotte è solo nostra e non è più tua, c'è anche l'ultimo verso di quella canzone.

Sunday, November 30, 2014

determinazione dei problemi

domattina finisco la mia parentesi para-bohemien.

è durata complessivamente 14 mesi, giorno più giorno meno. la fase asfittica finale di un progetto aziendale che non è mai decollato veramente, che è stata una zavorra emotiva, nervosa, di speranza. un accrocchio il cui fallimento era scritto nei prodromi costituenti. mi sono fatto un culo pazzesco - imparando, invero, un sacco di cose nuove, e non solo tecnologiche. l'altro giorno ho fatto un conto della serva di quanto mi sia costato tra cash versato e mancati guadagni. dovremmo essere abbondantemente oltre la centomila.

aveva, come indubbio vantaggio, il fatto di permettermi di gestire abbastanza agevolmente il tempo. anche solo per decidere in quale periodo di una giornata lavorare anche 11-12 ore, nei passaggi più hard di taluni progetti.

domani invece si cambia. tornerò ad essere un para-impiegato, dove ci si aspetterà che più o meno a tal ora dovrò stare in un punto preciso. siccome sono un incrocio tra un pirla ed un'anarcoide snob è qualcosa che mi pungola, dentro. per fortuna si impara a gestire anche questo tipo di pungoli [cfr: "e non solo tecnologiche", di cui sopra]. però fatturerò alla fine di ogni mese una tariffa oraria più che dignitosa. e proverò a portar avanti qualche progettino mio, che nel mentre ho rimesso in circolo, dopo che la testa ha fatto click[on]. insomma: libero professionista [finalmente] meno libero. mi farò un gran culo, ma potrebbe financo essere che troverò un riconoscimento, quanto meno economico. non son diventato avido. ci ho smenato un sacco di soldi, devo rimettere fieno in cascina.

in questo contesto neo-lavorativo ho intravisto un paio di potenziali criticità. vedremo, dovessero acclararsi come risolverle e/o gestirle.

questa sera sono un po' nervosetto. credo sia un po' come quando non ci intimitizza con una donna per anni, quando si arriva un po' prima del momento topico che si ri-finisce nell'intimità, ci sta che uno sia un po' teso.

per chiudere la giornata, e il periodo bohemien mi guarderò "gazebo" della domenica.
dopodiché, domani sera, me lo riguarderò con altro spirito.
[un bel respiro... e si va...]

Tuesday, November 25, 2014

problemi secondari, et alter


io credo che renzi stia dicendo una cosa tutto sommato vera, quando afferma che l'affluenza così bassa nelle ultime elezioni è un elemento secondario [o problema secondario].

secondario perché il nuovo trend maggioritaristico, sulle nuove leggi elettorali advenienti, tendono ad andare sempre più verso corposi premi di maggioranza. si arriva per primi, si piglia molto di più della proporzione dei voti effettivamente presi.

secondario perché nel momento in cui si è objective-driven dalla propria visione escatologica, in quanti ti votano, che siano pochi o tra i tanti, cambia poco: basta siano di più. l'obiettivo fondamentale è cambiare l'italia, chi ci sta ci sta, gli altri facciano un po' quello che credono. sono elementi secondari, appunto. si deve ribaltare tutto: quando sarà fatto, saranno in molti ad ammetterne il merito del risultato, a partire da chi non ha partecipato - elettoralmente e non solo - a riconoscere quel primato, quella chiamata, quella missione.

non è un problema piacere a [relativamente] pochi. perché è grazie alla maggioranza di quei pochi che si può dare il la a tutto il resto. ed è secondario che quel resto passi da istanze, o da altre: basta che attirino quanti più potenziali votanti. il fatto che ora plauda un determinato blocco sociale è semplicemente perché è quello che ha un bacino di voti più ampio.

l'esercitare il potere per il potere, ma precipuamente come pre-condizione per aver la possibilità di compierla, quella visione escatologica.

che siano pochi a dargli la delega, non è così importante. basta avercela. tutto il resto sono elementi secondari. massimo rispetto, neh?, ma chiacchiere. bisogna cambiare l'italia. ha una sua logica.


o forse semplicemente, dal punto di vista comunicativo-retorico, è una paraculata.

Sunday, November 23, 2014

daje sam...

tra poche ore samantha cristoforetti sarà la prima donna astronauta italiana a varcare le soglie dello spazio. son poco più di 400 chilometri, ma fanno una fottuta differenza. e se ne starà su là per sei mesi.

ho seguito con la coda dell'orecchio il seguito mediatico dell'approssimarsi al lancio. poi 'sta sera son rimasto incollato alla tivvvù un po' per colpa di quel gran affabulatore di fazio, un po' perché c'è di mezzo l'astronautica, e per di più italiana, e per di più donna, la prima.

son rimasto sorpreso dall'emozione, che non mi aspettavo, che ha riverberato all'inizio quasi di sottecchi, per poi riverberare.

credo il fatto sia italiana c'entri, ma fino ad un certo punto.

che sia donna, invece, è una cosa che mi riempie di molta garrulità. perché si riempie - pocopochissimo, ma si riempie - il senso dell'andare verso una parità che è lunga da venire. [le donne sono mediamente migliori degli uomini. per quanto, quando fanno danno, possono farlo meglio degli uomini, quindi peggio in termini assoluti].

ecco. samantha è quel genere di donna che nella sua acquaesaponità mi spingerebbe a girarmi e guardarla meglio. saranno gli occhietti. sarà che dev'essere di un'intelligenza spaventosa - quanto meno quella logico-formale. boh. in una vita e nevrosi precedente non escludo mi sarebbe titillato il desiderio di approssimarvici con finta indifferenza mediante le misture della rete internettara. posto che ora penso pensi a tutto tranne che gli uomini, nel senso di maschi.

eppoi c'è la storia dell'astronautica. l'affabulatore faziesco ha suggestionato una cosa interessante, 'sta sera, ai sei astronauti italiani presenti in studio. l'astronauta rappresenta una delle sommità di essere adulto, in termini di preparazione psico-fisico-intellettuale-tecno-scientifico-operativo. e quella sommità di adulto prende per mano il bambino che è stato ogni astronauta, quando ha sognato di diventarlo, astronuauta.

io non l'ho mai sognato. però di poter far un'attività - professionale - legato all'astronautica sì, eccome. l'acme delle mie aspirazioni da quattordiciquindicenne era quello di finire a controllare una missione dello sciattttol. e mentre ascoltavo le sensazioni emozionate un po' paracule di fazio ho provato a pensare perché si sia così attratti dal volo spaziale.

e ho voluto trovarci una risposta a-scientifica, molto suggestionevole, quasi di riverbero evocativo. oltre al fatto di guadagnare la terza dimensione, e volare, c'è il fatto che è una specie di eco dell'andare verso casa. nel senso di casa casa, l'origine. da dove noi si viene. non è il regno dei cieli opportunamente codificato ed incul[c]ato nella nostra tradizione culturale. ma il fatto che - molto verosimilmente - le componenti organiche sono arrivate da lassù. cometa, asteroide, corpo celeste, qualunque cosa sia stata i mattoncini ce li hanno portati da lasssssssssù a quaggggggiù.

forse è anche per questo che ci affascina tanto lo spazio profondo, che è anche uno dei modi più semplici e sensitivamente immediati di concepire il concetto di infinito, di cui siamo colmi. e da dove - molto verosimilmente - si viene.

daje sam, molta garrulità con te. sarai un filo più vicino casa. nonché con la fortuna di intuire - anche fenomenologicamente - si sia tutti sotto lo stesso cielo, roba che i confini tra nazioni e genti sia una delle cose più distoniche ci si sia potuti inventare, noi piccoli mocciosetti che siamo.

Tuesday, November 18, 2014

le fontane, la disperazione, l'ottimismo


questa è una fontana. a parte la forma un po' sui generis, parrebbe una fontana come miGlioni di altre.

poi ci sono le valenze riverberanti dei simboli, che usano come appiglio fenomenologico alcuni oggetti, cosicché questi trascendano dalla mera realizzazione e percezione sensibile. smettono di essere cose, per quanto finemente manufatte, ed acquisiscono un portato che va ben oltre.

questa fontana è stata posata, di notte, il diciottodinovembre di qualche anno fa. ad essere precisi sei anni fa. in sei anni succedono miGlioni di cose, un po' come il mondo che, in fondo, non è più lo stesso di allora. così come il mondo, nel mio piccolo punto angoloso, si è un po' ribaltato nove anni fa. più o meno in questi giorni.

ieri, proprio ieri, matreme, che è una tecnologa epppppol-soscial-addicted, ha pubblicato una foto di mio padre su feisbuch. in quella foto è ritratto alla somma di una vetta, quota quasiquattromila, suona la grancassa, duetre anni prima che se ne andasse. quando l'ho vista con tutti i commenti un po' mielosi dei soscialamici, ho provato un po' di imbarazzata vergogna. peraltro già le avevo condiviso la mia riservata perplessità a pubblicar quel genere di foto con quel genere di commenti in quelle ricorrenze. mi ha ribadito, sacrosantamente, di non condivedere quel mio punto di vista. e ci mancherebbe.

poi ci ho ripensato. e ho constatato che in fondo lo faccio pure io. con le mie snobbissime differenze un po' diamesiche, diastratiche, diafasiche. perché di post che raccontino quel punto angoloso ne ho scritti, eccome. e cambia poco lo abbia fatto da dietro un nicccche, e filtri per sfinimento i miei fruitori, pazientissimi.

cosa c'entra tutto questo con quella fontana? c'entra.

anche perché si porta dietro una storia bellissima, a mio parere. talmente bella che tornai apposta da milano per esserci quando venne posata, di notte, a mo' di sorpresa e di omaggio alla popolazione dell'hometown. riparava un torto che l'hometown aveva subito. qualcuno di notte, anni prima, l'aveva rubata, verosimilmente su commissione. qualcuno di notte l'ha rimessa. una copia, ovvio, manufatta utilizzando il marmo rosa di candoglia, come l'originale rubata. per chi non lo sapesse è il marmo con cui è fatto il duomo di milano, la cava viene coltivata solo per le manutenzioni della cattedrale: materiale preziosissimo, ormai.

chi l'ha realizzata è riuscito a recuperarne un metro cubo - i preti, grandissimi maneggioni - proprio per rifare quella fontana. e posarla il diciottodinovembre. per dedicarla a colui che se n'era andato quel giorno qualche anno prima. un prete del santuario lì accanto. uno dei pochi preti di cui ho un ricordo bello, un vero pastore. emozione e condivisione con l'artigiano-artista, piuttosto scettico pure lui in ambito religioso. poi c'è la memoria delle persone, preti o meno, che ci precedono. il diciottonovembre, per caso, è anche il giorno dei funerali di mio padre. e la persona che l'ha pensata e realizzata mi disse, quando glielo feci notare, che in fondo abbiamo già vissuto nel calendario il giorno in cui ce ne andremo, e il giorno in cui ci faranno il funerale. mi è sembrata un qualcosa di financo rassicurante.

e quindi un po' la sento anche mia, quella fontana. quanto meno il valore simbolico che si porta dietro. il ricordo di quel funerale, che fu una testimonianza importante della hometown a mio padre. il materiale con cui è fatta, nel mio campananilismo meneghino, che significa un sacco di altre cose. il dono, per rifondare un danno. che a provocarlo, il danno, ci vuol poco, e ne gode asfitticamente uno solo. per rimediare ci vuole molto più lavoro, ma ne godono un po' tutti: soprattutto se lo si desidera, e se ne si è consapevoli. istanze, peraltro, accessibili a tutti.

il construens declinato per il noi, che parte dai punti angolosi. il disperato ottimismo. cosa che, accidenti, a mio padre non mancava mai, per una ragione che giorno dopo giorno provo a sintetizzare a mio modo. nella mia peculiare differenza rispetto a lui.

nel caso ci scrissi un articoletto, sei anni fa, pubblicato  nella rivistina locale. non racconta molto di più di questo sbrodolosissimo post. però mi piaceva condivedere pure questo. è qui.

Wednesday, November 12, 2014

post garrulo per il genetliaco dell'amica viburna

questo è un posto genetliaco. come scrivevo quando prima avevo un blog.

cioè. non è che non l'abbia più un blogggghe. d'altro canto che stareste e leggere, o Voi compari della mia orsitudine bloggghica. però, ecco, come dire, di là scrivevo in un certo modo perché aveva una certa percheenza. poi quella percheitudine è venuta un po' meno. e quindi ho smesso di scrivere di là, e quindi scrivo di qua. peraltro l'ho iniziato un giorno particolare, questo blogggghe qui intendo. che non ricordo se lo scrissi quel giorno, il perché. ma scelsi un giorno particolare. quello della scalata che solitamente faccio con un lanternino assieme a molti altri, l'ultimo sabato di gennaio. dal mio punto di vista l'inverno comincia a finire lì. che poi tecnicamente non è una scalata, benché il termine che può scivolar fuori per variazione diatopica, o perché non si ha il concetto di montagna dentro, o cose così [cose così, per chi non lo sapesse - mi è stato detto - è un device retorico].

missà che mi sono perso.

agggià.

il post genetliaco, che però non è propriamente come gli altri post genetliaci dell'altro blogggghe [varazione tra il diafasico e il diastratico, dentro]. ecco, faccio auting: in fondo quell'altro blogghe era un po' diverso perché ero diverso io, o forse dovevo capire un po' di cose tra me me.

faccio sommessamente notare che un poco ho capito, ragionevolmente, di alcune cose anche grazie alla viburna. che oggi compie gli anni, e quindi non potrà tanto menarsela per il fatto si sia quasi coetanei. no. no. come mi insegna le parole sono importanti, così come leggere bene le parole che si scelgono oculatamente e che è giusto riportare: sono poco più di tre mesi, e si scavalla l'anno. quindi sarò un più giovane di lei, anche contabilmente. tze.

però, al netto di questo mio revanscismo in sessantaquattresimi, alla viburna voglio molto bene. eccome se gliene voglio. chissà, forse in un altra vita avremmo potuto fidanzarci o addirittura compagnarci: non oso pensare quale marmoccaglia avrebbe potuto venir fuori. o magari, addirittura, avremmo potuto diventare amanti, ed quindi financo scambiarci dei baci alla francese. anche se ho qualche ragionevole dubbio avremmo altresì impiegato il tempo a psicopipponeggiare, speculando sui massimi sistemi della sociolinguistica piuttosto che dell'informazione mainstream piuttosto che le intelligenze relazionali o cognitive e quant'altro, e rispondere alla domanda "ma c'è gusto in tutto questo?" con un "assolutamente!".

poiché però la vita è quella cosa che ti capita quando sei intento a pianificare le cose, la viburna sta a 600 chilometri da qui. e benché qui o si portano appresso quella sdrucciolevolità della deissi, si capisce che è oltre la mezz'ora di metropolitana. quindi niente pensieri strani. anche perché la logistica potrebbe complicarsi.

poi, lo confesso, a volte è una scassaminchia tassonomica, che quasi riesce ad avvicinarsi alla mia di scassaminchievolezza. peculiarità che mi contraddistingue unitamente al mio carattere spigolosissimo. la sua ermeneutica a volte non copre la mia cazzosità. ci facciamo di quei pezzi che pure i bitte delle chattate secondo me un po' sono intossicati. la cosa che non mi spiego del tutto è che comunque, poi ci si ritrova - con variazioni diacronica sul concetto di "potevi farti sentire prima" - e superati i primi impacci ci si chiede: ma perché ci si era scazzati?

la viburna è e sarà sempre una persona importante. 'sta cosa qui non gliela leva nessuno. dovessimo non chattarci più da ora. perché, che ne so [altro device], non dovesse essere soddisfatta di questo post o delle variazioni sui pezzi che troverà vagolanti sulla nuvola internettara. è un'intelligenza titanica dentro un guscio fragile. solo che poi viene fuori che si titanizza anche il guscio. posso confessarle che ho sperimentato su di lei come provar a far sciogliere, in una nuvola rossa di pragmatica, le mie nevrosi perfezionistiche. e che funziona anche grazie al suo titanio di intelligenza, e il suo guscio fragile.

a volte non sono un compagno psicopipponico all'altezza. una con un'intelligenza come la sua saprà farsene una ragione. cosicché io possa impararci qualcosa. e saper vederci così lungo, come un coach navigato, che continua a valere quel verso di quella canzone dolcissima: la figlia del dottore è una maestrina, e mi piace poi tanto quel suo modo di fare.

[post]olofrasticamente auguri, vibù.

Sunday, November 9, 2014

quando venne giù il muro.

cazzo. son già passati venticinque anni. tecnicamente volevo fuggire il ricordo, mica per altro, ma la contabilità del tempo che passa l'eviterei. e forse anche perchè cerco di riprendere l'equilibrio in posizione eretta in questo complicatissimo presente, financo fiduciosamente. e quindi il risucchio nel passato potrebbe distrarmi a recriminar su quel che non è stato, quindi di nuovo passato. mentre vivo nel presente per andare nel futuro. non cerco l'oblio, figurarsi: dimenticare mai. però non avevo intenzione di rievocare.

poi però ho ascoltato un po' di radio stamani.

ed è stato un turbinio di emozioni, di sensazioni, di impressioni stampate così bene in testa che per un attimo mi son sembrate roba di ieri. invece sono venticinquecazzotantissimianni.

la trasmissione alla radio è stata la riproposizione del servizio del gierre di radiopopolare di venticinque anni fa, fatto dal corrispondente a berlino. il fatto è che è lo stesso corrispondente di oggi, così come la sigla del gierre: la qualità del suono fa un po' cacare, ma hanno imparato ad equalizzare meglio solo pochissimi anni fa.

ecco. la cosa che mi ha colpito è che io venticinqueannicazzotantissotempofa non sapevo neppure esistesse radiopopolare. e comunque non l'avrei ascoltata, per ragioni ideologiche o qualche poltiglia di roba che le si approssima. la corrispondenza di allora di walter raue era carica di emozione nota, così come l'impressione di essere in una di quelle paraboliche della storia che ti fanno dire: uau, cazzo, ci sto passando attraverso. lui che peraltro, avrei banalizzato allora, era il corrispondente di una radio di comunisti e là, a berlino, i comunisti stavano abbassando le braghe, perdendo la faccia. però ho avuto la sensazione ascoltandolo oggi fosse la stessa emozione che provai io allora, e che è risalita sususususù velocissima. tanto da pelledocarmi tutto, oggi venticinquecazzotroppissimiannidopo.

e credo d'aver intuito il perché. anche se poi sarebbero due, i perché.

il primo, quello più delle visione banale, era che il mondo sarebbe diventato un posto migliore. e non solo, succedeva quando io stavo per rullare sulla pista di decollo del mio diventar adulto: il mondo che avrei partecipato attivamente, da lì a poco all'università, e poi ingegnere [a quei tempi, mi sembrava fico sapere di diventarlo], e così via. il mondo mi si stava spalancando migliore, e capitava a me. cosa che forse era financo giusto accadesse: è il solipsismo egotico dei giovani. cadeva l'impero del male, trionfava la libertà, la giustizia, la democrazia.
occhei, occhei, occhei!
mi par ovvio che non sia andato affatto così: a partire dal fatto non credo sia così fico essere un ingegnere, che sarebbe la cosa meno ingenua tra tutte quelle che pensavo. il mondo non è affatto un posto migliore, anzi, e per quanto credo si faccia mooooooolta fatica non rimpiangere quel blocco che è venne giù, perché non poteva non venir giù. più che l'impero del male, era l'impero dello stantio catafalcesco. dove, tra l'altro, troppi diritti venivano  sì, insopportabilmente, negati. per i cinici che comandano il mondo, i vincitori temporanei di una guerra, fredda, quelli che sono una delle prove che non esistono poteri buoni, per loro era un effetto collaterale. la storia dei diritti negati, dico.

e invece è la scintilla fondante di quell'emozione di oggi, tale e quale a quella di venticinquennifa. perché su tutto credo sia difficile non ricordarsi la gioia di quelle persone che cominciarono a venir di qua. l'emozione, la sensazione per la vertigine che dà la libertà, nelle varie declinzioni, dopo che ne sei stato privato. l'intuizione che si stavano realizzando quelle istanze che permettono ad un uomo di esserlo compiutamente, per il fatto si dia il la ai suoi diritti: che non a caso si sono detti fondamentali. è la prima boccata d'aria dopo l'apnea, non si ha tempo di valutare il dettaglio di quello che sarà effettivamente. a partire dagli strani giri che la libertà può permetterti di fare. tipo le prime cose che molti fecero, allora, cercando di approvvigionarsi coi simboli di quell'occidente che vedevano al di là del muro [altra testimonianza alla radio, stamani, nel ricordo di allora]. come primo segno tangibile di quella specie di libertà il fatto di acquistare i levis, le nike. in fondo è come ri-cominciassero daccapo con la nuova identità di donne e uomini: omologhi ai bambini che strutturano il loro esserci anche grazie al desiderio di posseder i giocattoli. non era il trionfo del capitalismo, era che erano disponibili gli oggetti per sentirsi parte nel mondo che immaginavano migliore del loro.

è stato quello che mi emozionò allora come oggi. quel momento in cui si concretizza la presa di possesso dei propri diritti, quanto meno di alcuni di questi, fondanti. come una specie di conferma di essere donne e uomini con più completezza perché s'incarnano quei diritti inalienabili, connaturati nel fatto una donna ed un uomo siano. è una delle conquiste dell'umanità più importanti, la teorizzazione organica di quei diritti. il fatto oggi non siano rispettati tutti e per tutti non toglie nulla all'importanza di quella conquista. non foss'altro che è il dipolo positivo che crea la differenza di potenziale che spinge l'umanità da quella parte. perché è di lì che si sta andando. e il fatto noi non lo vedremo non dimostra nulla. alcuni tempi sono più ampi dei nostri, ma poi accadono.

la cosa curiosa è che proprio in quei mesi, venticinqueannifa, stavo prendendo consapevolezza di quelle cose lì. della pietra fondante che sono i diritti fondamentali dell'uomo. ecco, quello dev'essermi riuscito meglio, perché lo sento netto ed inequivocabile come allora. ed è anche su questo che ho scoperto il mio essere ontologicamente di sinistra. mi emozionavo, allora, anche perché ero di sinistra, per quanto non lo sapessi ancora, e non ostante si stesse sgretolando il blocco comunista. anzi, senza il non ostante: non c'è contraddizione. essere di sinistra parte da ancora più indietro, e porterà ancora più lontano.

Tuesday, November 4, 2014

buon lavoro [per chi ce l'ha e per chi non ce l'ha, e per banalissima fazenda dell'articolo 1]

sono stato a teatro. ovviamente aggggratis. ne avevo già sentito annunciar per radio. avevo mancato l'appuntamento. a 'sto giro però no, ci son riuscito. e ci son andato con financo una 'nticchia in più di convinzione, quasi di simbolico afflato.

per la storia del fatto che un lavoro si sta nuovamente modellando, e probabilmente sarà anche pagato. e quindi ritornerò ad avere una certa dipendenza economica. e magari smetterò di sentirmi impaurito a mia insaputa.

e poi per la storia che "c’è un disegno calcolato con cui si vuole dividere il mondo del lavoro e fare del lavoro il terreno sul quale spaccare in due l’Italia". solo che alle dietrologie complottistiche non ci ho mai creduto tanto. e non perché le acclarava il nano coi capelli di kevlar, o il buffone sputarabbia. ma perché son complottismi dietrologici. non è questione di chi li esala.

comunque.

lo spettacolo si chiama "buon lavoro". e questo qui sarebbe financo il sito del progetto. occhio, roba forte, non si parla di di imprenditori intavolati che creano il lavoro, e tra i promotori addirittura c'è la cgil: giusto per farché io possa far il disclaimer, faccia invece la tara chi va avanti a leggere.

tecnicamente gli attori hanno messo in scena gli incontri, la condivisione di tante storie di lavoro: quello che riempie la vita, che si ricorda con nostalgia, che riempie d'orgoglio, che spezza la schiena, che fa piangere di rabbia, che fa commuovere a tratti, quello che si cerca, quello che si trova sbrindellato. il lavoro precario, quello non c'è, quello flessibile, quello stabile, quello che bisognerebbe chiamare schiavitù, quello tutelato, quello che è cambiato, quello su cui si dovrebbe fondare la repubblica. insomma, la fazenda banalissima dell'articolo 1.

i ragazzi sono bravi, davvero. leggeri e pregni, quasi comici seppur amaramente, a tratti. ognuno una declinazione del lavoro e delle persone che vi e lo "lavorano". e poi assieme un'unica voce narrante polifonica. elisabetta vergani si prende il carico delle storie più intense, quelle che tolgono il fiato: un po' perché è brava lei a raccontarle, soprattutto per quello che raccontano.

ascoltavo, mi emozionavo e nel mentre mi sovvenivano un paio due cose.

di quanto sia fortunato anche in questo. che ho [ancora] possibilità di farne soddisfazione, di quel che mi posso inventare nel e per lavoro. con tutto il senso più profondo di quello che rappresenta, grazie anche alle nuove consapevolezze.

e di quanto sia ampio lo iato [nel senso di taglio, frattura] tra la classe dirigente "politica" e questo ambito: incidentalmente una grande fetta di quelle cose che danno dignità ad una donna ed un uomo. io non so quanto sarà cuuuul ed efficace questa riforma del lavoro, che se si chiama in inglese fa più fico. né so se e come si stia cambiando verso, invece che essere solo un altro degli slogan hashtagggggati. per affrancarmi dalla sindrome tafaziana tanto cara alla sinistra, e per un ecumenico buon senso dovrei augurarmi sia qualcosa di sostanziale e di effettivo. dubito sia esattamente così, e non è perché sia di sinistra, che ora pare faccia ancora meno tendenza. però, in fondo, basta aspettare per averne la conferma o la smentita.
so di per certo però che sarà fondamentale e quasi laicamente sacro passare anche di qui. per far sì che sia per sempre di più, per davvero, un buon lavoro.

roba da articolo 1, appunto.

Thursday, October 30, 2014

volevo scrivere un post sulla terza via. però ne ho appena letto uno simile. quindi scrivo dei nei.

la terza via era qualcosa che avevo vagamente e nebuolosamente in testa da quando ho scritto l'ultimo post. [poi la manifestazione l'ho seguita per radio. e faticavo a non percepirne l'afflato emotivo e  simbolico. ma è un altro discorso.].

resta il fatto che io non mi sento tanto rappresentato dalla camusso. così come non mi sento rappresentato da renzi.

e al netto della mia sociopatia, o snobbismo morettiano, o tafazismo catoblepico, o civatianismo vestigiale, ci sono dentro un po' di cose.

tipo.

in questi tempi, ci sarebbe bisogno di quante più istanze construens possibili: invece che lo screditamento reciproco, gli slogan idioti che aizzano le pance, e affumicano il ragionamento. che la necessità di costruire cose nuove è altrettanto importante che tenere la barra dritta su alcuni diritti: che non sono quelli a zavorrare questo paese, e che - soprattuttamente - non sono concessioni, perché altrimenti cesserebbero di essere diritti. e sarebbe un vulnus pericoloso.
che nel contempo si sono difese situazioni piuttosto indifendibili - perché essere un lavoratore non evita il fatto di essere anche emerita teste di cazzo - e che il nuovo non è automaticamente il meglio - però non basta chiamare imprenditori gli imprenditori, acciocché questo impedisca loro di essere di essere cinici o avidi padroni, o speculatori merdosissimi.
che alcune istanze che permetterebbero a questo paese pezzottatissimo di  progredire, sono idee di un paio di secoli fa.

che coll'aifòn si ha solo la possibilità di far cose fichissime, ma mica è detto che poi riescano così fiche: perché possono anche sminchiarsi le sinapsi a chendicrassshhh o comunicare con la persona che accanto con uotsapp. e che i paradossi sono parte della vita di ciascuno. così se un telefono pubblico - colla monetina - ti permette di chiamare il 118, che l'aifòn ti si è sminchiato quando ti sei cappottato, allora capisci perché la rete fissa è asset di una nazione.

[in effetti poi il post mi è venuto diverso. perché non parlo di nei. quelli del viso, soprattutto. cioè: volevo parlare dei nei sulla faccia. però se ne parlo in questo post poi viene troppo lungo. e allora lo scriverò poscia. sulla storia dei nei, intendo, e della mia ossessione contra a riguardo].

Saturday, October 25, 2014

la manifestazione del sindacato alla leopolda

la sinistra spaccata, anche dal punto di vista geografico, topologico.

che faccio? dove vado?

a firenze alla stazione leopolda? oppure me ne vo' a roma alla manifestatia singolaconfederata?

e pensare che a tratti starei da una parte, e forse anche dall'altra. a tratti, ovvio. 'ché avrei parecchie cose da dire, o meglio criticare, ad entrambi. che poi non le scrivo, anche per la solita storia che in fondo non interessano quasi neppure più nemmeno me. o non paiono così interessanti.

o forse c'è pure il fatto che è sempre più difficile trovare un posto dove poggiare, figurativamente, il culo. o picchiare la testa.

perché il cielo, o quella cosa lì, sa quanto mi piacerebbe vedere cambiare le cose. ma non sono così convinto basti annunciare di voler cambiare, acciocché sia necessariamente per il meglio.

perché difendere i diritti dei lavoratori è cosa sacrosanta. è che se non stai dietro come cambia il mondo, e quindi anche il lavoro, poi di lavoratori, ne difenderai sempre di meno. e peggio: anche perché non si sentiranno quasi più rappresentati.

perché alcuni dei nuovi paradigmi non mi convincono. perché la necessità dell'uomo solo carismatico al comando è qualcosa che mi irrita antropologicamente. e la parola partito, significa scelta. e il partito della nazione è una contraddizione in termini, oltre che idea proprio per un cazzo nuova. e a me piace scegliere, in taluni ambiti.

perché nell'istanza, sacrosanta, di tutelare chi lavora, è una confusione esiziale porsi pavlovianamente dalla parte di quello che non è il padrone. perché il mondo è molto vario, e quindi anche i lavoratori. e ci sono quelli che subiscono ingiustizie dal padrone, e chi fa i cazzi suoi alle spalle del datore di lavoro. e il discernimento, soprattutto in periodi di vacche molto magre, diventa essenziale.

perché se questo paese merita di fallire, fatico a non vederci nessun nesso causale tra la classe dirigente - tutta- che ha portato questo paese sul bordo del precipizio. e quindi è fondamentale cambiarla. e come sarebbe altrettanto vitale cambiare i comportamenti. ma se non la si cambia nel profondo, o nelle cose che sfuggono ai tweet dell'acclamazione, o parte della nuova classe dirigente sono talune mediaticamente belle presenze, e poco più: allora il precipizio rimane lì, qualche passo oltre. e chissà che farà il sacco di gente, fiumana rapita, qualche passo indietro [cit. makkox]

perchè se questo paese fallisce, pur meritandolo, poi ci sono gli ultimi che ne vanno fottutamente di mezzo. e per questo è meglio non fallisca. e se non è ancora fallito, però falliscono aziende, imprese. e dove non falliscono imprese ci sono imprenditori che fanno i furbi. perché esser furbo è degli uomini: lavoratori/collaborari o padroni/responsabili che siano. ma se sono quelli che comandano a far i furbi il riverbero è ancora peggio. e può capitare che sacco di lavoratori rimangono col culo per terra, qualcuno che porti avanti lo loro istanze è cosa buona ci sia.

domani non so dove andare. nel senso che farei molta fatica a stare a firenze, e mi spiace. così come farei fatica a starmene a roma, e mi spiace molto. perchè se è la sinistra che si divide, io mi sento ancora più diviso [e forse inutile] poiché proprio di sinistra mi sento. nel senso di partito, che ho scelto, o mi ci sono ritrovato.

farò qualcos'altro. non vado da nessuna delle due parti. ci sono quelli ancora più ultimi. o ci sarà pure un qualche diritto, sacrosanto, per cui metterci la faccia, gambe, presenza. ecco, proverò far quello. è simbolico quanto piccolo. però, piccolo più piccoli...

Tuesday, October 21, 2014

che cos'è la psicanalisi, e sticazzi. [e cronaca di una seduta destabilizzante]

ho testé finito un libercolo. si intitola "che cos'è la psicanalisi", di pier dacò, psicanalista di fama mondiale mi racconta la quarta di copertina.

l'avevo intravisto nella vetrinetta della biblioteca dell'hometown, sezione saggi. stavo registrando la mia dose compulsiva di prestiti, più overdosica del solito: dovevo partir per la vacanza sicula, pensavo avrei letto molto. - fermo lì - ho intimato al mio spacciatore di fiducia - piglio anche questo, anche se in copertina ci sta freud e non jung - . sguardo perplesso dell'amico bibliotecario.

naturalmente ho cominciato a leggerlo con avidità. anche se con sentimenti contrapposti, anzi diciamolo: zeligghianamente schizofrenici. già perché io divento un po' zelig quando fruisco i libri. mi immedesimo esistenzialmente nella cifra stilistica-evocativa dell'autore. il fatto è che coi romanzi la cosa funziona in un certo modo. sui saggi in un altro. sui saggi in ambito psicologicoEtAlter è un gran casino. e quindi a 'sto giro ero quello che contemporaneamente:
  • si sentiva addosso tutte le nevrosi che leggevo raccontare;
  • inspirava l'odore d'ambrosia del paziente che scopre la sua personalità e libera le energie psichiche;
  • partecipava in distaccata e commossa emozione ad ammirare l'aura dell'analista, ruolo complicatissimo, tremendissimo e altissimo allo stesso tempo.
poi per fortuna ogni tanto tornavo nella vita reale, ricordando la mia congiuntura strutturale, scetticamente fiduciosa e nel contempo psicopipponicaappppallla [e non sarà schizofrenia, però...]
  • da una parte non avevo ben chiaro cosa avrei potuto trovarci di così epifanico, anzi;
  • dall'altra [piuttosto che] cercavo il grimaldello che avrebbe potuto aprirmi lo scrigno di quel che stavo facendo, nel mio piccolo, con odg ed il percorso analitico con lei.
e quindi è stato un susseguirsi di letture intervallate da momenti di una cosa che può approssimar bene la riflessione. poi, il mare, la vacatio, il caldo coccolante, l'idea di una cena con un qualche manicaretto pescioso ha fatto il resto. naturalmente ho continuato a pensare a che punto fossi nella mia analisi, dei punti da sbloccare, e quel che ne sarebbe venuto.

e poi c'è stata la seduta. quella vera. quella dove mi son messo sulla mia sediolina, e non il classico ed iconografico lettino. ed odg non stava alle mie spalle acciocché io non potessi coglierne le reazioni [l'analista è apparentemente neutro, e non deve farsi travolgere dall'impeto emozionale del paziente, né tanto meno darne evidenza, per questo se ne sta alle spalle], bensì di fronte e me, con la scrivania importante di legno lavorato, come sempre. e difatti quando ho cominciato e le ho detto: "sto leggendo un libro, l'ho intravisto nella vetrinetta della biblioteca dell'hometown, sezione saggi. stavo registrando la mia dose compulsiva di prestiti, più overdosica del solito: dovevo partir per la vacanza sicula, pensavo avrei letto molto. - ferma lì - ho intimato al mio spacciatore di fiducia - piglio anche questo, anche se in copertina ci sta freud e non jung - . sguardo perplesso dell'amico bibliotecario" [[auto]cit]... ecco, lei ha inequivocabilmente fatto una faccia da "occcazzzo, ti sei lasciato abbindolare di nuovo. ci sei cascato come una pera cotta che cade dall'albero". d'altro canto se lei ce l'ho davanti, mica alle spalle, le reazioni le colgo. e penso per ragione della mia componente femminile elevata ["al di qua dell'eterosessualità" ho sempre affermato "avrò mica una omosessualità latente?" ho pensato durante la lettura] certe cose mi appaiono chiare, chiarissime. e forse ella stessa, odg dico, si fa carico di nascondere le sue reazioni, ma fino ad un certo punto.

e difatti la prima cosa che ha sottolineato è stata una mia sottolineatura. io non sto facendo psicanalisi, ma della psicoterapia. la psicanalisi è altra roba. a partire dal fatto ci vada ogni quindici giorni. e non almeno due volte la settimana: cazzo pretendi? [parentesi 1: non ha detto esattamente "cazzo, pretendi", però la sensazione del "ciccio, quella è roba diversa, io faccio altro" me la son sentita addosso, per quanto forse legata ad una mia difficoltà a far certe figure un po' barbine, unitamente la mia ossessione perfezionistica. parentesi 2: ecco perché in quel libro non emergesse mai la difficoltà, da parte dei racconti dei pazienti, ad affrontar la spesa dell'analista, che invece io sento eccome. e per forza, in analisi ci va chi è ricco, e ha un sacco di tempo a disposizione. io ho solo quest'ultimo, mentre posso andarci, appunto, ogni quindici giorni, di più diventerebbe oltremodo oneroso]. dopo tutti questi millemila mesi insomma è confortante aver le idee così chiare: lo sto dicendo con amara ironia, se non si era colto. e poi lei ha proseguito, altre considerazioni di grande buon senso sulla mia congiuntura che s'innesta in qualcosa di decisamente più pragmatico, fattuale, legato all'agire, al mettersi in gioco. qualcosa che pareva essere il punto nodale su cui lavorare: il mio sentirmi bloccato a non capire che cazzo far della mia vita, a valle di questa specie di sferragliante disastro aziendalino mio. mentre io pensavo fosse quello che invece bloccava il lavoro psicanaliticocheinrealtàerapsicoterapico.

a dire il vero non ha detto esattamente così. ma d'altro canto non è il caso riporti precisamente cosa accade in uno studio, al terzo piano di un palazzo, ad una cinquantina di metri da casa mia.

però il succo, concentrato, è stato un po' quello: smetti di farti le psicopippe. delle pippe senza psico non parleremo probabilmente mai, perché non è questo il punto. si tratta di scendere pragmaticamente al livello della strada delle cose che bisogna fare. insomma, un meno suggestivo muovere il culo. e sentirsi dare dello rococochissimo psicopipponico dalla propria terapista di scuola psicodinamica son soddisfazioni per nulla da ridere [senza dimentiacare il fatto sia terapista, mica analista: coglioncello [il coglioncello è mio, ovvio. un po' di sarcastica reprimena. che il sarcasmo è sopportabile, se non è fatto con cattiveria]].

è stata una seduta complicata. tanto  che la testa ha riverberato per un bel po'. la sera mi sono stordito a birra e saccottino con dentro lo spinacio. perché ho percepito una sensazione di spingimento al bordo. come se fossi giunto ad una specie di estremale, e più in là non si potesse andare. che quel che si poteva fare si è fatto. ed ora sono istanze pragmatiche che devo sbrigarmi io. e che la psicopippa, con la suggestione dei miti e degli archetipi junghiani, serve solo a dilazionar il tempo e il momento della scelta. e che però mi sparo addosso come falso bersaglio, oppure ottimo diversivo. forse sono giunto, veramente, ad un punto importante: da cui non c'è insconcio con rimozioni e nevrosi conseguenti che tengano. non ci interessano più: ora si gioca su di un altro campo di gioco. dev'esser questo che mi ha fatto stringere - figurativamente - il buco del culo dallo spavento.

il fatto è che ci sono arrivato con l'ennesima psicopippa, esalata in un logorroico post, a fronte di un libro che - dopo quella seduta, ça va sans dire - ho finito con un distacco un po' annoiato, roba da inversione ad U su strada con doppia linea continua. e allora vuoi dire che quel cazzo di libercolo qualcosa di epifanico, seppure in maniera sui generis e in collaborazione con odg ed una succosa fattura a fine seduta, ha prodotto?...

Thursday, October 9, 2014

il compleanno di enzo [anche se è tecnicamente non fattibile]

mattina. stavo andando a roma da ostia, sul trenino dei pendolari di fine agosto. leggevo "la nauesa" di sartre. la sera prima avevo avuto una mezza discussione pre-teologica per giustificare il mio agnosticismo. la cosa più sgradevole era che mi ci aveva trascinato con poco garbo da ospitante il mio ospite, per pura coincidenza anche vice questore a roma, nonché con quel fare paternamente ieratico verso i figli, financo un po' sottomessi: era uno di questi ad avermi invitato. mi cavò dall'impiccio e dall'imbarazzo che si era creato la moglie, che gli confermò che agnostico è colui che non ha la gnosi: quindi, nell'esprimere le mie non-risposte alle mie domande, non stavo canzonando il loro credere.

era il 2004. l'ultimo anno compiutamente sereno. solo che ovviamente non lo sapevo, allora. anche perché ovviamente mi sentivo non realizzato e comunque giaculavo. non lo sapevo cosa potesse venire dopo. poi l'ho scoperto. ora giaculo, ma con più cognizione di causa, e quindi più serenamente.

era quel mattino, ed il passeggero davanti a me aprì il giornale. mi si spalancò la prima pagina. così seppi che enzo baldoni era morto. mi ricordo la frustrata che provai. perché era stato tutto così veloce, il rapimento solo pochi giorni prima, i tentativi per capire come interloquire coi rapitori. naturalmente lo conoscevo appena e quel poco che sapevo lo avevo appreso dalle notizie dopo il suo sequestro. però, il solo vederlo in foto, mi aveva colpito. il suo essere omone, che ispirava la sensazione dovesse essere nient'altro che placidamente buono. il suo viso il capello riccio, il pizzetto, l'occhialetto tondo. mi ispirava simpatia a prescindere. e poi [mi è tornato alla mente da poco] quelli di libero lo dileggiavano "cazzo ci vai a fare, giù là, che se ti rapiscono poi è il tuo paese che deve cavarti fuori dai guai". ci si può scoprir empatici anche nella reazione di chi lo sbeffeggiava, con la melma della trivia vulgata di quell'ammasso di banalità a mezzo stampa.

scriveva per linus, per il manifesto, per repubblica, per diario, era un creativo. in una delle foto che erano state pubblicate allora era con la pettorina della crocerossa. non credo volesse cambiar il mondo. semplicemente provava a viversi con intelligente e creativa cazzaraggine la sua vita. e forse gli riusciva pure di mettere il suo contributo, in miglionesimi, acciocché si realizzasse l'articolo 11 della Costituzione.

sono passati poco più di dieci anni. ed oggi è il suo compleanno. tecnicamente - mi hanno fatto notare con escatologica puntigliosità - non si può festeggiare il compleanno di un morto. però si è fatto festa ugualmente. quindi non trascurando che poteva essere immortale, ci deve essere stato un qualche errore del Creatore è successo anche a lui di morire, e non so come può essere definta questa serata al teatro dal verme. teatro peraltro, accidenti, pieno fin su in cima in piccionaia. all'ingresso gente che suonava e ritmava copiosamente. un sacco di gente in fila fuori per entrare, che ti vien da pensare che milano non è necessariamente una città di merda [non è mia, cit.].

e poi la musica. anzi no. prima della musica il discorso che però non era un discorso, ma qualcosa tipo le idee e le emozioni che fluivano. gli dedicheranno uno spazio qui a milano - ho firmato pur io, tze - che è un modo per perpetrare quel vizio che si chiama memoria. ma già memoria è una parola troppo retorica, almeno questa sera. e visto che di retorica non ne ho sentita, io che peraltro ne odoro il puzzo da lontano, non vorrei iniziare proprio qui, tra un refsuo e l'altro [resfuo sta per refuso, quindi è esso stesso un refuso. anche se prima avevo scritto refsuo, quindi refuso sul refuso, e non so se è un bi-refuso, o un refuso al quadrato, dubito che si annullino. forse è un meta-refuso]. e quindi [dopo aver ucciso la leggibilità con la parentesi quadra precedente, e pure questa] invece di memoria mi è venuta una cosa che si potrebbe dire verigudvaibrescion.

però di musica ce n'è stata parecchia. a cominciare da tale alessio lega. che ovviamente non conoscevo fino a ieri mattina. quando, alla radio, mi son trovato ad ascoltare una canzocina interessante. talmente interesante che ho appizzato shazam, e gli ho chiesto di dirmi che canzone fosse. ma mentre shazam sciazzzammmannava, la voce un po' nasale della silvia giacomini durante localmente mosso si è frapposta. e shazam mi ha detto che non aveva riconosciuto la canzone. io mi sono un po' microstizzito e microalterato, pescando un briciolo di aggressività da una delle mie nevrosi. per fortuna la silvia giacomini aveva giustappunto incominciato a parlare dell'evento di 'sta sera. e della festa di compleanno. o di quella cosa lì, perché non si può festeggiare un morto. anche se poi alla fine la festa l'abbiamo fatta lo stesso. poi la silvia giacomini ha rimediato con una sciazzammanata old style, dicendo di chi fosse e come si intitolasse quella canzone. per gli annali di questo blogghettino: zolletta.

già, la musica. come peraltro ci si aspetterebbe per non retoricizzare la verigudvaibrescion, in un teatro a far festa. c'era il coro del canto sospeso ed il gemello brasiliano luther king. che ha cantato da brivido, anche se non avevo ancora scoperto che la moglie dell'omone di cui sopra ci cantava dentro. e mi ha emozionato e brividato 'sta cosa. ma a me, agli altri e le loro vaibrescion non saprei. così come suonava il figlio dell'omone qui sopra, la fisa. ma questo lo sapevo già, perché c'era lui a parlare con la silvia giacomini per radio ieri mattina. ed io avevo pensato che deve essere stato un bel giro placidamente lisergico aver un padre del genere. anche se io dovrei scoprire meglio le cose belle di aver avuto il mio.

della musica l'ho già scritto vero? sì. insomma. e non parlare poi di quel cantante dell'africa sud occidentale, e la sua bend che tanto picchiava su strumenti a percussione e a corde. un po' troppo riverbero nel microfono, ma una gran cazzo di voce, penetrante, avvolgente, archetipa: non ti serve il riverbero, riesci da solo a vibrar da solo con la tua musica e creare pure tu gran belle verigudvaibrescion. senza dire di come, tolto il riverbero, con il suo italiano francesizzato e ironia transnazionale si è preso per il culo come africano e ha preso per il culo gli europei. l'autoironia unisce i popoli, e ci si prende meno sul serio: abbiamo tutti da guadagnarci.

insomma. gran bella serata. dove ovviamente sono andato da solo, con le mie giaculatorie con cognizione di causa. però poi lì dentro è stato molto più semplice farsi travolgere dalle note, dalle musiche, dai sincretismi degli stili e delle improvvisazioni, dalla profondità della leggerezza che è emersa quando la lella costa leggeva pezzi di cose scritte da lui. insomma. bello, niente lacrime, ma sorrisi, di quelli che vengono dal di dentro più intimo e profondo.

non si può festeggiare il compleanno di uno morto. infatti si è fatto molto di più. un sacco di verigudvaibrescion che sono volate, alte.

[e tra il foscoliano cazzaro e il de andreiano rivisto, e per non prendersi troppo sul serio, ho financo trovato quello che scrisse relativamente il suo funerale. che uno può anche andarsene e lasciar che si spargano le sue ceneri. ma poi contano le verigudvaibrescion. me ne voglio - tra l'altro - portar dietro qualcuna, acciocché verigudvaibrescino per un po', anche quando potrebbe sembrare di no]

Sunday, October 5, 2014

i limiti dei continenti - isolette escluse, i bias[es], il ricciolo furtivo, il mal d'africa [non necessariamente in quest'ordine]

[comunque c'erano un sacco di refusi, forse ero più stanco del solito, o forse un po' confuso. posto che probabilmente ce ne saranno ancora]

la cosa che mi faceva sorridere è che l'amico itsoh un giorno mi scrisse di aver un certo bias verso i siciliani. la cosa curiosa è che me lo scriveva quasi per giustificarsi di un fascino che subiva nonostante mi parlasse di una [fascinossissima, pure lei riccioluta, nivura] ragazza siciliana, prima che pianista decisamente in gamba.

ecco. oltre al ricordo dell'esame di elettronica II, e la controreazione degli amplificatori operazionali, mi piacque quel averci del bias. e quindi me lo segnai. anche per ricordarsi che un nome si porta appresso varie decinazioni di significati.

il fatto è che io il bias, per ragioni contingenti, ce l'ho verso la calabria e il napoletano, intesa come zona. quanto meno mi è scattato recentemente. non che ne vada fiero, ovvio. però non posso negare di sentirmene coinvolto. anzi, penso sia una reazione normale, quanto meno non alimentata da una delle nevrosi che mi porto appresso. anzi: proprio perché qualcuna comincia a sciogliersi, di nevrosi. però sorridevo al fatto che i bias del mio inspiratore biasifero, come modo di dire, ce "l'avesse" coi siciliani. mentre io, laggiù, in sicilia, coi siciliani, mi ci sento molto bene.

non penso sia solo una questione di nomi, come quello di battesimo intendo. una roba da nome- omen. però mi ha fatto un certo effetto entrare in quella basilica. per quanto quel santo, illustre omomino protettore della città e co-protettore della diocesi [mi dissero orgogliosamente], si chiamasse di cognome confalonieri. per quanto da agnostico convinto dovrei un po' fottermene di queste credenze apotropaico-nominative. per quanto la capitale mondiale del barocco, boh, tanto 'st'effetto non mi ha fatto. contrariamente ad altri posti là intorno. e per quanto alcuni si siano addirittura stupiti nel sapere come mi chiamassi. e che mi chiamassi così pur venendo da posti decisamente più antipodali, da così dal nnnnorde. pur essendomi - irrazionalmente, oneiristicamente, a gocce di nebulizzione - di quelle parti.

che poi dici sicilia, e dici un piccolo coacervo di cose. esattamente come se io con uno di ivrea, figurarsi di novi ligure, c'entrassi qualcosa da - tecnicamente - piemontese. a proposito di piemontesi c'è una toponomastica molto risorgimentale, probabilmente più che qui al nnnnorde. e questo potrebbe anche confermare parte della tesi dell'amico luca, che mi ha regalato questa vacanza, con la generosità che gli è propria: proponendo senza insistere per evitare che mi facessi danno in autodafè, rifiutandola. amico luca che non ho voluto contraddire o [almeno] confrontarmi con lui in alcune sue risolute, decise, considerazioni. probabilmente per via di altre nevrosi: che si staranno pure sciogliendo, ma ci vuol tempo.

nel mentre ci siamo visti il sud, che più a sud non si può andare della sicilia, e quindi dell'italia, e quindi dell'europa. a meno non andar sull'isolette, ma sono altri percorsi quelli. siamo finiti più a sud di tunisi, ad un passo dall'isoletta dove più in giù non si può andare. godendo appieno, lui ed io, del concetto di limite di un continente. concetto che il guccio ricama bene usandolo compiutamente verso l'ovest nella sua bambina portoghese. noi ce la siamo sintetizzata andando al suddddde, isolette escluse. il limite - geografico - si porta l'eco di un qualcosa che dà l'effetto del segnar il margine. che per certi versi è rassicurante: perché delinea il perimetro. e quindi si ha l'impressione di poter provar a intuire quel che c'è dentro, perché almeno è stato definito il bordo. e quindi il dentro e il fuori. per quanto, dal mio punto di vista, è illusione che dura poco. perché le terre, coi loro bordi, sono solo il punto d'appoggio delle genti. e quindi quel concetto di perimetro si sminchia. non fosse solo per il fatto che l'uomo e i popoli, dacché son uomini, si spostano. e quindi saremo pure arrivati là, al limite di un continente. ma lì sono arrivati uomini da altri limiti, altri continenti. e quindi l'illusione vien giù facile e affascinante come scorre l'acqua di un mare un po' incazzoso sugli scogli. lo scoglio è pericoloso per la navigazione, ma l'acqua gli si scivola attorno. anche al limite del continente.

[semo tutti migranti, in quanto humankind]

[e, beffardo, poi risuona nell'orecchio pure l'altra di citazione: che quando fu davanti al mare si sentì un coglione, perché più in là [più giù] non si poteva conquistare niente.]


si sono visti posti meravigliosi, calati in realtà poco pregne delle proprie potenzialità. la questione meridionale, immensa, complicatissima, ganglio infiammato e sclerotizzato di una nazione - qualsiasi cosa significhi il termine nazione - la riconosci da piccole cose così, da una specie di cappa che non riesci ad evitare di percepire. magari è una cosa spocchiosa e saccente. quelle cose da piemontese che si cala dai paesi con la nebbia e il freddo, e pretende di  capire qualcosa che si è stratificato in millenni ma che è stato azzoppato negli ultimi venti decenni. e che si pensa di averlo chiaro traversando le due province più a sud d'europa. ma la cosa che mi fa ancora più strano, ogni volta che ci torno giù, è quello che accade dopo la straneità iniziale. quella diversità si mitiga, si scioglie, si riverbera in quel che è lì. non che non mi diano fastidio alcune cose che sento più lontane. però poi, almeno io, mi sento in un qualcosa che sento sempre più coinvolgente, e che sento accogliermi. forse è il sole che scalda la pelle. che poi è lo stesso sole che c'è ovunque. forse il colore del mare, e di come il territorio declini dentro di questo. o il terreno brullo ed incazzoso, dove però "bastano due gocce d'acqua, e la natura sa regalarti frutti e fiori di un colore dalla bellezza insolente" [cit.].

[lo stagliamento dell'amico luca, verso altri limiti di altri continenti]

in realtà ci sono andato perché il regalo me l'ha fatto l'amico luca, ma l'amica liude ha avuto forse una parte ancora più importante. è stato bello conoscere il suo mondo, parte della sua terra, l'esuberanza variopinta e caleidoscopica dei suoi "parenti, ma quelli più stretti". mi ha spiegato, per quanto fossi già meravigliato e spiazzato, il concetto di parente, figurasi quelli più stretti. che io li conto sulle dita di un paio di mani. lei ci ha riempito metà della sala dei ricevimenti del matrimonio. non il suo, ma della sorella. anche quello è stato un bel calembour antropologico. e non solo per gli scout che hanno cantato metà della messa, canzoni che avrei potuto ancora suonare a memoria, nonostante l'età e l'agnosticismo [avrei financo paio di cose da dire al tamburellista, ma son dettagli]. l'altra metà delle canzoni erano roba loro, degli scout, dico: metriche dei versi un po' spericolate comprese. quando, in chiesa, mentre eseguivano quelle canzoni, mi son girato ho visto cantare a macchie di leopardo: ecco come riconoscerli, gli scout. e cantava pure la riccolina che avevo notato piuttosto in fretta. è un buon modo per non farsi coinvolgere emotivamente dal resto del matrimonio: fissare una riccolina che quindi si scopre essere, o esser stata, una scout [che peraltro idiosincrosizzavo già quando ero un bravo et convinto parrinaro-oratoriano]. e per quanto non fossi lì propriamente per guardare le fanciulle agghindate da matrimonio. non so se è stato il ricciolo, l'efelidi sulle spalle, o il fatto fosse agghindata in maniera più elegantemente sobria della media. nonostante fosse [ex?] scout, nonostante se ne stia oggettivamente oltre la mezz'ora di metropolitana che mi sono dato come orizzonte, e soprattutto nonostante la mia congiutural-nevrotica incapacità solo ad immaginare una storia con una fanciulla, mi son divertito financo a rubarle un paio di scatti, nel mentre ne rubavo altri: soprattutto fotografando i fotografi che - in quattro - fotografano gli sposi. come evidente necessità di andar oltre le mie nevrosi mi ero pure messo in testa di andare a dirglielo: guarda, ti ho rubato un paio di scatti, ma la fotocamera non è mia, quindi nemmeno le foto. farlo giusto per prendermi il rischio di farmi coprire di ridicolo e sorriderci sopra. ovviamente non l'ho fatto: ma a 'sto giro non solo per inedia pusillanime, cioè, un po' sì, ma non del tutto. ovviamente  ho poi scoperto esser piuttosto giovane [roba che io avevo già iniziato a sentirmi molto sfigato, quando lei urlava i primi vagiti], piuttosto scout, nonché piuttosto fidanzata. tutto sotto controllo, insomma. per quanto, probabilmente, ho fatto un qualche torto alla sposa. che era la sua giornata, mentre io guardavo una sua amica. anche non penso me ne vorrà. è il mood un po' giocoso-dopaminico che s'è creato - anche - grazie a loro. mi è servito a ricordarmi che ho le emozioni non del tutto sminchiate. funzioneranno anche quando sarò meno incapace, o mi sentirò meno incapace. e financo quando sarà dentro la mezz'ora di metropolitana.

[visto che poi è il giorno della sposa]

sono ripartito con una specie di mal d'africa. che non ho avuto modo di godermi appieno. forse perché sono mesi che sono in vacatio, ed ho voglia di ricominciare: vuoi magari vedere che ci son pure le condizioni per? forse perché pure questo passaggio al limite di un continente è, appunto, un passaggio. e sarebbe faico ripartire [anche] da lì. dal limite, intendo.

Sunday, September 28, 2014

sul perché penso che renzi non mi piaccia /5 e perché mi metto a logorrare di nuovo su di lui

renzie non mi piace. a costo di far la fine dell'ultimo giapponese che resisteva sull'isoletta. renzie non mi piace, e sono pure così sgarbato da chiamarlo renzie in loco di renzi. sgarbato e mica tanto sul pezzo. perché renzie lo chiamavamo i suoi dileggiatori qualche mese fa. ora mi pare abbiano smesso di chiamarlo così. non tanto perché non sia altrettanto dileggiato, ma forse perché è stato tante altre cose in così poco tempo. renzi non mi piace anche se ha preso il 40.8%. anche per il semplice fatto che in quel 40.8% c'è dentro pure il mio voto. coinciso, temporalmente, con l'inizio del tunèl personalissimo: anche se non c'è un nesso causale, ovvio. dentro quel 40.8% c'è dentro anche il mio perché votai pidddddì, per votare tre candidati di area civatiana, ad essere precisi e pedissequi. ci son dentro anch'io quel fottuto 40.8%, brandito come l'autorizzazione ad essere quel modo di porsi e di fare, mentre io non sarei proprio per nulla d'accordo su quel modo di porsi e di fare. quindi, anche se faccio la fine dell'ultimo giapponese che resisteva sull'isoletta, io col cazzo che ho votato pidddddddì, acconsentendo a quell'eterogenesi dei fini.

avevo già sproloquiato con altri quattro post, verbosissimi e logorroici, come questo del resto, su costui. scrivevo che non mi piaceva, lo acclarai da subito, per dichiarare ai tre di passaggio la mia pregiudiziale. ma date le condizioni date, mi mettevo con la migliore obiettività possibile alla finestra, per vedere che sapeva fare. avevo azzardato anche il fatto che stesse sparando le cartucce migliori per far il pieno alle europee, e con quella forza ribaltare tutto ed andare ad elezioni per assogettare anche i gruppi parlamentari. a dire il vero non l'ho scrissi, ma lo pensai, giuringiurello. il botto alle europee il piddddì, l'ha fatto. anche se io ho votato tre persone diverse da lui. e soprattutto non ho votato lui. e soprattutto non ho votato per delle cose che, tra l'altro, sono un po' lontane da quel che lui stesso indicava, prima di diventar segretario e quindi marciar democraticamente a prendersi il governo [il democraticamente è ironico, ovvio, visto che lui l'investitura democratica dice di averla presa ex-post]. tralasciando che sono istanze che porta avanti da anni la parte politica cui si dovrebbe contrapporre [e a 'sto giro non vale il paradigma che se una cosa è giusta non c'entra chi la dica. a mio parere, ovvio].

renzi non mi piace per lo stesso motivo per cui, da subito, mi sono sentito antiberlusconiano, e per cui ho impiegato mezza giornata a capire che anchel'altro capopopolo era un qualcosa di molto sòla. credo ci sia di mezzo la questione del narcisismo e dell'ego debordante. caratteristica per cui ho un bias che ora mi fa partire pure un po' d'incazzo. non foss'altro perché ne ho incrociati da vicino abbastanza per inquinarmi l'esistenza, io nevroticamente understatement. credo che il problema non sia solo delle mie idiosincrasie di ritorno, ma anche un approccio alla costruzione della classe dirigente con cui collabori e che sono necessari. il narcisista tende a circondarsi di persone ossequiose e più o meno consapevolmente prone ad esaltare il loro lidèr. e il fatto siano giovani e/o nuove e/o donne non è mica condizione sufficiente per garantire che siano meglio di quello che hanno sostituito. e il cielo sa quante altre persone nuove, giovani, sono tecnicamente più meritevoli e in grado di far meglio, pur avendolo appoggiato. che riescono a sottrarsi alla fascinazione dell'uomo solo al comando, che risolve volitivamente le cose. questo paradigma è la iattura per una nazione. e difatti ci siamo ricascati. probabilmente perché siamo un popolo molto immaturo, che si lascia abbindolare facile. e sarà pure la democrazia, figurarsi, e purtroppo non possiamo far dimettere il popolo. ma evidentemente qualcosa non torna, e non è solo perché ci sono i poteri forti che resistono, o le gerontocrazie che non passano la mano. ovvio che ci sia anche questo. ma non sarà un mantra per auto-assolversi e, appunto, aspettare che qualcuno ci pensi lui: se poi magari comunica con naturalezza e disintermediato col popolo tanto meglio. non se ne esce delegando in maniera quasi fideistica, anche se uno ha il tuit giusto ed efficace. se ne esce tutti assieme prendendo consapevolezza della partecipazione. per questo falliremo, e tutto sommato lo meritiamo. il problema è che ne faranno le spese le persone più deboli, e coloro che non potranno permettersi le sovrastrutture più o meno sanitarie e di welfare, che passano per altri canali.

renzi non mi piace. non mi è mai piaciuto. proprio per una questione di simpatia personale: su cui sono stato financo redarguito. non si sceglie il futuro lidèr sulla base di una antipatia o simpatia. come ogni chiosa, più o meno sloganistica, si porta appresso del vero come il suo contrario. è una questione personale perchè ho pochissima stima per i narcisisti spinti coll'ego debordante. e credo che da questo vengano cose che non ti permettono di far al meglio il lidèr di una nazione. sulla questione attuale dell'articolo 18 si sta consumando l'ennesima declinazione di atteggiamenti che mi lasciano perplesso e mi convincono poco. al netto di cosa possa pensare o importare di quella istanza [purparlè, credo debba essere esteso, non eliminato. non penso che toglierlo faccia ripartire nulla di che, né elimini l'apartheid - meco, per la serie, le parole sono importanti - tra chi lavora. ma non è questo il punto centrale del mio ragionar logorroico]. è stato assunto a valore simbolico, da una parte e dall'altra, con tutte le conseguenze da stracciamento delle vesti che creano i simboli. per quanto non originalissima come opinione penso sia stato scelto artatamente per sparigliare le carte, per distrarre l'attenzione, per ri-posizionare un ruolo. scelto da renzi e/o i suoi spin doctor. qualcuno comincia a stancarsi di questo gran sparar di fuochi artificiali, e lo scrive, lo dichiara, lo fa sapere. se sono i poteri forti sono gli stessi che non si sono messi di traverso, quando non hanno plaudito riconoscendolo come ultima speranza per l'italia, acciocché diventasse primo ministro con una manovra avvolgente e hashtag azzeccati [che gli si ritorceranno contro, quando passerà anche lui].

io non l'ho mai plaudito, non ho mai pensato fosse l'ultima speranza, non fosse per il rispetto alle nazioni con decisamente meno speranza della nostra. non ci scrivevo da un po', anche per il semplice fatto pensavo non fossero 'ste grandi idee che mi frullavano nella testa, anche lì logorroicamente. ora ci scrivo invece sopra. non sono convinto siano 'ste grandi idee, ma sono comunque le mie, e quindi io lo faccio: foss'anche fossi come l'ultimo giapponese che sta sull'isoletta. occhei, è ancora tutto molto logorroico. ma c'è dietro quasi una specie di flusso di idee, che ha un vago sapore autoterapico. ci scrivo di nuovo sopra. senza che siano psicopippe più o meno contumeliche, bensì qualcosa che sta fuori di me, per quanto mi faccia incazzare. e non credo sia del tutto scorrelato a quanto accaduto poche sere fa. il giorno iniziato in un modo, financo amaro, mentre la sera, davanti ad una birra - articolo 18 o meno, della cui tutela non godo più da anni - ho visto un chiarore là in fondo al tunèl. quello in cui mi son trovato infilato in concomitanza del 40.8% di cui sopra. e che ora, a maggior ragione, mi fa scrivere #nonprovarafarloinnomemio[checihol'incazzofuoridaltunèl].

Wednesday, September 17, 2014

polistrumentismi [ma è solo un viaggio nella mia mente satura di minchiate]

l'applicazione mappe dello smartfòn dice che quello che vedo scorrere a pochi passi da me è il lambro. è un rigagnolo incementato, stretto quanto una corsia di una strada nemmeno troppo importante. ad occhio e croce non mi torna. il lambro sta verso est. qui siamo verso ovest. navigli a parte qualcosa non va.

però so di essere arrivato, lì all'angolo, dall'altra parte del rigagnolo incementato, che scorre verso est, da ovest che proviene. ho acceso l'applicazione mappe e mi guardo lo smartfòn per pura formalità: so dove mi trovo - nome del rigagnolo a parte - e so abbastanza dove dovrei andare. e quindi forse lo tengo in mano per riflesso condizionato, una specie di coperta di linus ex-ante. perché ora che sono arrivato devo pur entrare in questo posto che pensavo al chiuso, invece è un giardino all'aperto. scopro che lì c'era una discarica a cielo aperto, ed invece hanno riconquistato il verde che c'era sotto la discarica. e quindi leggo l'elenco delle piantumazioni, delle florodiversità. leggo tutto in una bella mappa da progettazione di giardini, scala uno a qualche-centinaia. lì accanto scorre l'olona, c'è scritto per inquadrare nella toponomastica circostanziata quel fazzolettone di verde. ecco. appunto. che sia l'olona mi torna, decisamente. continua ad essere un rigagnolo incementato, ma in quel disegno pare abbia tutt'altra dignità.

ecco. sì. i cartelli appesi, delicatamente, tra un albero e l'altro li ho letti. ora bisognerà aspettare che inizino a suonare. perché non so mica bene perché sono arrivato lì. c'era un invito ad un evento feisbuch cui sono stato invitato dalla cuggggggina. e per la seconda volta in due giorni vorrei farle la sorpresa. ed arrivare senza dirle nulla. e per la seconda volta in due giorni lei non c'è. e questa volta non risponde neppure al messaggino uotsappinico. quindi sono solo, senza sapere bene perché. o meglio: a dirla tutta trovo una sottilissima soddisfazione. sono uscito di casa senza nemmeno una titubanza. senza sincerarmi di nulla tranne dell'indirizzo e dell'orario. senza nessuna considerazioni a margine di quello che avrei potuto fare altrimenti, delle altre persone che avrei potuto invitare. ma che ovviamente non avrei invitato.

quindi son solo.

anche senza scorrere le notifiche di feisbuch mi pare che tutti gli altri siano serenamente soddisfatti, e lì a passare in compagnia una serata. io mi sento estraneo. e solo poco perché non conosco nessuno. ed è comunque abbastanza buio per non riconoscere di vista qualcuno, posto che ci sia. mi sento estraneo perché mi sembrano tutte persone che - mi son fissato - fanno cose e gli riescono, cose che sento oltremodo inattuabili per me. non c'è più nemmeno il senso di inferiorità. non c'è mai stata invidia. è proprio un senso di alterità. loro sono quelli delle istanze che sono negate a me [o mi sono negato]. tutto molto serenamente. tanto che non mi sento financo nemmeno troppo a disagio. come se tutti sapessero più o meno qual è, se non il senso, la propria condizione, e la vivessero senza particolare preoccupazione. a me spetta quella un po' solinga, ontologicamente. non butto nemmeno l'occhio alle fanciulle. tanto non sono in grado di costruire un rapporto. figurarsi mantenerlo, in senso ampio. e so che le luisnghe della fase lisergica è solo un espediente. perché passa, come le farfalline nello stomaco. e quindi c'è l'incomprensibile quotidianità: questa è la mia condizione. ma ormai mi trovo a mio agio nella mia alterità percepità, tanto che potrei esser scambiato per uno di loro. di quelli degli altri, con una vita dove riescono quelle cose lì, "normali". dove per normale bisogna intenderla con tanto, tanto, tanto, tanto rispetto. è vero son lì da solo, che giocherello col bicchiere di plastica che prima c'era dentro del vino bianco. un'altra piccola coperta di linus. ma forse non sono nemmeno l'unico, lì solo. devono esserci alcune signore, verosimilmente oltre che coeve di matreme.

poi inizia la musica.

e tutto trascolora. perché ne vengo assorbito. anche se ovviamente non ballo, e farlo su alcuni brani di pizzica è una specie di evento contro-naturale. e quindi ascolto. ascolto, provo immergermi e sintonizzarmi con il trasporto armonico-ritmico che stanno ammaestrando a seguirlo quelli sul palco. mi colpisce la vibranonista dell'altro gruppo, quello che osa delle belle sintesi sincritche tra musica popolare meridionale [d'italia] e sonorità e modi di quella della madre africa [centro, centralissima, quella nera, da dove un po' veniamo tutti. razzistixenofobidimmmmmerda compresi]. è il gruppo che osa. la vibravonista esegue e suona, dalle retrovie, peraltro: non so quanto osi lei, però saranno i capelli un po' ricci, e non fa nulla se non è proprio giovanegiovanissima. tanto posso solo osservarla con il distacco rassegnato della mia alterità. scoprirò più tardi che probabilmente la cugggggina la conosce. perché è tutto un grosso paesone questo qui, in questi contesti.

ecco. per fortuna che c'è stata la musica. forse è per quello che ci sono andato. per ascoltarla, con involontario richiamo dell'esecuzioni dal vero. e a dirla tutta il post voleva essere sui pensieri guardando quelli che suonavano. poi è uscito diverso, il post. più o meno come tutto quello che pensavo dovesse venire in questo punto di questa situazione, dove alla fine vivo, con la serena rassegnazione, questa condizione di alterità.

stop.

Sunday, September 14, 2014

post lamentoso, e sulla personalissima azione finalistica, in quanto essere vivente [e ben sapendo che sto mischiando i piani]

il progetto dà ragione dell'essere e l'essere ha senso soltanto in virtù del suo progetto. [pag 36]

questo è un chiasmo. ed è un chiasmo filosofante. quindi mi richiamerebbe financo la canzoncina che mi sono sentito l'altro pomeriggio. tecnicamente spararsi una succulente discografia del cantautore di pavana, trasversale negli anni della produzione, è un modo sui generis di tirarsi su il morale. o qualcosa che gli si approssima. difatti non è che abbia funzionato sto granché. però, in compenso, ho ascoltato delle gran belle canzoni.

teleonomicamente non ci sto capendo un cazzo. e uso un avverbio, che forse non esiste, e lo uso in maniera brandente. solo che sto leggendo questo libercolo che non è molto romanzato. difatti rileggo tre volte ogni periodo. e anche così probabilmente non ci sto capendo molto più che un cazzo.

per dirla tutta la teleonomia del libro è qualcosa di più alto e generico della mia, decisamente più personalissima ed ombelicalicissima. però è stato ed è un rientro complicato nella città. perché di colpo mi sono trovato nell'inazione e nell'incartamento di quarantacinque giorni fa. io mi son pure illuso che bastasse il fatidico ed operoso mese d'agosto per ricominciare. ma se ha funzionato una paio d'anni fa, non è che sia sempre una festa ricominciante. in compenso:
  • sono passati due anni rispetto a quel ripartente mese d'agosto;
  • sono passati quarantacinque giorni da quando mi sentivo inattivo e incartato prima di lasciar la città;
  • ci son circa due metri quadrati in più, piastrellati in maniera sui generis ed involontariamente supponenti, dal punto di vista artigiano, nel bagno di matreme.
quindi sono di nuovo qui, piccolo-teleonomicamente allo sbando, piccolo-revanscista compulsivamente dal punto di vista pre-aziendale, più o meno intento a costruire su macerie e mantenermi vivo. visto che a 'sto punto non posso non farla un'altra citazione delle canzoni di sabato pomeriggio.

per quanto so, con serena consapevolezza, che le mie son macerie piccole, da dilettante dell'esistenza che pare essere buttata nel cesso. però, appunto, son le mie. e nella mia mediocrità bastano per soverchiarmi, acciocché fatichi ad aver voglia di mantenermi vivo. per intenderla come citazione, ovvio.

nulla di particolarmente nuovo. appunto. a parte le miGlioni di ore passate a smoccolarci sopra. che sono passate, appunto. andate. e non torneranno più. mentre io continuerò nella mia noiosissima lamentazione. magari è financo questa la mia teleonomia.

[per il momento, accidenti guarda che scelta di vita, ho deciso che non "userò" quel cazzo di feisbuch. perderò un po' di spunti dell'amico itsoh, peccato. lo controllerò giusto per verificare se qualcuno si mette in contatto o interagisce con me, su quel canale soscial. la vita di tutti gli altri mi sembra così più [insopportabilmente] interessante. non è così, lo so. ma così la percepisco. perché avvelenarmi il sangue, per quanto solo a causa di me solo medesimo?]

[ed a proposito: certo che ne avete di gran voglia di buttar il tempo ad interloquirmi e seguire i miei deliri falliti]

Monday, September 8, 2014

homo artigianicus, stocazzo/2 - le speculazioni psicopipponiche

vero.

non ce la faccio.

a inibire le considerazioni psicopipponiche intendo. e quindi qualcuna me n'è scappata, durante la nevrosi artigiana di quest'anno, di cui il post precedente. e quindi, appunto, l'appunto a latere. un po' di spunti speculativi de noartri. per punti, che si legge meglio e forse il post viene meno logorroico.

  • la tesi del "volere è potere" mi è sempre suonata stridevolmente fascio. però, lo ammetto, reca come principio attivo uno spunto construens insopprimibile. che provo a riadattare. e verrebbe fuori una cosa del tipo: mettici della buona volontà, dei filmati di youtube del tipo "come si posano le piastrelle", capacità di farsi un po' di culo e fatica, e qualcosa viene fuori. al limite viene al di qua dell'ossessione perfezionistica. ma viene. [per quanto "volere è potere" è decisamente più coincisa. ma si sa, l'approccio fascio vuole concetti succinti e decisi];
  • come corollario del punto precedente, magari non troppo succinto. forse compenso l'inesperienza artigiana con la capacità di "sopportare" un certo stress fisico ed emotivo. figurativamente riesco a lavorare come il classico mulo. peraltro, di nuovo, forse è grazie a questo che alcuni lavori con l'aziendina in via di cappottazione son venuti fuori facendo le classiche nozze coi classici fichi secchi. perché [tra l'altro] mi sono fatto un culo tanto. il problema è che si è in via di cappotazione e mi rimane giusto il classico pugno di mosche;
  • in quanto più o meno legati al paradigma dell'uomo materico, tutto ciò che produce qualcosa di sostanzialmente, appunto, materiale è più apprezzato e apprezzabile dal punto di vista monetario di ciò che è etereo, immaeteriale, celebrale, di pensiero. questo significa che con le psicopippe difficilmente si riesce a sopravvivere. a meno che non ci si riesca ad infilare in talune situazioni massmediatiche. è che per entrarvicisi ci vuole una certa dose di culo [figurato e [forse] anatomico], pragmaticità self-marchettistica, sufficiente autostima, ed un buon agente. tecnicamente avrei giusto l'agente, in potenza. dubito sia sufficiente;
  • corollario dle punto precedente: a sistemare il sifon del cesso all'idraulico non fa strano di possano pagare onorari di parecchie diecine di eurI all'ora. pubblicare in maniera rigorosa sul gueb, al limite lo chiedo all'amico del compagno di calcetto del collega del vicino di condominio del padrino di cresima del nipote della compagna del figlio di mio cuggggggino. ci pensa lui. non pubblica in maniera rigorosa? eccchiccazzosenefotte. è solo una cosa eterea pubblicata sul gueb;
  • l'artigiano che ha imparato l'arte e l'ha messa da parte impiega un terzo del tempo, con meno materiale e - precipuamente - sporca di meno. però se la nevrosi artigiana la si esplica a casa propria le cose, inevitabilmente, si vorrebbero far in maniera ossessivamente perfezionistica;
  • i concetti di bolla [nel senso di mettere in una supercie] e di squadra [nel senso di farvi convenire ortogonalmente due "fronti" che si incrociano] sono qualcosa che - ho il vago sentore - sono installati in maniera antropologicamente un po' fondante. anche per il fatto che debbono parteciparvi - stando in bolla ed in squadra - tutti gli elementi. così si è sicuri che i muri vengono su dritti e dagli spigoli formati da una continuità di testata d'angolo [concetto peraltro citato financo nei salmi. non che i salmi raccontino una qualche verità più o meno assoluta, ci mancherebbe. però è interessante, di nuovo, dal punto di vista antropolgico, seppur de noartri];
  • le fughe coprono un sacco di storture. [tutto si può leggere polisemicamente, e funziona che è un piacere. tipo che è un'affermazione in bolla ed in squadra];
  • l'animo e la componente speculativo-psicopipponico mi pervade più di quella
  •  artigiano-materico. tanto che quando tiro su muretti [più o meno in bolla ed in squadra] inevitabilmente speculo psicopipponicamente. mentre quando precipuamente speculo psicopipponicamente non riesco a tirar su un muretti [a prescindere da quanto volessi farlo in bolla ed in squadra];
  • tendo ad andar lungo. sie nell'esecuzioni materiche. sia nei riassunti nevrotico-psicopippnico.
appunto.

Saturday, September 6, 2014

homo artigianicus, stocazzo

anche in quest'estate ho dato. la compulsione di tipo artiginale, intendo.

un paio d'anni fa ho eradicato, derovizzato, sfoltito, tagliato, hard-gardenizzato. estate molto calda, e per certi aspetti bollente. sono in parte un po' rinato, mentre riducevo l'entropia di quella cosa fuori casa-hometown che non è più giardino, ma non ancora compiutamente bosco. [che poi il giardino che va per i cazzi suoi è sempre l'esempio che si fa per raccontare dell'entropia che aumenta, come enunciato dal secondo teorema della termodinamica. io, tecnicamente la riducevo. ovviamente il conto globale entropico era il cazzo di calore corporeo che mi squagliava sudoriferamente. che [mi] faceva un po' maschio che ha da puzzà. però, visto che l'epos maschile dovevo ricostruire, tra l'altro, tutto faceva gioco]. cane, da poco giunto, sempre accanto, a volte pure troppo col timore di zappare pezzi di terra e radici, unicamente a una qualche parte sua. e grandissime psicopippe e musica mentre mi occupavo di quello. psicopippe poi riportate in appositi post.

lo scorso anno ho tinteggiato. solo che il lavoro ha cominciato a non essere più solo stanchevolissimo rilassamento endorfinico, come l'estate precedente. ma l'ossessione di far la cosa originale, e financo curato nel dettaglio. a partire dall'accoppiata glicine-albicocca, con tanto di filetti a bordare il lato colorato. faceva, sì, meno caldo. ho lavorato su porzioni grandi, molto più grandi di quel che immaginavo. ho sottodimensionato lo sforzo necessario. mi son trovato solo e solo l'ho svangata. solo con la forza dei nervi. anche se risaputo che i nervi non hanno forza da soli [dai, quasi ne vien fuori un chiasmo interessante]. l'ho svangata nonostante la perfezione, nemica del buono, si è ben guardata di far capo dentro la casa-hometown. l'ho svangata colla certezza l'occhio mi sarebbe caduto inevitabilmente lì, dove il difettuccio si era pittorescamente manifestato. cosa che non è mai verificata, peraltro. cane, ingrassato, sempre accanto con un paio di baffi di vernice sul muso. tanta musica, iniziando sempre con una canzone precisa. qualche psicopippa, soprattutto meno ficcante - pensavo - per quanto finita sugli appositi post.

quest'anno ho costruito un muretto, sul piatto doccia. sono stato amichevolmente irretito avrei potuto farlo io. e che ce vo. "usa il gas-beton, vien su facile". "poi metti le piastrelle, avranno mica la scienza infusa i piastrellisti". "potresti farlo con questa geometria". dal punto di vista entropico avrei contribuito, ovvio. con le scintille che ogni tanto si verificavano nella prima parte di de-piastrellamento dell'esistente, quando sai che data la prima botta con la punta del mazzotto devi arrivare alla fine, con le piastrelle fugate e lo sporco dello stuco in eccesso lavato via. oltre che con la sorpresa di matreme - è il suo bagno, quello - al ritorno dal mare. alla paraculaggine a chiedere gli attrezzi un po' a chiunque. a tutto il karma che ho scomodato. è un'estate quasi fredda. di un anno tossicchiante di soddisfazioni e di speranze. ho fatto una cosa dentro la casa-hometown. uno sforzo in un metro quadro, contornato da piastrelle rosso-marrone-mattone, molto primi anni '80 a contornarmi. in mezzo alla polvere, a far quello che mai avrei immaginato: livella, colla per il calcestruzzo cellulare [volgarmente, appunto, detto gas-beton], piastrelle, misure, fresa grande, fresa piccola, amico incasinato che mi irretisce che posso farlo e e poi fa - sacrosantemente - i cazzi suoi ed io rimago col pisello un po' in mano, ma per fortuna continua a prestarmi attrezzi, macchina per tagliar piastrelle che ho cercato sul sito del produttore come cazzdo funziona, video per capire come far quello e quella operazione, prime piastrelle posate e quasi imbarzottito dal fatto fosse caduto un po' di sporco, ultime piastrelle posate dalle forme e dimensioni baroccheggianti e manate e ditteggiature di colla ovunque. è stato faticosissimo, lunghissimo, stressantissimo: volevo finire acciocché matreme entrasse nel suo bagno e trovasse quello che voleva fare e che non pensava avrebbe trovato, ma ci avrebbe pensato un muratore, dopo che il primo ci ha bidonato per due volte. è stato qualcosa che son riuscito a non farmi schiacciar troppo dalle mie ossessioni perfezionistiche. un po' anche perché dopo aver tagliato per quattro volte la stessa piastrella, pensi che va comunque bene così, e tanto poi manca anora la fuga a coprire i difettucci. è stata la cosa materica più complicata abbia fatto, ben lontano dalle operazioni e paradigmi dell'hard-gardening. è stata un'involontaria supponenza artigiana, quanto meno per una prima volta, peraltro complicazione che si è rivelata inutile: matreme lo immaginava decisamente più semplice. il cane, sempre più incollato ai piedi, inzaccherato di polvere rosso-mattone e probabilmente disturbato dalle frequenze ultra-soniche della fresa che modellava le piastrelle. niente musica. praticamente nessuna psicopippa., tanto che il post è una psicopippa ex-post. ma non sento le gudvaibrescion di quando accade durtante l'attività lavoratoria, ed il post mi si compone in mente, come dovessi semplicemente leggerlo. niente di tutto ciò, a 'sto giro. e mai come a 'sto giro avevo fatto niente di tutto ciò [azz, un altro chiaso. uau].

insomma. anche quest'anno è andata, pagato il fio al sussulto artigianus. ancora una volta ho [ri-]capito che là dove manca l'esperienza, compenso con il lavoro da mulo. nel senso che spremo polmoni, ghiandole sudorifere, articolazioni per venirne a capo. possibilmente con un lavoro che da quando è finito non titilli la mia ossessione perfezionistica nel fare qualcosa, ma forse mica solo in quello.

unica speculazione, a 'sto giro, dove ho costruito, con poco caldo e poca musica, non è stato piacevole dal punto di vista endorfinico, ma più che altro una sottile forma d'anZia, dove non riesco ad apprezzare appieno il risultato, non foss'altro perché sta chiuso ner cesso ed è lì, in un angolo doccioso.

però va bene così ugualmente.

torno - al momento, fino ad eventuale svolta - al codice più o meno webbistico. e pensare che, iperbolicamente [ma fino ad un certo punto] pure questo ha un'anima artigiana.

i post, come in tutto questo blogggghe del resto, non riescono a venir succinti. deve essere una questione di bloggggghe.